Le tre O del mostrare sociale

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È poi vero che “un non-credente non possa e non debba sentirsi offeso dall’ostentazione di un simbolo religioso in un luogo pubblico”? Dietro al quesito stanno questioni delicate di convivenza civile. Per rispondere, bisogna fare un po’ di filosofia e svolgere una fenomenologia delle forme del mostrare sociale. Non si tratta di discutere qualsiasi forma del mostrare e del comunicare, ma solo quelle che riguardano direttamente un’appartenenza. Provo a offrire in forma di lessico e in sintesi una tale fenomenologia generale (che si può applicare facilmente al caso religioso), e poi ne traggo le conseguenze.
Anni trenta. La classe V della scuola Vitalino Fumagalli, Gorizia. Archivio fotografico Indire.

Ostendere: nel presente contesto si tratta di un lasciar vedere un simbolo di appartenenza, sia esso religioso o di altra natura. Non è questo il senso dell’ostensione della sindone, per capirci. In quel caso si tratta del mostrare ai fedeli un oggetto di particolare significato religioso solitamente non visibile dal vivo, ma qui stiamo parlando del mostrare un simbolo di appartenenza in quanto tale. Per fare un esempio: un coniuge, portando l’anello nuziale al dito, lo ostende, e con ciò mostra con un simbolo il proprio legame. Non c’è nulla di offensivo in tale gesto e anzi, sarebbe offensivo pretendere che la persona vi rinunci, quando invece desidera compierlo. Il divieto di ostensione sarebbe una violazione della libertà di espressione che ciascuno ha.

Ostentare: si tratta di un passo che va oltre l’ostendere. In esso non ci si limita a lasciar vedere, ma si fa di tutto perché il simbolo di appartenenza sia notato. Perciò, il gesto di ostentazione può infastidire, effettivamente, ma normalmente non è offensivo, perché non è di per sé impositivo. Fa eccezione il caso in cui le strategie adottate per far notare il simbolo siano impositive, nel qual caso e in tale misura sono censurabili. Il caso ordinario dell’ostentare è esemplificato nella fidanzata che cerca di attirare l’attenzione sul suo anello di fidanzamento, orgogliosa del suo nuovo diamante da un carato. Naturalmente, il gesto non infastidirà nessuno, se non forse quell’altra ragazza che avrebbe voluto essere al posto della fidanzata. Si tratta però di una ragione soggettiva, quella che tormenta la seconda, non di una ragione oggettiva: non dipende dal gesto osservato, ma dai desideri dell’osservatore. In questi casi, se l’ostentazione non contravviene altre regole sociali, di per sé richiede solo un po’ di tolleranza e non comporta alcuna offesa. Infatti, quello dell’ostentare non è un gesto contro qualcuno, ma rientra nella sfera della libera espressione personale. Al massimo si tratterà di una provocazione, alla quale però manca quella componente di violenza che la renderebbe inaccettabile.

Ostracizzare: la terza forma del mostrare sociale ha una valenza intollerante e violenta. Ovviamente l’ostracizzare non riguarda solo il mostrare, e però è uno dei momenti fondamentali di una fenomenologia del mostrare e perciò va qui trattato. Mentre per l’ostendere e l’ostentare in gioco è soprattutto la semplice modalità del mostrare, qui in gioco è ancora la modalità, ma in connessione diretta alla sua finalità. Il simbolo viene mostrato per affermare il proprio gruppo contro gli altri ed è un monito verso chi non vi fa parte (l’esibizione della svastica da parte dai nazisti, ad esempio, aveva anche un intento intimidatorio). Nel simbolo esibito è sottesa una dichiarazione contro coloro che non fanno parte del proprio gruppo, oppure è un modo per bollarli e perciò, ancora, ha un intento intimidatorio (si pensi alla stella di Davide imposta agli ebrei dai nazisti). Si tratta di una presa di posizione che ha, come detto, una natura violenta e intollerante, in particolare in quanto si coniuga con la pretesa che gli altri si conformino a quanto richiesto dal proprio gruppo.

Per quanto detto, in una società pacifica e tollerante, virtù fondamentali del convivere, nessuno dovrebbe sentirsi offeso di fronte all’ostendere e nemmeno di fronte all’ostentare: non ce ne sono le ragioni. Quest’ultimo, si è visto, può infastidire e persino provocare, ma di per sé non offende. Si tratta di forme di dichiarazione delle proprie appartenenze che, di per sé, non nuocciono a nessuno e perciò vanno rispettate. È però vero che il confine tra ostentare e ostracizzare è labile e che in certi casi si possa avere ragione di temere che un certo gesto di ostentazione sia il preludio di un’attività di discriminazione, di stigmatizzazione, di esclusione di colui che non si conforma ai dettami che gli si vuole imporre. Per quei gruppi per i quali si avessero valide ragioni per pensare che l’ostentazione fosse il preludio di una tale deriva, si dovrebbe agire imponendo la rinuncia alla stessa ostentazione (ma sarebbe probabilmente eccessivo pretendere che rinuncino anche a ostendere, se lo desiderano). Sarebbe comunque violento e intollerante, per timore che qualcuno passi dall’ostentare all’ostracizzare, pretendere che nessuno possa mai ostentare o addirittura ostendere.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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