L’esperienza Retravailler

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Il contesto in cui nasce, l’approccio sociologico, le basi di metodo, l’organizzazione, gli scopi e la realtà italiana di un percorso che ha molto a che vedere con l’orientamento, anche con quello scolastico: vediamo perché.

Solo considerando il momento storico e le circostanze socio-economiche che l’hanno ispirata e resa possibile si può comprendere un’esperienza formativa che ha coinvolto in circa quarant’ anni diverse centinaia di migliaia di adulti, soprattutto donne, e che dalla Francia si è espansa in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Svizzera, Belgio, Canada e Giappone.

Lo sviluppo economico successivo alla Seconda guerra mondiale aveva profondamente modificato la situazione occupazionale francese. Grazie a una crescita molto sostenuta del settore terziario e alle nuove forme di produzione indotte dallo sviluppo tecnologico si assiste tra gli anni Sessanta e Settanta a un ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro, e alla corrispondente svalutazione del ruolo economico del lavoro casalingo.

Scrive Évelyne Sullerot, ideatrice della metodologia e fondatrice dei centri Retravailler:

Per secoli le donne in casa sono state delle “produttrici”, il ruolo economico della casalinga si è profondamente ridotto dopo la Seconda guerra mondiale. Ogni prodotto è sempre più consegnato “pronto per l’uso”, manipolato, preparato in modo da non richiedere più alla donna del lavoro (di produzione e di trasformazione). Un tempo la presenza della donna in casa era indispensabile economicamente e altamente redditizia. Oggi in casa la donna è diventata un’utilizzatrice di prodotti già preparati e di macchine… E in modo confuso la donna si rende conto che se vuole contribuire al benessere familiare potrà farlo più efficacemente guadagnando del denaro all’esterno.1

Lo choc petrolifero del 1973 determina però l’inizio di una lunga crisi. La Francia, come altri Paesi europei, entra in una fase di ristrutturazione industriale e interi settori produttivi scompaiono o crollano. La disoccupazione aumenta, come aumentano gli uomini e le donne in cerca di lavoro, che tuttavia appaiono poco preparati ai cambiamenti in atto, cambiamenti sostenuti da una dirompente rivoluzione tecnologica. In questi sconvolgimenti emergono nuovi bisogni: se prima la disoccupazione implicava la ricerca di un nuovo datore di lavoro, ora spesso obbliga alla ricerca di una nuova professione; come sono indispensabili le riconversioni delle aziende, lo sono altrettanto i perfezionamenti professionali. In questa lotta contro la disoccupazione viene quindi data priorità alla formazione professionale degli adulti perché, mentre spariscono interi segmenti professionali, per contro, diventano necessarie nuove conoscenze e si uniscono professionalità un tempo separate che richiedono una formazione di maggior livello (ad esempio contabilità e informatica). E così, l’apparire di nuovi prodotti e di nuove forme di distribuzione richiede nuove competenze e apre la via a nuove professioni.

L’approccio sociologico

In questo contesto socio-economico prende il via l’orientamento professionale degli adulti, che da quel momento non cesserà di crescere, attraverso una pluralità di pratiche ed esperienze.

Ricordiamo che in Francia l’orientamento professionale nasce alla fine della Prima guerra mondiale, anch’esso periodo di cambiamenti e di crisi economiche, e trova la sua definizione in un decreto del 26 settembre del 1922 come «l’insieme delle operazioni che precedono l’inserimento dei ragazzi e delle ragazze nel commercio e nell’industria e che hanno lo scopo di mettere in luce le loro attitudini morali, fisiche e intellettuali».

Mentre ancora alla vigilia della Seconda guerra mondiale mantiene le caratteristiche di una pratica di transizione tra la scuola primaria e l’apprendistato, negli anni Cinquanta l’orientamento si allontanerà dall’insegnamento tecnico per integrarsi sempre di più nel sistema scolastico. Tanto è vero che i centri di orientamento scolastici e professionali saranno inseriti nelle competenze del Ministero dell’Istruzione e sempre più associati, a tutti i livelli, al processo di orientamento degli studenti.

Negli anni Settanta l’orientamento professionale degli adulti non sembra una pratica diffusa, ed è di competenza dell’A.N.P.E (l’agenzia nazionale per l’occupazione), ente istituito nel luglio del 1967, che si ritroverà negli stessi anni ad affrontare bisogni ben più complessi e generalizzati rispetto a quelli incontrati in una situazione di piena occupazione.

Scrive ancora Évelyne Sullerot in un suo report relativo ad una ricerca del 1979 sull’orientamento professionale e il reinserimento degli adulti:

[…] risulta che gli adulti sopra i 25 anni costituiscano la maggior parte degli utenti dell’A.N.P.E. che pongono all’agenzia i problemi più difficili. Le loro richieste sono caratterizzate dall’urgenza, la maggior parte ha familiari a carico. Per questi utenti un’occupazione è una questione vitale, una necessità imperiosa, un’occasione importante di ritrovare un’identità confusa. Hanno un passato, un’esperienza, delle abitudini, dei vincoli: per loro la ricerca di un nuovo posto di lavoro, soprattutto se deve essere diverso da quello precedente, non costituisce una tappa normale ma uno choc.2

Dai risultati di questa ricerca deriveranno delle raccomandazioni per indirizzare l’impiego di risorse economiche sulla formazione dei consiglieri di orientamento e sul potenziamento di azioni di accoglienza, valutazione e consulenza orientativa. Da questo momento il campo dell’orientamento si struttura e si organizza attraverso esperienze diversificate. Imprese e strutture pubbliche che operavano prevalentemente per i giovani aprono spazi agli adulti, e nascono i CIO (Centri di informazione e orientamento).

Poiché la Francia, per accompagnare le trasformazioni economiche, ha introdotto un sistema di formazione professionale continua incentrato sugli occupati, per le donne che intendono rientrare nel mondo del lavoro remunerato dopo un’interruzione più o meno lunga o che vogliano entrarvi per la prima volta si presentano varie e profonde difficoltà. Ne possiamo ricavare un breve sunto da una relazione del 1975 di Sullerot sull’occupazione femminile, in cui scriveva:

[…] sono emerse gravi lacune nella formazione professionale delle donne, il solo strumento per vivere le rapidissime trasformazioni. La loro istruzione di base si è rivelata scarsa e inadatta e questo svantaggio non pesa solo sulle ragazze e sulle giovani donne che iniziano la loro vita lavorativa, ma anche, e spesso più duramente, sulle donne che hanno superato i 35 anni, costrette da motivi diversi ad interrompere per molti anni la loro attività e che desiderano e molto spesso, devono, riprendere a lavorare.3

Tutti elementi che vanno ad aggiungersi alla discontinuità di carriera, caratteristica della vita lavorativa delle donne già di per sé causa di difficoltà nell’accesso al lavoro per quante cercano di reinserirsi. La ricerca di Sullerot intendeva dunque approfondire come le donne vivevano questo reinvestimento, le loro incertezze e gli interrogativi sulle loro capacità e ambivalenze. Per contro, se il lavoro fuori casa si rivela economicamente interessante, avere un’attività extra familiare assume anche un carattere di valorizzazione del sé, perché conferisce alle donne un’identità sociale in un mondo che è sempre più determinato dall’economia, e nel quale ognuno definisce sé stesso mediante la risposta alla domanda «che lavoro fai?».

Le basi metodologiche

Da indagini e ricerche sociologiche e da confronti con altre realtà europee che presentavano gli stessi dati vengono individuate le aree problematiche sulle quali verrà strutturata la démarche [cammino, strada, N.d.R.] offerta alle donne che intendono rientrare nel mondo del lavoro retribuito e che saranno alla base dell’esperienza Retravailler:

  • dopo anni dedicati alla famiglia e all’educazione dei figli, una donna non è più in grado di valutare le proprie capacità in rapporto al mondo del lavoro;
  • essendo totalmente priva di allenamento, non è in grado di affrontare con sicurezza le prove per l’accesso al lavoro, si sente arrugginita;
  • è priva di informazioni adeguate sulla vita economica e amministrativa, sui profili professionali e sull’offerta formativa;
  • ha un’immagine del mondo del lavoro condizionata dall’emotività: talvolta ne ha timore profondo, diversamente ne ignora obblighi e vincoli.

Il percorso orientativo Retravailler viene dunque concepito come un breve periodo di adattamento, uno spazio tra vita familiare e vita professionale della durata di qualche settimana; un tempo in cui fattori psicologici, familiari, istituzionali, sociali ed economici possano essere presi in considerazione e portati a fondare una progettualità professionale, realista e consapevole.

Évelyne Sullerot definiva questo luogo “un crocevia”, in quanto punto di incontro tra l’insieme delle possibilità, aspirazioni e competenze professionali dell’individuo e, dall’altra parte, la situazione del sistema formativo e del mercato del lavoro e dei suoi sistemi di accesso.

Negli stessi anni in cui in Francia si va costruendo il sistema di orientamento degli adulti, in Canada nel 1974 i consiglieri di orientamento, attraverso un confronto pluridisciplinare composto da pedagoghi, ricercatori sociali, psicologi e sociologi, si interrogano sul proprio ruolo e definiscono le tematiche dell’orientamento come punto di convergenza in cui si intreccia la doppia dinamica della trasformazione del mondo socio-economico e dell’evoluzione personale dell’individuo. Si faranno interpreti di tale confronto tra gli altri C. Bujold, C. Noiseaux, D. Pellettier, che rafforzeranno l’elaborazione teorica francese con l’approccio denominato A.D.V.P. (Activation du Développement Vocationnel Personnel) con il quale si offrirà ai professionisti una concezione operativa dello sviluppo vocazionale e un modello di intervento in grado di favorire un rinnovamento importante nell’esercizio dell’orientamento.

Questa fertile osmosi tra studi, analisi, ricerche ed esperienze, testimone di un’autentica passione per uno strumento in evoluzione com’era l’orientamento degli anni Settanta, consente a Retravailler di tradurre nella sua pratica professionale le acquisizioni teoriche che si andavano definendo di qua e di là dall’oceano Atlantico.

Individuando quindi l’orientamento come un percorso di accompagnamento di un soggetto ricco di esperienze verso la consapevolezza dei propri affetti, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti per concettualizzarli, organizzarli e trarne un significato, vengono posti alla base della metodologia Retravailler alcuni punti fermi, quali:

  • la centralità della persona considerata come l’oggetto e il soggetto responsabile di tutto il processo;
  • la consapevolezza per l’orientatrice/tore di doversi limitare a fornire alle/ai partecipanti gli strumenti per orientarsi puntando all’auto-orientamento ed evitando pilotaggi o forme di assistenza;
  • lo sviluppo dell’autonomia della persona, considerandola un’esploratrice in grado di scoprire le potenzialità personali e professionali, di conoscere le caratteristiche del contesto e di valutarle non come elementi immutabili e definitivi, ma come dati in evoluzione e in interazione;
  • l’apprendimento attraverso l’esperienza di saperi, di saper fare e saper essere, utili nel futuro personale e professionale;
  • la socializzazione come processo che si realizza attraverso il gruppo e fa emergere la persona nella sua triplice dimensione di oggetto, soggetto e agente della socializzazione stessa.

Nel quadro di un percorso di orientamento attivo così concepito, gli interrogativi sulla scelta lavorativa vengono considerati problemi che richiedono alla persona di raccogliere delle informazioni ampie sulle proprie potenzialità, sulle possibilità offerte dal contesto socioprofessionale, e che le faccia interagire per poter operare delle selezioni, formulare delle ipotesi ed effettuare delle scelte. Secondo Piaget, «Le nostre conoscenze non provengono dalle sensazioni o dalle percezioni considerate singolarmente, ma da tutta l’azione, in cui la percezione ha solo la funzione di segnale. È proprio dell’intelligenza non tanto il contemplare ma il trasformare, e il suo meccanismo è essenzialmente operativo…»4: la persona dunque impara a conoscere e si costruisce attraverso l’azione. Da qui l’offerta alle partecipanti agli stage Retravailler di un certo numero di compiti, di passi da compiere, di esperienze favorevoli alla scoperta. Saranno inoltre invitate a classificare, a dare un ordine e un senso alla propria esperienza. In altri termini, saranno accompagnate a elaborare cognitivamente un insieme di informazioni e vissuti.

Al fine di raggiungere l’obiettivo di offrire a tutti gli adulti la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità per trovare una collocazione nell’ambiente di lavoro prescelto e l’individuazione di sé nel proprio percorso personale, Retravailler si dà una strategia pedagogica basata su strumenti quali:

  • il gruppo: riconosciuto come un ambiente protetto in cui imparare relazioni diverse e come spazio di transizione verso un’organizzazione lavorativa. Concepito come uno strumento di conoscenza di sé attraverso lo sguardo dell’altro e come mezzo in grado di rinnovare dinamiche interattive divenendo quindi luogo di scambio e di sostegno psicologico tra i/le componenti.
  • la trasparenza: come condizione per impegnare le persone in un percorso attivo, per mobilitare le energie, per suscitarne l’interesse. Il percorso definito all’inizio serve come punto di ancoraggio e dà un significato ai diversi compiti che verranno proposti. Consente una valutazione continua e prefigura la meta.
  • il fattore tempo: una dimensione indispensabile da tenere presente attentamente per accompagnare i ritmi individuali, la sperimentazione di tempi definiti e la maturazione delle diverse tappe del processo di orientamento e di presa di decisioni.
  • la conduzione d’aula: l’accompagnamento delle/dei singole/i partecipanti e del gruppo è concepito come una mediazione che sollecita la partecipazione di tutti, facilita la comunicazione verbale, porta il gruppo verso il raggiungimento degli obiettivi.
  • l’autovalutazione: intesa come appropriazione di quanto emerge di sé e delle proprie potenzialità, costituisce il valore essenziale dell’autonomia ed è quindi un mezzo per diventare protagoniste/i del proprio orientamento nel contesto in cui si vive.

La struttura metodologica comprende di conseguenza contenuti che, a partire da esercizi e attività individuali e collettive, permetteranno la conoscenza di sé e la riattivazione delle attitudini come l’attenzione concentrata, la memoria, la percezione, l’organizzazione spaziale, il ragionamento logico, l’immaginazione, il senso pratico, operazioni matematiche, il lessico, abilità manuali e, a partire da metà degli anni Ottanta, l’avvicinamento all’informatica.

È importante sottolineare che il materiale d’aula viene presentato in forme inconsuete; vengono assicurati momenti ludici, spesso sorprendenti, che ingenerano piacere, curiosità, meraviglia: tutti fattori stimolanti tanto il gruppo quanto le singole componenti. Il gioco, secondo la valenza che Winnicott gli attribuisce, viene ad assumere anche nell’adulto un valore formativo.

Il lavoro sulle attitudini, sugli interessi, sulle qualità favorisce in modo evidente la ripresa della fiducia in sé, che però si rafforza e cresce nel momento della presa di contatto con il contesto socio-lavorativo. La figura della consigliera professionale, che ad un certo punto del percorso affianca l’orientatrice/tore, o le altre figure esperte invitate di volta in volta allo scopo di fornire le informazioni basilari sugli ambiti economici e le principali strutture d’impresa, il mercato del lavoro e il suo funzionamento, le professioni in termini di attività e accesso, rappresentano solo uno stimolo e una facilitazione per quella che sarà la conoscenza del contesto che il soggetto si costruirà andando incontro a esso. È per questa scelta pedagogica che le/i partecipanti al percorso Retravailler sono accompagnate/i a imparare a informarsi e a costruire in autonomia le proprie rappresentazioni del mondo del lavoro, delle professioni e della formazione, secondo tempi propri di ciascun individuo.

L’accompagnamento post-stage, il cosiddetto Suivi, rappresenta infatti lo spazio, individuale o collettivo, nel quale si osserva la realizzazione del progetto professionale elaborato, se ne analizzano i passi compiuti, si perfezionano le piste, si individuano meglio i fattori di successo o insuccesso, ci si rimette in moto verso vie differenti. Succede, ad esempio, che ulteriori informazioni o una diversa opportunità incontrata a conclusione dello stage permettano al progetto di ridefinirsi e realizzarsi.

Retravailler in Italia

L’estrema flessibilità e adattabilità dimostrata dalla metodologia anche in contesti regionali e nazionali diversi, perché pensata per i periodi di cambiamento economico (in Francia da Parigi si diffonde in poco tempo in più di 200 città), consente ad alcune donne in riconversione professionale di avviare a Milano nel 1986 il primo Centro Retravailler. L’iniziativa registra in Italia un notevole sviluppo. Nel corso di 5 anni si è già costituita una fitta rete di Centri distribuiti su tutto il territorio nazionale, che operano in stretta connessione tra loro attraverso un proprio coordinamento formalmente istituito. Nella rete sono presenti sia centri pubblici sia privati, di varia natura giuridica (per lo più piccole associazioni non riconosciute e cooperative), dove operano orientatrici debitamente formate alla metodologia attraverso percorsi in affiancamento a orientatrici senior.

La struttura organizzativa

A fronte della costante crescita quantitativa e qualitativa delle attività e delle realtà locali, si presenta ben presto l’esigenza di strutturare in modo stabile le relazioni che, all’interno della rete e verso l’esterno, si sono nel frattempo moltiplicate. Considerato inoltre che le sue componenti hanno già messo in comune, oltre alle finalità sociali, anche tutto il patrimonio didattico e progettuale, vi è contemporaneamente la necessità di caratterizzare la rete attraverso un insieme di servizi che irrobustiscano la comunicazione interna e sostengano lo sviluppo locale delle attività, tanto più che stanno diventando strutturali le azioni di servizio esterno conseguenti alle richieste di collaborazione di interlocutori pubblici e privati relativamente a progetti molto impegnativi.

Nel 1992 a Bologna viene dunque operata la scelta di costituire l’Associazione Cora (Centri di Orientamento Retravailler Associati), al momento composta da 15 centri attivi in 9 regioni. Sebbene la metodologia importata abbia già subìto rielaborazioni e arricchimenti da altri contributi teorici, viene mantenuto il nome Retravailler, riconoscendo in questa scelta la matrice comune con la Francia.

Cuore metodologico e asse portante dell’associazione è il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) che riunisce tutte le figure professionali presenti nei centri associati, dalle orientatrici alle consigliere professionali, alle formatrici, e attraverso il quale vengono realizzati scambi e confronti periodici sulle pratiche e sulle esperienze in atto; si confrontano apporti teorici innovativi; si elaborano, si sperimentano e si approfondiscono nuove metodologie, tecniche e supporti didattici; si rendono omogenei e si omologano moduli derivati dalla metodologia; si selezionano le orientatrici e gli orientatori, le formatrici e i formatori e le/i consigliere/i professionali; si organizzano moduli formativi e di aggiornamento in risposta ai bisogni espressi dai centri; si elaborano banche dati aggiornate in tempo reale che facilitino l’informazione interna ed esterna.

In ogni centro, sia pubblico sia privato, le figure professionali si diversificano con l’aumentare delle dimensioni del centro stesso (la responsabile del centro con funzioni organizzative e gestionali, le formatrici, le orientatrici e le consigliere professionali che gestiscono la progettazione, il lavoro d’aula e l’accompagnamento post-stage, oltre alle esperte che intervengono su problematiche diverse come informatica, mercato del lavoro, statistica); è condizione indispensabile per la costituzione di un nuovo centro che voglia aderire a Cora la presenza di almeno un’orientatrice/tore che risponda al profilo definito e abbia compiuto l’iter formativo di base, che prevede: tirocinio di formazione, con affiancamento in aula di una formatrice senior della durata di 120 ore; modulo di verifica con la formatrice dopo la gestione di un primo stage; seminario annuale di 2/3 giorni di confronto sul ruolo, sugli strumenti e sulla gestione d’aula; formazione complementare all’ADVP.

Il Comitato Tecnico Scientifico alla fine degli anni Novanta arriverà a essere composto da un centinaio di operatrici/tori provenienti dai 30 centri Cora distribuiti in tutte le regioni del Paese, si doterà di un proprio codice etico, sottoscritto da tutte le operatrici, nel quale si definiscono alcune basilari norme di comportamento professionale, allestirà un albo professionale per garantire omogeneità sia nella qualità della formazione conseguita sia nell’accesso alla professione, e costruirà una banca dati in grado di offrire una lettura sociologica della partecipazione alle attività sviluppate nelle differenti aree socio-economiche del Paese.

Il codice etico adottato dall’Associazione Cora merita di essere riportato nella sua interezza, in quanto espressione della mission associativa:

La metodologia Retravailler si fonda su alcuni princìpi adottati nell’intera rete italiana:

  1. Ogni persona è accolta nella sua globalità e nella sua specificità di genere.
  2. Ogni persona è capace di evoluzione e di cambiamento a partire dalle esperienze, conoscenze e potenziale emotivo.
  3. Ogni persona deve poter trovare il senso e la direzione della sua evoluzione personale e professionale: può diventare l’esperto di sé grazie ad un percorso guidato di auto-valutazione e di auto-orientamento.
    La pratica deriva dai seguenti princìpi:
    – l’orientamento risponde alle esigenze di crescita personale e di realizzazione professionale degli uomini e delle donne in una società in continuo mutamento, al fine di permettere scelte consapevoli; – l’orientamento deve tener conto della persona nel suo insieme come soggetto-attore delle scelte della propria vita e come portatrice di potenzialità che si possono valorizzare.
    Per raggiungere questi obiettivi la metodologia Retravailler fa riferimento:
    a. al gruppo
    – il gruppo come luogo di interazione
    – il gruppo come spazio per sperimentare altri tipi di relazione
    – il gruppo come conoscenza di sé attraverso lo sguardo dell’altro
    – il gruppo come supporto formativo
    b. al desiderio/motivazione
    – come motore dell’azione
    – come riattivazione delle attitudini
    – come spazio al sogno e all’ampliamento delle “possibilità” che facilitano l’elaborazione del progetto
    c. al tempo
    – come riconoscimento del ritmo personale
    – come elemento di maturazione delle differenti tappe del processo di orientamento
    – come riconoscimento della fase di transizione nella quale si trova la persona.

I target e le tipologie di intervento

Osservando lo sviluppo della rete attraverso le statistiche elaborate dall’associazione si può rilevare quanto la domanda di orientamento sia andata diversificandosi, e con essa i target e le tipologie di intervento, sempre più adattate alle diverse età, generi, contesti lavorativi e formativi.

Allo stage classico di 120 ore per donne adulte in cerca di lavoro tra i 25 e i 55 anni, si affiancano quelli per giovani donne e uomini dai 18 ai 29 anni della durata di 80/100 ore, dove il peso delle componenti formative risulta molto ampio, così come si osserva che la domanda di orientamento da parte dei ragazzi e delle ragazze degli ultimi anni delle superiori porta rapidamente a offerte orientative molto diversificate, che passano da semplici incontri informativi su corsi universitari o professionali a veri e propri percorsi orientativi della durata media di 40 ore per gruppi di 10-15 studenti. Trovano molto spazio anche esperienze con insegnanti che già si occupano di orientamento, mirate ad ampliare e approfondire aspetti metodologici e teorici, e che si attestano su una durata che va da un minimo di 10/12 ore fino a 20 ore.

Sebbene, soprattutto nella prima fase, l’attività dei centri Cora fosse prevalentemente rivolta a donne disoccupate, alcuni centri hanno ben presto cercato di dare risposte anche ai bisogni delle persone che già lavorano e non sono soddisfatte del proprio lavoro o intendono sviluppare la propria posizione professionale. Vengono pertanto offerte consulenze individuali o forniti moduli di tecniche per la ricerca attiva del lavoro.

Progressivamente l’orientamento Retravailler ha visto l’allargarsi dell’esplorazione verso il lavoro autonomo, facendo registrare una crescente attenzione ai temi dell’imprenditoria e dell’autoimpiego: dapprima attraverso moduli introdotti negli stages classici, poi con l’organizzazione di moduli specifici. Sono molti i centri che progettano e promuovono orientamento e formazione all’imprenditorialità, interventi di sostegno alla creazione d’impresa, corsi propedeutici alla costituzione di strutture associative autogestite.

Come il colloquio di orientamento e il bilancio di competenze diventano nel tempo momenti fondamentali dell’attività dei centri, altrettanto avviene per i servizi di supporto informativo costituiti da biblioteche, audiovisivi, banche dati, documentazione su mercato del lavoro, professioni, profili professionali, formazione, legislazione, bandi di concorso, inquadramenti lavorativi.

Fin dai primi anni Novanta si osserva il crescere impetuoso della progettualità della rete, impegnata sia in realtà territoriali e target locali, sia nella dimensione nazionale e interregionale. Ne sono un esempio gli interventi realizzati nelle Case circondariali, finalizzati, oltre che alla motivazione o ri-motivazione al lavoro, anche alla costruzione di bilanci di competenze dei/delle detenuti/e, interventi circoscritti che rappresenteranno la base per la successiva evoluzione in programmi di dimensione interregionale riguardanti più Istituti detentivi aventi il medesimo interesse a confrontarsi sulle metodologie per accompagnare i propri detenuti e detenute verso il fine pena.

Tra gli altri, un significativo esempio di progettualità teorico-metodologica su scala nazionale, capace di ingaggiare l’intera rete, lo si può osservare con il Progetto “Fasce deboli-Progetto donna”, un intervento sperimentale per persone espulse dal mercato del lavoro e in cassa integrazione da oltre 10 anni che raggiungerà 2.185 donne residenti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia, Sardegna. L’intera esperienza del Progetto verrà resa oggetto di studio attraverso una ricerca di cui, nel gennaio del 1997 a Roma, Cora presenta i risultati nel suo primo convegno nazionale, dal titolo “La città invisibile. I soggetti e i percorsi di orientamento”.

La ricerca riconosce quale elemento cruciale per le molte ricadute del Progetto l’attenzione ai sistemi territoriali e il loro coinvolgimento nelle azioni di orientamento, elemento che CORA porta nel suo know how grazie alla metodologia “Retravailler”, ma che nella specifica esperienza trova occasione di emergere in termini di progettualità originale e costituirà uno dei fattori di rafforzamento della sua identità organizzativa.

Identità che trova alimento in primo luogo dalla sua prassi operativa contenuta in uno schema così identificabile: esperienza-analisi degli esiti-contestualizzazione-valutazione-riprogettazione, e, secondariamente, dalla progettualità europea sviluppata grazie all’appartenenza ad EWA, la rete dei Centri Retravailler sorti in più Paesi a partire dal 1988.

La rete Ewa (Europe Work Action)

La rete europea dei Centri Retravailler nasce per iniziativa dell’Unione nazionale dei centri francesi per raggruppare e coordinare i centri europei nati sull’onda del successo espansivo della metodologia Retravailler il cui scopo è, in primo luogo, di capitalizzare le pratiche pedagogiche, e, in secondo luogo, di formare e aggiornare le formatrici e i formatori con attenzione alla diffusione dei contenuti e delle metodologie maturate nei singoli contesti socio-economici di appartenenza dei centri.

Il suo Consiglio di Amministrazione è composto da rappresentanti di tutti i Paesi aderenti, mentre gli organi esecutivi, a cominciare dalla presidenza, vedono ruoli e responsabilità assegnati a turno a singole rappresentanti nazionali elette in seno all’assemblea dei centri associati.

Da questo livello organizzativo si svilupperà ben presto un forte impulso alla progettualità proposta dai diversi programmi dell’UE su tematiche di cui, a titolo d’esempio, citiamo la “Valorizzazione e riconoscimento delle competenze personali e professionali delle donne in Europa – l’individualizzazione dei percorsi”, e quelle relative al contrasto agli stereotipi di genere con il progetto: “Stere/o: dare la caccia agli stereotipi di sesso che agiscono sulla divisione del lavoro nell’Europa allargata”, fino all’influenza della dimensione economica nelle scelte di vita di donne e uomini con “Dow Jane: le rappresentazioni di donne e uomini dei valori del lavoro e del denaro”. Progetti realizzati in partenariati, all’interno dei quali EWA, in qualità di capofila, ha potuto apportare contributi metodologici forti di un’esperienza condivisa da molte realtà operative che ne avevano potuto vagliare la validità e, allo stesso tempo, ricevere stimoli da esperienze, ricerche e culture differenti per realizzare innovazioni metodologiche finalizzate a sostenere i diversi soggetti in transizioni lavorative ed esistenziali, il tutto in un mondo del lavoro in rapide e continue trasformazioni.

La vasta capacità progettuale di EWA si protrae per oltre vent’anni; di ogni progetto europeo sono stati prodotti report dettagliati oggi rintracciabili negli archivi del Polo del Novecento e ai quali sarà possibile, entro l’anno in corso, accedere più facilmente attraverso il suo portale.


Note

  1. E. Sullerot, La femme dans le monde moderne, Hachette, Paris 1970.
  2. E. Sullerot, L’orientation professionnelle et la reconversion des adultes, rapport remis à R. Boulin, ministre du travail et de la participation, Paris 1979.
  3. E. Sullerot, Retravailler après 35 ans, étude sur une expérience de stages courts de formation préliminaire et d’orientation professionnelle pour les femmes qui n’ont jamais travaillé ou se sont longuement interrompues et qui désirent entrer dans la vie active entre 35 et 55 ans, Paris 1975.
  4. J. Piaget, Le mythe de l’origine sensorielle des connaissances scientifiques, Actes de la Société helvétique des Sciences naturelles, Neuchâtel 1957.
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Amelia Andreasi Bassi

Formatrice, esperta di orientamento, ha fondato l’Associazione Idea Lavoro Onlus che dalla fine degli anni Ottanta ha diffuso in Piemonte i princìpi della metodologia Retravailler e ADVP (Activation du Developpement Vocationel Personel). È Presidente di CORA (Centri di Orientamento Retravailler Associati). Per la Regione Piemonte è stata consulente del progetto “Bottega Scuola” e Presidente della Commissione Regionale per le Pari Opportunità. Ha curato con Lucia Bianco per la Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci la pubblicazione Diventare Cittadini, EGA editrice.

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