Tuttavia, in questa esasperata ricerca del bello scenografico e paesaggistico, e quindi nell’attenzione preponderante al lato fotografico dellamise-en-scène, si rischia talvolta di perdere di vista il ritmo della narrazione, cadendo in un non-concluso causato dal troppo non-detto.
È il caso dell’ultimo lavoro di Roberto Andò, un progetto tanto ambizioso quanto non completamente riuscito nelle sue, pur evidenti, potenzialità.
La sceneggiatura ha ottimi presupposti, e la scelta di un cast internazionale, che vanta nomi quali Daniel Auteuil, Pierfrancesco Favino, Connie Nielsen, oltre al fedele compagno di lavoro Toni Servillo (protagonista anche del precedente Viva la libertà!, del 2013), si rivela perfettamente conforme all’ambientazione scelta, ovvero un summit dei ministri dell’economia da tutto il mondo: gli attori, con i loro diversi accenti e cadenze, rendono estremamente verosimile l’incontro tra lingue e nazionalità differenti.
Le confessioni è una sorta di thriller metafisico, in cui si indaga il rapporto tra politica e morale, eterna questione irrisolta (tra i primi a provarci Sofocle nell’Antigone, e da allora gli esempi si accumulano lungo la storia delle produzioni letterarie e drammaturgiche di ogni civiltà). Al centro della vicenda, il confronto tra i due poli opposti: da una parte l’ambizione di potere e di ricchezza, e dall’altra la religione, questa volta non mostrata (e criticata) nelle sue vesti diocesane, ma rappresentata dal bianco di una vocazione monacale (e quindi, nell’immaginario, più autentica).
Una sorta di thriller metafisico in cui si indaga il rapporto tra politica e morale, eterna questione irrisolta sin dai tempi dell’Antigone.In un albergo di lusso si incontrano, per votare una manovra epocale, i rappresentanti delle potenze economiche mondiali. Tra gli invitati vi sono però anche tre personaggi estranei all’ambito: una scrittrice di libri per bambini, un musicista e un monaco certosino (Toni Servillo alias Salus) davvero poco ortodosso, la cui unica regola monastica dichiarata è quella della pietà. La mattina in cui si sarebbe dovuto tenere il vertice, tuttavia, il presidente del Fondo Monetario Internazionale (eccellente l’interpretazione di Daniel Auteuil, che si vorrebbe vedere di più sui nostri schermi) viene trovato morto, apparentemente suicida. La scoperta, che dovrebbe sconvolgere i presenti e gettare un’ombra sull’incontro e sulla manovra stessa, viene vissuta come uno scomodo contrattempo e in maniera asettica e “austera”, come austero e asettico appare tutto in questo film, a cominciare dall’estremo rigore delle forme architettoniche e dalla perfezione dell’ambiente scenografico: sullo schermo predomina il bianco, colore dell’albergo e della veste di Salus, rimando metaforico alla purezza della coscienza all’interno in un ambiente dove predomina, invece, il segreto e l’interesse economico.
Raggiunto il momento di massima tensione, però, il film stenta a partire. Si susseguono momenti di dialogo e momenti di lirismo cinematografico fortemente scenografici, ma la rivelazione folgorante che l’andamento della trama sembra promettere non giunge mai. La struttura della sceneggiatura è quella di un climax che non si conclude, con alcuni flash-back sulla lunga confessione di Auteuil a Servillo la notte prima della morte del primo.
Il monaco si ritrova al centro delle indagini; tuttavia, ciò che i convenuti vogliono sapere da Salus non è che cosa scuotesse la coscienza del presidente al punto da condurlo a un atto così estremo, bensì se egli abbia violato il segreto e rivelato la manovra, di cui i tre “intrusi” devono rimanere all’oscuro.
Toni Servillo riesce a creare un personaggio tanto “sacro” quanto beffardo: non rivela nulla ma insinua costantemente dubbi (e il paradosso sta tutto nell’interrogare un monaco certosino, votato al silenzio).
Toni Servillo riesce a creare un personaggio tanto “sacro” quanto beffardo: non rivela nulla ma insinua costantemente dubbi.È possibile conciliare pietà ed economia? Esiste una morale nella politica? Esiste una vera democrazia? Sono questi i semi che vengono gettati attraverso i lapidari dialoghi tra Salus e i vari personaggi.
Il modo in cui viene portata avanti la narrazione appare debole e dispersivo: i silenzi sono certo, come osserva il monaco, “l’unica forma di ribellione rimasta”, ma dovrebbero essere ponderati. Alcune metafore, come quella dei due uccelli, risultano forzate. Si è lontani dall’esuberante freschezza che aveva, giustamente, reso >Viva la libertà! così degno di lode. Rimane la critica a un potere sempre più vuoto e materialista, ma questa volta l’ambizione con cui il regista utilizza la retorica cinematografica è forse eccessiva e si trova poca spontaneità e immediatezza nelle immagini, così come nei dialoghi.
Le confessioni rimane, comunque, un film di un certo interesse. Punto di forza, oltre al cast, la colonna sonora, firmata Piovano. Degne di nota la riflessione sul tempo (tempo dell’anima e tempo dell’uomo d’affari, nuova declinazione dell’indagine filosofica di Sant’Agostino, al cui testo cardine – tra l’altro – rimanda il titolo) e la collaborazione tra il monaco e la scrittrice, sintetizzabile del consiglio che Salus-Servillo le offre dopo che lei gli chiede come può aiutarlo a scoprire e fermare la manovra: “Usi al meglio la sua immaginazione”. È forse un caso che i tre estranei, tra i pochi personaggi positivi, siano due artisti e un religioso-intellettuale sui generis Andò non arriva a bollare semplicisticamente l’economia come cattiva e da condannare, forse però suggerisce che non può farcela da sola, con i suoi paroloni vacui, a risollevare il mondo.
Questa è, forse, l’idea più forte che rimane alla fine del film.
Le confessioni
Regia: Roberto Andò
Con: Toni Servillo, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Daniel Auteuil, Lambert Wilson, Richard Sammel, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu, Togo Igawa, Johan Heldenbergh, Andy de la Tour, John Keogh, Aleksey Guskov
Produzione: Italia, Francia 2016
Durata: 100 min.