Le signore del Decameron (e i loro corpi) #3

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Giunti alla terza tappa del nostro tour decameroniano, analizziamo le donne della quinta giornata, dedicata a imprese amorose dall’esito felice, almeno dal punto di vista dei maschi.

Efigenia e Cassandrea, doppio ratto (V.1)

Ambientata tra Cipro, Rodi e Creta, la novella di Cimone ripropone il tema del consenso e aggiunge la questione se l’amore possa cambiare un uomo. Innamoratosi di Efigenia e grazie a questo sentimento diventato da «montone» rozzo e selvatico un uomo vero, civile, filosofo, letterato, valente soldato, Cimone la rapisce mentre è in viaggio verso il promesso sposo (il ratto rientrava allora tra le buone maniere). Arrestato, si ritrova coinvolto dal magistrato che dovrebbe giudicarlo, Lisimaco, in un secondo rapimento: questi infatti gli chiede di aiutarlo a sequestrare Cassandrea, donna da lui amata e, come Efigenia, già promessa a un altro. Cimone viene dunque illecitamente scarcerato, con un atto di abuso d’ufficio, e nel giorno destinato alle previste doppie nozze delle due donne, le rapisce e ne uccide i due aspiranti mariti. Cimone e Lisimaco organizzano e attuano il ratto (come quello, celebre, delle Sabine) «per fine di matrimonio», una fattispecie giuridica che il Codice penale italiano ha ridefinito come «violenza sessuale» solo nel 1996. Le donne transitano da un pretendente all’altro come da un’isola all’altra, allo stesso modo dei prodotti commerciali. I loro corpi sono sfoggiati con orgoglio dai loro nuovi mariti, che li hanno letteralmente conquistati con la forza bruta (Cimone, il leone) e con la strumentalizzazione della legge (Lisimaco, la volpe).

Caterina, balcone nuziale (V.4)

Nell’afa estiva della Romagna, Caterina di Valbona e Ricciardo Manardi, giovanissimi, si innamorano e trovano il modo di incontrarsi e amarsi sul balcone della camera del padre di lei, al canto di un eloquente usignolo. Dimentichi del tempo che passa, i due una notte si addormentano abbracciati e i genitori di lei, la mattina, così li colgono. Fatti in fretta e furia i loro conti, i Valbona ritengono Ricciardo un buon partito e dunque il matrimonio riparatore che tante donne subirono in questo caso mette d’accordo tutti e tutte. Nessuna vergogna cadrà sulla famiglia, nessun delitto d’onore sarà necessario; con una cerimonia improvvisata, afferrato il primo anello disponibile, Ricciardo e Caterina si sposano, si riabbracciano e solo qualche giorno dopo celebrano ufficialmente le nozze con amici e parenti (fino al Rinascimento i riti matrimoniali potevano avvenire senza rito religioso[1]).

È chiaro che queste nozze sono state condizionate da circostanze esterne e che per Caterina il piacere del primo filarino le fa credere che si tratti del marito ideale; tuttavia è solo nei pochi casi come questo che il matrimonio medievale si avvicina all’idea moderna di unione fondata sull’amore. La novella, con la tenerezza dovuta anche all’età dei due protagonisti, sarà tra quelle scelte da Pasolini per il suo Decameron, censurato anche per l’ostensione ornitologica di Ricciardo.

Restituta, scampato rogo (V.6)

Sull’isola di Ischia vive Restituta, sulla vicina Procida Gianni; separati dal mare come Ero e Leandro, i due si amano. Un gruppo di siciliani però rapisce Restituta e la dona al re Federico II, che la fa custodire nel Palazzo della Cuba, a Palermo. Gianni trova il modo di raggiungerla e Restituta, sperando che l’arrivo dell’amante le consentirà la fuga, lo accoglie. I due però vengono sorpresi da Federico II, che li fa arrestare nudi e legare a un palo: saranno così umiliati (palermitane e palermitani si affollano intorno alla catasta di legna per commentarne i corpi) e poi arsi vivi. Ma l’intervento dell’ammiraglio Ruggier de Loria, che rivela al re l’identità dei due, figli di suoi sostenitori in Campania, risolve tutto: Restituta e Gianni sono rivestiti e risarciti. Anche in questa novella però il successo dell’amore interviene come effetto collaterale, per i legami politici tra Federico II e le famiglie dei due. Meglio di niente, certo, però questo dettaglio la dice lunga sulla concezione trecentesca molto poco «naturale» delle relazioni. L’episodio dello scampato rogo tra i due amanti avrà una grande fortuna e ispirerà quello di Olindo e Sofronia salvati da Clorinda nella Gerusalemme liberata.

Una Traversari e Giovanna, ritrose piegate (V.8-9)

In due novelle consecutive della quinta giornata troviamo il personaggio della «cruda e dura e salvatica», che ignora le attenzioni dell’innamorato («né di colui si curava», V.9.6). Nella novella di Nastagio degli Onesti, ambientata in Romagna, una donna della famiglia Travesari, da lui corteggiata, è convinta a sposarlo dalla vista di una caccia tragica, in cui una sua simile è punita per l’eternità dal cavaliere a cui non volle cedere. Nella novella di Federigo degli Alberighi, monna Giovanna, rimasta vedova e sollecitata a nuove nozze dai fratelli, acconsente al matrimonio con colui che si era rovinato pur di piacerle; oltretutto, Federigo ha imbandito per lei il falcone che avrebbe forse fatto riprendere il figlio di Giovanna da una malattia. La povertà o il ceto sociale non è un ostacolo alle nozze; il problema, piuttosto, è che le due donne non applicano la teoria dell’amor cortese, che «ratto s’apprende» al sedicente cuore gentile. Incaponitisi, né Nastagio né Federigo rinunciano al proprio desiderio, e la loro tenacia sembra alla fine premiata dalle nozze, che le novellatrici precisano essere state liete per entrambi. Resta il dubbio che sia la ravennate sia monna Giovanna si siano piegate al male minore. Le adulte single (o «dimesse») e le vedove, specialmente se ricche, non erano ben viste all’epoca.

Sandro Botticelli e collaboratori, La visione infernale di Nastagio degli Onesti, 1482-83, olio su tavola (Madrid, Museo Nacional del Prado).

La moglie di Pietro di Vinciolo, il triangolo no (V.10)

All’omosessualità maschile si allude fin dalla prima novella del Decameron: san Ciappelletto, infatti, amava le donne come i cani le mazzate. La sua «tristizia», sinonimo in questo contesto di sodomia, in senso dispregiativo, caratterizza un altro personaggio, il perugino Pietro di Vinciolo. La cui moglie, «sentendosi gagliarda e poderosa», chiede a una vecchia consiglio su come comportarsi. Questa le risponde con un lungo discorso ribelle contro la sottomissione delle donne, incoraggiandola al tradimento per non perdere gli anni migliori della sua vita. Tra i giovani che la donna le procura ce n’è uno di cui anche Pietro si è invaghito e che viene nascosto in casa. In una gara di ipocrisia, prima la moglie di Pietro, non ancora colta in flagrante, maledice le donne traditrici, quindi Pietro invoca su di lei, ritrovata colpevole, la pioggia di fuoco di Sodoma e Gomorra. La replica della donna, che si sente trascurata dal marito, non fa una piega e infatti Pietro non si appella al delitto d’onore. I coniugi Vinciolo sono persone ragionevoli e condivideranno il piacere di un inaspettato triangolo, la cui ipotenusa, il giovane, potrà godersi, secondo il teorema di Pitagora, la somma dei quadrati dei due cateti (Pietro e la moglie).

Al di là dello scherzo, non dobbiamo dimenticare che in molte città medievali essere accusati di sodomia (di fatto coincidente con l’omosessualità, anche se estesa ad altre pratiche comuni a tutti gli orientamenti) significava multe, processi, condanne, oltre al biasimo collettivo. Leggi e magistrati ad hoc vigilavano sulla moralità della cittadinanza, anche quando era difficile provarne in maniera insindacabile la colpevolezza. Sorridiamo dunque alla proposta geometrica di Pietro, ma non liquidiamo con leggerezza le sue conseguenze nel mondo reale.

Leggi la prima parte qui.

Leggi la seconda parte qui.


Note

[1] C. Klapisch-Zuber, La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze, trad. it. di E. Pellizer, Laterza, Roma-Bari 1988.

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Johnny L. Bertolio

Si è diplomato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ha conseguito il PhD alla University of Toronto, dove ha maturato una variegata esperienza nella didattica dell’italiano. Attualmente collabora con Loescher come autore e redattore nell’ambito umanistico.

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