Domande legittime, ma forse un po’ oziose: serve davvero dare regole e scopi a un’attività come la lettura, libera per definizione? Scuola a parte, a nessuno – in un Paese democratico – viene in mente di imporre la lettura di un testo. Scuola a parte! In aula, infatti, il “consiglio” di lettura sembra avere ancora un senso: punto di partenza di ogni ponderata educazione linguistica e narrativa; palestra per l’acquisizione di competenze specifiche; pratica costante in vista del traguardo più ambizioso: la formazione di cittadini colti e consapevoli. In questo numero proviamo a interrogarci e, soprattutto, a interrogare autori, scrittori, attori, educatori, insegnanti e studenti su questo tema fortemente attuale: si legge a scuola? E come si legge? Cosa? Per chi? Con che esiti?
Volendo ridurre all’osso, direi che:
• Si legge per il gusto.
• Si legge per sé e si legge per gli altri.
• Si legge per imparare qualcosa, su di sé e sugli altri.
• Si legge da sempre, anche se con modalità diverse da epoca a epoca.
Certo, così non si rende giustizia alle analisi e alle sfumate riflessioni dei tanti che hanno scritto a riguardo. E nemmeno del generale interesse che l’argomento ha suscitato immediatamente presso tutti i nostri corrispondenti: dovessi fare un paragone, direi che questo è stato uno dei numeri più facili da “riempire” e tra i più difficili da realizzare, tanti e tali sono stati i tagli resi necessari dall'”affollamento” dei contributi.
Come se questo, della lettura nella “mediasfera” (rubo l’espressione a Raffaele Simone), fosse uno dei temi caldi e sentiti del momento. Uno di quelli su cui tutti, più o meno, volenti o nolenti, prima o dopo, hanno sentito la necessità di formarsi un’opinione.
Vittorio Viviani
Ottavia Piccolo
Sonia Bergamasco
Fabrizio Gifuni