L’immagine del museo al cinema #2

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I mille volti del museo al cinema: ambientazione di inganni o furti, rifugio in cui nascondersi quando si è inseguiti, luogo da smitizzare, regno dell’onirico e del visionario, o estraneo e incomprensibile, o lontano dalla sensibilità delle persone più semplici.
In alto: Robert Redford in “Three Days of the Condor” di Sydney Pollack, 1975; in basso: “The International” di Tom Tykwer, 2009 (https://www.guggenheim.org/blogs/checklist/visiting-the-guggenheim-through-the-lens-of-hollywood).

Abbiamo visto in un precedente articolo (L’immagine del museo al cinema #1) il museo nel cinema come luogo di incontri e relazioni, di sguardi e solitudine, ambientazione ideale per thriller e per horror.
Ma il museo può essere anche un rifugio in cui nascondersi quando si è inseguiti, come nel thriller Blackmail (Ricatto) di Alfred Hitchcock (1929), in cui il ricattatore cerca di far perdere le tracce all’interno di un British Museum ricostruito in studio. Ancora Hitchcock e ancora un museo in cui nascondersi: l’Alte Nationalgalerie di Berlino in Torn Curtain (Il sipario strappato) (1966), con Paul Newman. Nel film Three Days of the Condor (I tre giorni del Condor) di Sydney Pollack (1975), Robert Redford si rifugia all’interno del Guggenheim, mentre in The International di Tom Tykwer (2009), le rampe a spirale dello stesso museo, ricostruite in un’ex fabbrica di locomotive, fanno da scenario all’inseguimento e alla sparatoria dei protagonisti.

Il museo è anche luogo di inganni e di furti, come in Topkapi di Jules Dassin (1964), o in How to Steal a Million (Come rubare un milione di dollari e vivere felici), un film di William Wyler (1966) con Audrey Hepburn, in cui il furto di una falsa Venere di Cellini da un museo serve a proteggere il falsario; o in The Thomas Crown Affair (Gioco a due) di John McTiernan (1999), in cui un miliardario annoiato decide di rubare il Saint-Georges majeur au crépuscule di Claude Monet, nella realtà esposto in Galles, dal Metropolitan Museum di New York.

Ma si può risalire anche a The Wakefield Case di George Irving (1921), un film considerato perduto e di cui invece è stata ritrovata una copia nella Library of Congress di Washington, nell’American Silent Feature Film Database. Al centro del film, il furto di quattro rubini dal British Museum, la ricerca dei colpevoli e la difficoltà di scoprire le vere identità dei protagonisti.
E ancora, The Happy Thieves (Furto su misura) di George Marshall (1961), con Rita Hayworth, Rex Harrison e Alida Valli, in cui viene organizzato il furto di un Goya al Prado, e nuovamente Goya nel film In trance (2012) di Danny Boyle, in cui il protagonista, dopo aver rubato il dipinto, non riesce a ricordare dove lo ha nascosto.

Geoffrey Rush in “La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore, 2012 ( https://www.madmass.it/la-migliore-offerta-recensione/.

In The Best Offer (La migliore offerta) di Giuseppe Tornatore (2012), con Geoffrey Rush, invece, l’atmosfera sospesa e surreale del film acquista improvvisamente realtà con il furto di una collezione privata di dipinti di figure femminili, e un inganno è al centro anche di All The Vermeers In New York (Tutti i Vermeer a New York) di Jon Jost (1991).

Ancora furti, ma in questo caso con un’ambientazione divertente, in The Pink Panther (La Pantera Rosa), 1963, e The Return of the Pink Panther (La Pantera Rosa colpisce ancora), 1975, di Blake Edwards, con il maldestro ispettore Jacques Clouseau, impersonato da Peter Sellers, impegnato a recuperare il più prezioso diamante del mondo, la Pantera Rosa.

Rowan Atkinson in “Bean: The Ultimate Disaster Movie” di Mel Smith, 1997 (https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/quando-la-storia-dell-arte-entra-nel-cinema-15-film-da-vedere).

Perché il museo può essere anche un luogo per ridere, come ben dimostra Bean: The Ultimate Disaster Movie (Mr. Bean. L’ultima catastrofe) di Mel Smith (1997), con Rowan Atkinson, pessimo custode nella National Gallery di Londra, inviato in un museo americano nelle vesti di improbabile critico d’arte; o Ghostbuster II di Ivan Reitman (1989), in cui la facciata dell’United States Customs House, attualmente National Museum of the American Indian, è stata utilizzata per rappresentare il Manhattan Museum of Art.

La corsa all’interno del Louvre in “Bande à part” di Jean-Luc Godard, 1964 (https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/quando-la-storia-dell-arte-entra-nel-cinema-15-film-da-vedere).

E può essere un luogo da smitizzare, con la corsa dei ragazzi all’interno del Louvre in Bande à part di Jean-Luc Godard (1964), per battere un record percorrendo tutto il museo in meno di 10 minuti; scena citata quarant’anni dopo, come omaggio a Godard, da Bernardo Bertolucci in The Dreamers (2003).
Idea ripresa anche nella realtà dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, con il titolo corsART, la prima corsa dentro un museo, in cui i visitatori venivano incoraggiati dagli operatori a correre nelle sale espositive, fotografarsi e condividere le loro foto sulla pagina Facebook della Fondazione.

Alberto Sordi e Anna Longhi in “Le vacanze intelligenti” di Alberto Sordi, 1978 (http://www.siscaonline.it/joomla/2019/ce-lo-meritiamo-alberto-sordi-critico-darte-le-nostre-piccole-vacanze-intelligenti/).

Ma un museo o, in questo caso, un’esposizione di arte contemporanea, può rappresentare anche un luogo estraneo e incomprensibile, lontano dalla sensibilità delle persone più semplici. Nell’episodio Le vacanze intelligenti, diretto da Alberto Sordi, della trilogia Dove vai in vacanza? (1978), una coppia di fruttivendoli romani, Alberto Sordi e Anna Longhi, va a visitare la Biennale di Venezia del 1978 su consiglio dei figli più istruiti.
Fin dall’inizio la coppia si sente fuori posto, non adeguata alle spiegazioni degli esperti. La donna cerca di dare un nome e un senso a opere che non capisce attraverso similitudini con la vita quotidiana: occhiali da sole, foglie, pecore vive, gli imbuti di Mimmo Conenna: «Pure io li metto così quando spiccio la cucina». Fino a quando, esausta per il continuo peregrinare, si accascia su una sedia e viene scambiata dai visitatori acculturati per un’opera vivente, valutabile intorno ai 18 milioni.

A Night at the Museum – Sleep Over at the American Museum of Natural History (https://littlekidbigcity.com/night-museum-american-museum-natural-history/).

Ma è la notte, quando i visitatori non sono ammessi, che il museo sembra acquistare un fascino particolare. Il caso più significativo è il grande successo di Night at the Museum (Una notte al museo) di Shawn Levy (2006), capostipite della serie, in cui gli oggetti esposti all’American Museum of Natural History di New York di notte, si animano. Con il Night at the Museum Tour, il sito del museo ripropone la visita dei luoghi delle riprese. Il film non solo ha fatto considerevolmente aumentare i visitatori del museo, ma ha anche dato avvio a iniziative e aperture straordinarie, anche nei musei italiani, che ne hanno ripreso il titolo: Una notte al museo, Nanna al museo.

La prima immagine diffusa di “Jurassic World: Fallen Kingdom” di Juan Antonio Bayona, 2018 (https://www.ilcineocchio.it/cinema/poster-e-titolo-ufficiale-per-jurassic-world-2-fallen-kingdom/).

L’American Museum of Natural History di New York è stato scelto da numerosi registi per le riprese dei loro film. I musei di storia naturale si sono spesso prestati ad ambientazioni per monster movie, come nel caso di Mimic di Guillermo del Toro (1997), dove la protagonista è la direttrice del dipartimento di entomologia di un museo, o The Relic (Relic – L’evoluzione del terrore) di Peter Hyams (1997), film in cui un antropologo, grazie alle bacche trovate in Amazzonia, si trasforma in una sorta di pericolosissimo rettile, il Kothoga. La produzione aveva previsto di girare il film nelle sale dell’American Museum of Natural History di New York, ma poiché il museo temeva che il film potesse spaventare i bambini e scoraggiarnee la visita al museo, le riprese vennero dirottate al Field Museum of Natural History di Chicago. Da ricordare, inoltre, che la prima immagine diffusa di Jurassic World: Fallen Kingdom (Jurassic World 2: Il regno distrutto) di Juan Antonio Bayona (2018) è stata quella di una ragazza, di spalle, nella sala di un museo di storia naturale, fra gli scheletri di dinosauri.

Episodio “Corvi” dal film “Sogni” di Akira Kurosawa, 1990 (http://www.schermodellarte.org/scheda_film.php?id=266&lingua=ENG&first_letter=1).

Il museo può essere inoltre il regno dell’onirico e del visionario, come nell’episodio Corvi tratto dal film Sogni di Akira Kurosawa (1990), in cui un giovane pittore (alter ego del regista), in visita a un museo, si ritrova proiettato dentro le opere di Van Gogh e corre alla ricerca dell’artista. Il rumore di un treno lo riporta bruscamente alla realtà, davanti al Campo di grano con volo di corvi in cui si era perduto.

Ma il museo può essere anche il luogo di una storia o della storia. È il caso di Arca Russa di Aleksandr Sokurov (2002), girato con un unico piano sequenza attraverso le sale dell’Ermitage e le varie epoche della storia russa. Ispirandosi al film, Apple ha scelto proprio l’Ermitage per lanciare il nuovo iPhone 11 Pro, riprendendo le sale del museo per più di cinque ore in un unico piano sequenza. E ancora Aleksandr Sokurov con Francofonia (2015), ambientato al Louvre durante la Seconda guerra mondiale, in un intreccio fra arte e potere; o Museum Hours di Jem Cohen (2012), ambientato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, sfondo e filo conduttore dell’amicizia fra una visitatrice canadese e un custode.

Anche il protagonista di Dopo mezzanotte di Davide Ferrario (2004) è un custode. Si tratta di Martino, guardiano notturno della Mole Antonelliana in cui è ospitato il Museo nazionale del Cinema di Torino. Martino passa le nottate a proiettare e guardare da solo film muti, fino a quando la sua vita si intreccia con quella di Amanda, alla ricerca di un luogo sicuro in cui nascondersi. Un gioco di specchi, in cui il museo protagonista del film, questa volta, è proprio il Museo del cinema.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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