Invidio al collega Simone Giusti l’avere proposto solo per due volte Leopardi ai suoi allievi, il che significa che è ben più giovane di me. Io non ricordo quante volte l’abbia fatto, in 25 anni di scuola: penso – così, a spanne – almeno una quindicina…
Mi piacerebbe però anche sapere – il che è per me fondamentale – in quale tipo di scuola superiore egli abbia suggerito questo approccio, e – francamente – vedere almeno qualcuno di questi “prodotti” che i suoi allievi hanno costruito partendo da Leopardi e dintorni. Così potrei davvero cogliere in concreto quello che a me sfugge sempre in astratto del concetto di “competenze”!
L’operazione di Giusti è ambiziosa, innovativa e – sicuramente – stimolante. Mi piacerebbe però sapere come si concili davvero con la necessità (che non è solo universitaria, attenzione…) di insegnare ai nostri alunni elementi di storia letteraria, come pure a leggere, fruire, analizzare i testi con un minimo di autonomia. Anche queste (o soprattutto queste) sono competenze, credo.
Dirò pertanto perché si tratta di un percorso didattico che mi convince poco. Anzitutto, dopo la fase iniziale “da detective” (parole sue), non condivido la scelta di “partire dal web”: ma – dannazione – perché, perché sempre e solo da lì? E basta con ‘sta storia dei “nativi digitali”! Perché non proporre invece la rete come punto di arrivo, di supporto, di confronto… Perché, davanti a un autore difficile come il nostro, non sfruttare – magari – una bella mappa concettuale, un’accurata tavola cronologica che i nostri libri hanno; mostrare agli alunni così, su due piedi, che il 1816 – dopo l’inizio della Restaurazione – tutti volevano dire la loro su Classicismo e Romanticismo, anche Giacomo Leopardi; e che il nostro – rinchiuso nella prigione-paradiso della biblioteca paterna – lesse libri e maturò idee che cambiò nel corso della sua vita. Sì, cambiare idea, sul mondo antico, sulla natura, sulla felicità-infelicità… e mediare la propria dolorosa solitudine con quanto dicevano i libri scritti da altri. Questo non è il web a dircelo, ma la biografia stessa del poeta, e la voce del professore che commenta qualche testo da lui scritto. È una competenza capire che il vissuto di un uomo può essere confrontato con quello di altri? Non lo so, ma è straordinario che i giovani lo capiscano. È una competenza capire che furono la filosofia, la cultura, a salvarlo dal suicidio e dal cupio dissolvi facendogli capire che la sua era una condizione universale? Non lo so, ma va detto e ribadito: la stessa conoscenza che ti provoca infelicità, ti dà la dignità di sopportarla. Per me – misurabile o no con una batteria di crocette – è il massimo (o quasi) che la scuola ti possa insegnare a essere: un uomo consapevole della propria fragilità e della propria grandezza, indissolubilmente connesse. E lo possono e devono capire non solo i miei “intellettualini” del Liceo Classico…
Certamente tra la siepe dell’Infinito e The Wall dei Pink Floid (e con tutto il resto che Giusti propone) si possono suggerire numerose interconnessioni, ed è bene che sia così, ma cum iudicio… Infatti una collega, Elena, giovane e brillante italianista (e non vecchio classicista come il “bacchettone” che sta ora scrivendo), dopo avere letto il pezzo di Giusti mi ha inviato una email, che condivido, dicendo: Così si perde il senso della diacronia, della distanza: tra L’Infinito e The Wall, tra Leopardi e me, persino (non dimentichiamolo) tra i Pink Floyd e i giovani del nuovo millennio. Si perde il senso della relazione tra un’idea e il suo tempo. Leopardi diventa come Argo e Micene nei versi omerici o la cavalleria nei romanzi di cappa e spada: un’impronta la cui aura di autorità è già un segno di morte. Insomma, i collegamenti sono possibili, ma pericolosi…
Ma l’idea che un suo studente – perché consigliato dalla sua ragazza – abbia scelto di concludere l’iter del lavoro in classe con una produzione su Quasimodo e non su Leopardi, e che la sua risposta venga considerata “carina” (sic!) e “competente”, questa non posso accettarla. Certamente mi sembrano più evidenti le “competenze” retoriche della ragazza di costui, se la sua forza persuasiva è arrivata a tanto; e va già bene che si tratta di una classe quarta, altrimenti la nostra fanciulla avrebbe dovuto convincere anche i Commissari esterni dell’Esame di Stato che le loro domande su Leopardi erano fuori posto. “Meglio, dieci, cento, volte Quasimodo: e poi, su, sempre poeti sono, no?”
Non credo saranno né i filmati o i disegni proposti dal collega Giusti, né le mie interrogazioni sul pessimismo cosmico o sul “Leopardi progressivo” a salvare i nostri alunni dal rischio di diventare come l’onorevole buzzurro e fariseo di cui parla Sandro Invidia (tra l’altro, ho sì colleghi parlamentari, ma non ex alunni: grazie a Dio sono medici, avvocati, ricercatori, insegnanti, etc… nonché – purtroppo – parecchi disoccupati!). Però vorrei che qualunque mestiere facessero, alla richiesta di svolgere un compito di un certo tipo facessero quello, non un altro. Una volta (che vecchio che sono: è la seconda volta che lo ricordo…) si diceva che a scuola si dovevano “rispettare le consegne”, usando un termine mutuato dal servizio militare. Io, che pure sono pacifista, ho fatto la naja millenni fa: sarà per questo che non voglio un futuro cameriere che – se gli ordino lasagne – mi porti una cotoletta, né un futuro notaio che – invece di rogitarmi la casa – mi faccia fare testamento? Soprattutto se mi obbliga (‘ste donne…) a nominare erede universale sua moglie: la stessa che vent’anni prima lo aveva convinto a scambiare Leopardi con Quasimodo…