Nel simpatico episodio Le vacanze intelligenti del film Dove vai in vacanza? (1978), una coppia di fruttivendoli romani, Alberto Sordi e Anna Longhi, va a visitare la Biennale di Venezia del 1978 su consiglio dei figli più istruiti. La coppia si sente fuori posto, non adeguata alle spiegazioni del “professore” che guida i visitatori. La donna cerca di dare un senso a opere che non capisce attraverso il confronto con la sua esperienza quotidiana: occhiali da sole, foglie, pecore vive, gli imbuti di Mimmo Conenna: “Pure io li metto così quando spiccio la cucina”. Fino al momento in cui, esausta, si accascia su una sedia mentre il marito le va a prendere qualcosa da bere e viene scambiata dai visitatori acculturati per parte di un’installazione.
In questo periodo si ha la sensazione che una gran parte dei turisti in visita alle nostre città d’arte non provi nemmeno più a cercare un senso in quello che li circonda. O comunque, non considerino l’arte qualcosa da rispettare.
Se il turista fa i suoi bisogni contro la cupola del Duomo di Firenze, è colpa di Brunelleschi che non ha pensato ai bagni.Ne abbiamo un esempio nei numerosi casi di vandalismo riportati dalla cronaca degli ultimi mesi. Firenze può vantare un elenco impressionante di esempi: ne selezioniamo qualcuno. In marzo una turista giapponese ha scritto firma e data con una matita per il trucco sulla cupola del Duomo, luogo in cui, in giugno, un turista canadese ha pensato bene di urinare, lamentandosi del fatto che non esistessero servizi igienici sulla sommità. Colpa di Brunelleschi, insomma. E pensare che l’architetto, per non perdere tempo durante i lavori di costruzione, aveva probabilmente previsto che vi fossero punti di ristoro per gli operai nella cupola (anche se non proprio le osterie con le cucine di cui parla Giorgio Vasari); non aveva però pensato ai bisogni di un turista del XXI secolo.
Sempre a Firenze, in maggio, un altro visitatore ha staccato il mignolo della mano sinistra della figura di Polidoro nel Ratto di Polissena di Pio Fedi, sotto la Loggia dei Lanzi e se lo è portato a casa come ricordino. Era già successo nel 2013 e nel 2009: tutte le dita della mano erano già state rimpiazzate per i numerosi atti vandalici a cui è stata sottoposta. Come conseguenza, a titolo sperimentale, alla fine di giugno lo spazio della Loggia dei Lanzi è stato delimitato da un cordone nelle ore di punta (11-17) e l’accesso concesso a numero chiuso e a tempo determinato.
A Roma, pochi giorni fa, un turista libanese è stato sorpreso mentre incideva delle lettere sul Colosseo; lo scorso marzo era stata la volta di due turiste americane che avevano inciso le iniziali dei loro nomi per poi scattare una foto ricordo. La turiste si sono dichiarate pentite, ma non immaginavano di aver compiuto un gesto così grave.
I viaggiatori aristocratici che, nel Settecento, intraprendevano il Grand Tour, apprezzavano le rovine. Spesso si facevano ritrarre dai pittori sullo sfondo dei monumenti di Roma e acquistavano dipinti di vedute a Venezia. Una volta il viaggio era parte dell’educazione, un atto formativo, iniziatico. Come ci ricorda in saggi e articoli Cesare de Seta, il viaggio era un evento irripetibile e indimenticabile, un evento eroico la cui preparazione poteva richiedere anni. Chi intraprendeva un viaggio lo faceva per formare la propria personalità, per educarsi alla scoperta dell’altro da sé. E scoprire, di conseguenza, anche se stesso.
Il turismo di massa, che fagocita luoghi ed esperienze senza metabolizzarli e capirli, sta distruggendo le città“Tutti i viaggiatori prima dell’avvento della ferrovia percepivano la realtà con un passo che era quello della carrozza: con la ferrovia, l’automobile, il jet c’è stata una rivoluzione epocale. La velocità dei mezzi di trasporto è stata motivo di un trauma profondissimo nella mente di chi viaggia” (Cesare de Seta, Goethe e C., mai turisti per caso, in «Corriere della Sera», 27 luglio 1996). Certo sarebbe impensabile e anacronistica una preparazione al viaggio come quella di secoli fa. Ma il turismo di massa, che fagocita luoghi ed esperienze senza metabolizzarli e capirli, sta distruggendo le città. Da anni la stampa internazionale critica il fenomeno. «Le Monde» ha affermato che a Firenze la folla di turisti è tale che non c’è spazio per godersi gli affreschi; il «New York Times» sostiene che il traffico dei pedoni a San Gimignano è simile alla Grand Terminal Station.
Anche i musei stanno cercando metodi per “difendersi” dalla carica dei turisti. La Reggia di Versailles nel suo sito ufficiale mette in guardia contro le giornate di afflusso pesante. Molti musei, come gli Uffizi, conservano opere importantissime in spazi relativamente piccoli. Ad Amsterdam, il Rijksmuseum ha fatto investimenti per gestire meglio l’accoglienza e salvaguardare le opere controllando temperatura e umidità. In vari casi, succede che gli stessi istituti arrivino a proporre destinazioni alternative.
Il turismo di massa in Cina sta erodendo la Grande Muraglia, con la continua asportazione di pezzi di mura, come ricordo o come fonte di profitto. Gli stessi cinesi, d’altra parte, asportano le pietre per le loro case. I turisti, inoltre, non resistono alla tentazione di lasciare il loro nome inciso. Una decina di anni fa, veniva già denunciato lo stato di degrado della Grande Muraglia, fra montagne di rifiuti, graffiti, lattine ed escrementi.
Come numerose ricerche hanno sottolineato, degrado chiama degrado. Se vedo una carta per terra, non mi faccio scrupoli a buttarcene un’altra, e così via, una dietro l’altra, senza pietà.
Eppure ci sono fior fiore di studi e di studiosi che si occupano del fenomeno e di come proporre un turismo sostenibile. Un turismo per tutti, non un turismo di massa.
Domenica di luglio. Decido di passare il pomeriggio a Venezia: la distanza mi dà il privilegio di non dover programmare il viaggio, vado in stazione e prendo il primo treno che parte. Venezia è sempre bellissima, ma abbandonata a se stessa e completamente in balia dei turisti. Sui ponti strategici, come il Ponte degli Scalzi, davanti alla stazione, imperversano i venditori di aste per i selfie. Proibiamole, sono pericolose, e molti musei le hanno già bandite all’interno delle loro sale. Se uno non ha le braccia abbastanza lunghe per farsi un selfie può chiedere a qualcuno che gli faccia una foto: funziona sempre.
Passo a fatica attraverso calli straripanti. Conosco qualche strada alternativa, per fortuna. Passo fra innumerevoli negozietti di false mascherine veneziane e falso vetro di Murano, made in China, tra cui spiccano sporadiche, bellissime botteghe artigianali (anche a prezzi contenuti).
Arrivo in Piazza San Marco, un luogo che mi emoziona tutte le volte che lo vedo. Bivacco e picnic dei turisti nonostante tutti i divieti esposti sui numerosissimi bidoni dell’immondizia… semivuoti. In compenso bottigliette, bicchieri, fazzoletti di carta, lattine, carte unte ovunque.
C’è anche chi ha steso il telo mare per prendere il sole.
Proibiamo le aste per i selfie. Se uno non ha le braccia abbastanza lunghe può chiedere a qualcuno che gli faccia una foto: funziona sempre. Vari siti internet, come Venicewiki, presentano consigli per i turisti: “È vietatissimo mangiare a sacco in tutta l’area marciana (Piazza San Marco, Piazzetta San Marco, Piazzetta dei Leoncini, Molo), è attrezzata per tale scopo l’area dei Giardinetti Reali posti dopo la Piazzetta San Marco a destra”. Il Comune di Venezia ha predisposto tempo fa un Decalogo del Turista, con l’accattivante guida di Leo, il leone controllore.
Il turismo dovrebbe e potrebbe essere un nostro punto di forza, non un elemento di degrado e disturbo. C’è però anche da dire che i prezzi delle nostre città d’arte non sono sempre giustificati. Guardo le persone intente al picnic (vietato) sotto i portici di Piazza San Marco e mi incammino verso l’Accademia. Lungo la via, si vendono tranquillamente borse false davanti a veri negozi di borse di marca.
Ritorno verso la stazione. Sento una bambina inglese gridare “Oh my God”. Mi volto anch’io a guardare: una grande nave sta passando nel canale della Giudecca. Grande vuol dire grande davvero: più alta dei palazzi che si affacciano in laguna.
In Tous touristes, Marin de Viry sostiene paradossalmente che se il mondo è un’immensa pista da ballo senza frontiere, la parola turismo ha perso il suo significato. La globalizzazione, annientando la possibilità di un “altrove”, avrebbe ucciso il turismo e reso il viaggio impossibile. Più le destinazioni sono organizzate dal marketing turistico, meno spazio lasciano alla curiosità e alla scoperta.
Cerchiamo di ridare un senso al viaggio e alla scoperta. Con curiosità, e con rispetto.