L’apprendimento degli adulti

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Fino agli anni Settanta, nei Paesi industrializzati esisteva la convinzione che l’apprendimento in età adulta avesse la natura di aggiornamento, o riguardasse argomenti minori o nuove materie. L’età dell’apprendimento importante e organizzato, magari con alcune eccezioni, finiva quando si portava a termine un percorso di formazione e/o si otteneva un impiego a tempo indeterminato.

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Ad esempio, i grandi nomi della psicologia della personalità lanciarono, negli anni Cinquanta e Sessanta, gli ideali e i concetti di “personalità matura” (Allport, 1961) e di “persona pienamente funzionante” (Rogers, 1961), vale a dire la persona adulta che avesse raggiunto un certo livello di completezza e non avesse bisogno di ulteriore apprendimento o di sviluppo. La giovinezza coincideva con l’età dello sviluppo dell’identità, mentre l’età adulta era quella della stabilizzazione di ciò che era già stato acquisito (Erikson, 1968). La stabilità costituiva sia norma sia ideale per gli adulti e possibili modifiche erano connesse a crolli non voluti e a debolezza.
Tuttavia, dagli anni Settanta in poi, le cose cominciarono ad andare diversamente. I mutamenti nel mondo circostante si facevano più frequenti; l’ideale di stabilità venne integrato da una maggiore flessibilità; gli adulti sentivano il bisogno di poter cambiare, pratica che implica sia il rifiuto di ciò che si è precedentemente acquisito, sia il coinvolgimento nell’imparare cose nuove. Così, a poco a poco, l’apprendimento degli adulti divenne una questione importante.
Nelle industrie e nel commercio, l’interesse per l’apprendimento degli adulti era connesso essenzialmente al movimento di sviluppo delle risorse umane (Swanson, Holton, 2001), che nella pratica sembrava essere realizzato secondo il cosiddetto “effetto Matteo” («così, a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha», Vangelo di Matteo, 13.12): il principio per cui coloro che già hanno imparato molto ottengono anche le migliori opportunità per imparare ulteriormente, sia nella loro pratica sia attraverso ulteriori attività educative. Il che, come effetto collaterale, conduce inevitabilmente a un maggiore squilibrio sociale.
Come tendenza alternativa, relativamente all’apprendimento degli adulti, emersero tuttavia movimenti sociali che cercarono effettivamente di coinvolgere analfabeti, poveri e oppressi, in una combinazione d’apprendimento elementare e presa di coscienza personale spesso legata a finalità politiche. Il più diffuso di questi è stato, senza dubbio, quello avviato dal brasiliano Paulo Freire, che unì all’insegnamento di lettura e scrittura i cosiddetti “temi generatori”.
Il suo libro sulla pedagogia degli oppressi è stato tradotto in un gran numero di lingue e venduto in più di 700 000 copie (Freire, 1970). Un altro movimento simile, sebbene non costituisca esempio altrettanto conosciuto a livello internazionale, fu avviato dai corsi dei sindacati tedeschi, nei quali il sociologo Oskar Negt propose l’“apprendimento esemplare”, molto simile ai temi generatori di Freire (Negt, 1968). Anche l’idea di “apprendimento trasformativo”, introdotta negli Stati Uniti nel 1978 da Jack Mezirow, è stata fortemente ispirata dal movimento di liberazione delle donne (Mezirow, 1978, 1991, 2006).
Nel 1972, da qualche parte in mezzo a queste due correnti, le Nazioni Unite introdussero, nel famoso rapporto intitolato Imparare a essere (Faure et al., 1972), lo slogan del Lifelong Learning (l’apprendimento permanente), che ha rapidamente assunto una posizione centrale nella politica internazionale ed è stato adottato da molti Paesi, anche se il suo impatto maggiore l’ha avuto proprio come slogan, più di quanto sia stato effettivamente realizzato in coerenti modalità d’apprendimento per gente comune.

Adulti e bambini
A proposito della teoria dell’apprendimento, l’americano Malcolm Knowles sosteneva con forza la diversità tra le modalità di apprendimento degli adulti e quelle dei bambini, e quindi che l’incremento dell’educazione degli adulti avrebbe dovuto essere accompagnata parimenti da una crescita dell’interesse per l’analisi e la comprensione di ciò che la caratterizza, per organizzarla poi di conseguenza. Egli propose il termine di andragogia per indicare l’educazione degli adulti e come controaltare alla pedagogia dei bambini (Knowles, 1970). Questo però sollevò una vera e propria bufera di opposizioni da parte di teorici dell’apprendimento e di studiosi di didattica, i quali sostenevano che l’apprendimento fosse uguale per tutti e che non avrebbero certamente lasciato che il nascente settore dell’istruzione per adulti venisse soffocato dal «pantano andragogico» (Davonport, 1993 [1987], Hartree, 1984). Più recentemente, l’inglese Alan Rogers ha cautamente affermato che «non c’è niente di distintivo nel tipo di apprendimento intrapreso da adulti» (Rogers, 2003, p. 7).
La questione, tuttavia, ha bisogno di un chiarimento più puntuale se si vogliono evitare sterili discussioni incentrate su sottostanti lotte di potere. Per la tradizionale psicologia dell’apprendimento non esistono differenze derivanti dall’età, perché l’apprendimento è stato studiato come un fenomeno comune, di cui i ricercatori si sono sforzati d’individuare le caratteristiche di base. Per questo motivo la ricerca ha spesso riguardato animali ed esseri umani ricreando in laboratorio situazioni ora semplici, ora più costruite. Per i ricercatori, poi, l’apprendimento degli adulti come funzione psicologica era fondamentalmente della stessa natura di quello dei bambini.
Questo, comunque, dipende da quale definizione di apprendimento si accetta. Se lo si definisce solo ed esclusivamente come funzione psicologica interna dell’acquisizione di nuove conoscenze, competenze ed eventualmente atteggiamenti, come la psicologia di apprendimento tradizionale tende a fare, è in qualche modo possibile affermare che, indipendentemente dalle condizioni concrete (quali le differenze di età o di status sociale), i processi siano fondamentalmente gli stessi.
Ma quando la dimensione emotiva e l’interazione sociale sono comprese fra gli elementi necessari e integrati dell’apprendimento, il quadro cambia. In realtà, la maggior parte dei moderni teorici dell’apprendimento ha accolto questo assunto, alcuni arrivando persino a considerare l’apprendimento principalmente o meramente un processo sociale (Lave,  Wenger, 1991, Gergen, 1994).
Per quanto riguarda l’età, è evidente che la natura delle nostre relazioni con l’ambiente sociale e relazionale cambia notevolmente durante il corso della vita: dalla totale dipendenza del neonato, agli sforzi per l’indipendenza del giovane, per giungere infine a un diverso tipo di dipendenza dell’anziano.
Questi mutamenti influenzano fortemente il carattere di entrambe le dimensioni dell’apprendimento, sociale ed emotiva. Prima di prendere in analisi ciò che è caratteristico dell’apprendimento negli adulti, devo dunque iniziare con l’annotare alcune caratteristiche di base di quello dei bambini.

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L’apprendimento infantile
Si potrebbe descrivere l’apprendimento durante l’infanzia come una continua spedizione di conquista del mondo. A tal proposito, due sono le importanti caratteristiche collegate all’apprendimento, in special modo per il bambino. In primo luogo, il suo imparare è totalizzante e senza censure. Impara da tutto ciò che è alla sua portata, si getta in tutto; i suoi limiti sono solo quelli dello sviluppo biologico e dell’ambiente circostante. In secondo luogo, ripone la massima fiducia negli adulti, il cui comportamento è la principale fonte d’apprendimento per un bambino, che non ha la possibilità di valutare o selezionare cosa sperimentare. Il bambino deve, ad esempio, imparare la lingua che parlano gli adulti che lo circondano e mettere in pratica la cultura che gli trasmettono.
Lungo tutta l’infanzia, ciò che il bambino cattura dell’ambiente che lo circonda è fondamentalmente privo di censura e caratterizzato dalla massima fiducia, come sforzo illimitato e indiscriminato di sfruttare le opportunità che gli si presentano. Certamente la società è diventata gradualmente sempre più complessa e i ragazzini più grandi ricevono una gran quantità di stimoli dai loro compagni e dai mass media ben oltre i confini del loro ambiente. Ma è ancora l’approccio aperto e fiducioso a dover essere riconosciuto come il punto di partenza.

L’adulto e l’apprendimento
L’apprendimento durante la maggiore età si colloca all’opposto. Adulto è l’individuo capace e intenzionato ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Formalmente, la società ascrive tale maturità ai diciottenni. In realtà, si tratta di un processo graduale che procede lungo l’intero corso della giovinezza, e che può facilmente continuare nei vent’anni o risultare incompleto, posto che la formazione di un’identità relativamente stabile sia scelta come criterio per il suo completamento a livello mentale.
Imparare da adulti significa anche, in linea di principio, assumersi la responsabilità del proprio apprendimento, vale a dire smistare più o meno consapevolmente le informazioni e decidere quello che si vuole imparare. Dopo tutto, nella complessa società di oggi, il volume di ciò che può essere imparato supera di gran lunga la capacità di apprendimento di ogni singolo individuo. Quindi una selezione d’ingresso deve essere necessariamente fatta dall’apprendente adulto.
A differenza di quello senza censure e fiducioso dei bambini, l’apprendimento degli adulti è fondamentalmente selettivo e auto-diretto. In breve, l’adulto:
1. impara quello che vuole imparare e ciò che è significativo per lui;
2. attinge dalle risorse che ha già incamerato nel corso del suo apprendimento;
3. si assume la responsabilità di ciò che impara (se questo gli è concesso);
4. non è particolarmente incline a imparare qualcosa per cui non prova interesse, o in cui non scorge un significato o uno scopo. Lo imparerà in modo parziale, con una mancanza di motivazione che con molta probabilità lo porterà a dimenticare.
Ciò indica che gli incentivi dell’apprendimento, ad esempio le opzioni educative degli adulti, consciamente o inconsciamente sono accolti da scetticismo e da considerazioni quali: «Perché vogliono che impari questa cosa? A cosa mi serve? Come s’inserisce nelle mie prospettive di vita?».
L’apprendimento nel corso della giovinezza può essere visto come una transizione, in cui la modalità senza censure dell’infanzia viene gradualmente sostituita dalla formazione selettiva caratteristica dell’età adulta, e l’identità si sviluppa come una sorta di scala o parametro di questa selettività.

Dover “tornare a scuola”
In realtà, non sono solo ricercatori, amministratori e insegnanti ad avere tradizionalmente avuto l’idea che l’apprendimento sia principalmente collegato a infanzia e giovinezza. Quest’interpretazione è molto diffusa anche tra gli studenti adulti. Se per qualche ragione devono impegnarsi in corsi di formazione ordinari, li si sente sovente dire d’esser dovuti “tornare a scuola” o frasi simili, non certamente portatrici di un’accezione positiva. Vivono la situazione come se fossero costretti a ritornare a un tipo artificiale d’infanzia, qualcosa di degradante o umiliante: “tornare a scuola” significa non essere abbastanza bravi per le attività in cui si è coinvolti.
Nelle società democratiche gli adulti sono considerati persone che possono e devono assumersi la responsabilità di se stesse, di ciò che fanno e dicono. Allo stesso tempo, però, sono soggetti a una moltitudine di rischi e situazioni che non possono controllare. Nell’apprendimento come nell’educazione, quasi chiunque può sperimentare, all’improvviso e senza averne alcuna responsabilità, che le proprie qualifiche sono diventate inutili e non possono più essere spendibili sul mercato del lavoro. Ciò può accadere, ad esempio, se i proprietari o gli stakeholder del proprio posto di lavoro decidono il trasferimento in un altro Paese, in cui la manodopera costa meno, o se una nuova direzione intraprende una riorganizzazione che rende inutili alcuni dipartimenti e persone. Ma possono esservi anche motivi personali: un cattivo rapporto con i superiori; scarsa concentrazione causata da problemi in casa; troppi giorni persi per malattia ecc.
Un numero considerevole di studenti, a volte la maggioranza, partecipa ai corsi per adulti non perché vuole farlo, ma perché è tenuto a farlo, per qualche motivo al di là del suo controllo. Ciò che è fondamentale, infatti, è che questi studenti adulti non hanno il controllo della situazione. Pertanto sono molto ambivalenti e la parola d’ordine “formazione permanente” può in tali situazioni diventare molto ambigua. La realtà sembra molto diversa dalle buone intenzioni di organizzazioni come l’UNESCO, l’OCSE, l’UE o la Banca Mondiale. L’educazione degli adulti nel mondo d’oggi è solitamente ben lontana dai progetti d’emancipazione delle scuole superiori popolari o di progresso pubblico, in relazione alle quali era stata originariamente lanciata l’idea della formazione permanente.
Quindi non solo il contenuto, ma anche la situazione dell’apprendimento, i messaggi e l’influenza in essa contenuti saranno spesso accolti da atteggiamenti di scetticismo, per essere sempre assunti e filtrati attraverso la propria esperienza individuale, sia che siano trasmessi in forma di conversazione, guida, lusinga e pressione, sia per costrizione. Se è vero che le possibilità d’apprendimento andrebbero curvate in una direzione positiva, la comunicazione e le influenze devono essere convincenti su questa base; vale a dire che gli adulti devono accettarle psicologicamente, essere in grado di comprenderne il significato in relazione a se stessi (Illeris, 1998, 2003, 2006).

L’apprendimento astratto
Mentre la questione del carattere specifico dell’educazione degli adulti è stata trascurata dalla tradizionale psicologia dell’apprendimento come dalla maggior parte della ricerca educativa, qualche discussione è avvenuta in ambito del Cognitivismo.
La teoria dell’apprendimento cognitivo, proposta da Jean Piaget nel 1930 sulla base di ampi studi empirici, è incentrata sullo sviluppo delle possibilità d’apprendimento durante l’infanzia attraverso una serie di stadi e sotto-stadi cognitivi, il che implica l’esistenza di uno specifico percorso di sviluppo. Questo, però, termina quando il bambino raggiunge, a 11-13 anni, lo stadio “operatorio formale”, il che rende il pensiero logico-deduttivo una integrazione delle forme d’apprendimento acquisite nelle fasi precedenti (Flavell, 1963).
Ad ogni modo, la teoria di Piaget di quest’argomento è stata messa in discussione da più parti.
Da un lato, è stato rilevato che non tutti gli adulti sono in grado di pensare in modo formalmente operativo nel senso della definizione di Piaget. La ricerca empirica dimostra che nell’Inghilterra del 1980 si trattava di meno del 30% della popolazione adulta, ma allo stesso tempo conferma come all’inizio della pubertà abbia luogo uno sviluppo decisivo dell’apprendimento in termini astratti, cosicché, alla fine, ciò giustifica la distinzione di una nuova fase (Shayer, Adey, 1981).
Dall’altro lato, è stato affermato che, in un momento successivo, possono svilupparsi capacità cognitive significativamente nuove, estese al di là dell’operatorio formale (Commons, 1984). Stephen Brookfield, ricercatore americano sull’educazione degli adulti, ha riassunto questa critica evidenziando quattro facoltà dell’apprendimento che si sviluppano solo nell’età adulta:
1. la capacità di pensiero dialettico;
2. la capacità di applicare la logica pratica;
3. la capacità di capire come si può conoscere ciò che si conosce (meta-cognizione);
4. la capacità di riflessione critica (Brookfield, 2000).
Una recente ricerca neurologica sembrerebbe indirettamente sostenere le affermazioni di Brookfields. È stato verificato che i centri cerebrali del lobo frontale che svolgono funzioni come la pianificazione razionale, la definizione delle priorità e il prendere decisioni fondate, non maturano fino alla tarda adolescenza (Gogtay, 2004) o addirittura più tardi. Questa scoperta sembra fornire chiarimenti sulle differenze tra la capacità del pensiero logico formale e pensiero/apprendimento logico pratico, nonché tra cognizione ordinaria e meta-cognizione nell’adolescenza e nella prima età adulta.
Ad ogni modo, dobbiamo concludere che durante la pubertà e la giovinezza avviene un processo fisiologico e neurologico di maturazione che rende possibili nuove forme d’apprendimento astratto e rigoroso. Di conseguenza, l’individuo acquisisce la capacità di operare in modo indipendente dal contesto, con sistemi concettuali coerenti, un comportamento equilibrato e mirato (se tale potenziale sia poi effettivamente applicato è un’altra questione). La determinazione degli adolescenti a scoprire come le cose sono strutturate e a utilizzare tale comprensione in relazione alla loro situazione potrebbero essere viste come un ponte per lo sviluppo cognitivo e rappresentare la differenza tra le modalità d’apprendimento dei bambini e quelle degli adulti.
Gli elementi che differenziano l’apprendimento degli adulti da quello dell’infanzia sono dunque il desiderio d’indipendenza e quello di capire come loro stessi e il loro ambiente funzionano. Lungo tutta la giovinezza, l’individuo si farà sempre più carico del proprio processo di apprendimento come del non-apprendimento, farà scelte e rifiuti, capirà con che cosa ha a che fare, i propri ruoli e le proprie possibilità.
Tutto ciò però è stato complicato dal dualismo tipico della tarda modernità tra, da un lato, un accesso apparentemente illimitato alle informazioni e, dall’altro, la pressione indiretta del controllo di genitori, insegnanti, culture giovanili, mass media. La transizione da bambino ad adulto è quindi diventata, nel campo dell’apprendimento, un processo ambiguo e complicato, dai contorni sfumati e dalle condizioni poco chiare.

Barriere dell’apprendimento
Oltre a questo, nella complessa società moderna, la quantità di cose che è possibile imparare supera di gran lunga quello che ogni persona è in grado di gestire, non solo per il contenuto dell’apprendimento, ma anche per le possibilità di atteggiamenti, modi di comunicazione, modelli di azione, stili di vita ecc. La selezione diventa una necessità che in linea di principio gli adulti vorrebbero attuare in prima persona, assumendosene la responsabilità.
Così, il loro desiderio d’imparare e di assumersi la responsabilità del proprio apprendimento sono fortemente modificati, in primo luogo, dall’impatto delle loro esperienze scolastiche, in secondo luogo, dall’inevitabile selezione che si sviluppa in quel sistema difensivo di tipo semi-automatico, che è stato descritto come «la coscienza di tutti i giorni» (Illeris, 2004, 2007).
Il suo funzionamento passa attraverso lo sviluppo di pre-interpretazioni generali all’interno di alcune aree tematiche. Quando ci s’imbatte in influenze esterne all’interno di una determinata area, queste pre-interpretazioni vengono attivate, in modo che se gli elementi delle influenze non corrispondono sono respinti o distorti per farli accordare. In entrambi i casi il risultato non è un nuovo apprendimento, ma il consolidamento di conoscenze già esistenti.
Questa è una delle ragioni per cui gli adulti sono spesso riluttanti nei confronti di tutto ciò che gli altri vogliono far loro imparare o che essi stessi non sentono il bisogno di imparare. Consapevolmente o inconsapevolmente vogliono decidere per se stessi. Ma, al tempo stesso, è più facile lasciare che siano gli altri a decidere, per vedere cosa succede e mantenere il diritto di protestare, fare resistenza o abbandonare, se non si è soddisfatti. In sintesi, l’atteggiamento è molto spesso ambiguo e contraddittorio.
Tuttavia i meccanismi di difesa nell’apprendimento (influenti e molto frequenti) non devono essere confusi con la resistenza nell’apprendimento, un tipo molto più attivo e di solito anche consapevole di barriera. Laddove il sistema “difensivo” d’apprendimento è costruito gradualmente durante la giovinezza e oltre, ed è pregresso rispetto alle situazioni in cui opera, la resistenza è provocata da elementi insiti alla situazione e ai contenuti dell’apprendimento, considerati inaccettabili dal discente. Ci possono essere molte ragioni per la resistenza nell’apprendimento, alcune delle quali inconsce o addirittura ancorate a lontane esperienze traumatiche dell’infanzia, mentre altre sono certamente consapevoli, ad esempio possono avere a che fare con convinzioni politiche, morali o religiose.
Per gli educatori è importante rendersi conto che le situazioni di resistenza nell’apprendimento sono anche, contemporaneamente, situazioni in cui gli studenti sono molto “eccitati” e sensibili. Molto spesso, quando si chiede a un adulto quando ha imparato qualcosa d’importante dal punto di vista personale, riferisce di situazioni di resistenza all’apprendimento. Pertanto, in tali situazioni, gli studenti non dovrebbero essere trascurati, ma l’insegnante dovrebbe cercare la possibilità di un colloquio personale, in cui con calma aiutare lo studente a capire i motivi di tale reazione, qual è la posta in gioco e che conseguenze possono eventualmente essere tratte.

L’apprendimento trasformativo
Per l’apprendimento degli adulti è quindi importante riconoscere se sia o no soggettivamente significativo. Pertanto è essenziale capire anche che il contesto risiede nel percorso esistenziale dello studente e nei suoi progetti.
L’essenza del percorso di vita risulta nella costruzione d’una identità, vale a dire un’istanza mentale centrale contenente la comprensione di chi si è, chi si vuole essere e di come si ha l’idea di essere percepiti dagli altri. Il concetto d’identità, in origine una costruzione prevalentemente psicologica, nel corso degli ultimi decenni è stato ulteriormente elaborato da alcuni importanti sociologi, come il tedesco Ulrich Beck (1997 [1986]), Anthony Giddens (1991) e il polacco-britannico Zygmunt Bauman (2000). L’idea centrale che ne è derivata, a mio avviso, è che nell’età della «modernità liquida», secondo la definizione di Bauman, per dar conto della continua evoluzione del mondo dobbiamo sviluppare identità da un lato stabili, in modo da consentirci un’esperienza coerente di noi stessi, dall’altro flessibili al punto da permettere di trasformarci in concomitanza di cambiamenti vitali. In questa prospettiva il concetto di Jack Mezirow di “apprendimento trasformativo” acquista un nuovo significato: può essere visto come il tipo di apprendimento degli adulti che ha a che fare con le trasformazioni dell’identità.
Per quanto riguarda quest’ultima, è bene non sottovalutare nemmeno il ruolo dei progetti di vita nell’ambito della formazione degli adulti. Di solito sono progetti relativamente stabili e a lungo termine, ad esempio creare ed essere parte di una famiglia, o trovare un lavoro soddisfacente dal punto di vista personale e finanziario, o ancora dedicarsi nel tempo libero a un hobby, a un progetto che procuri soddisfazione o relativo a un credo, di natura religiosa o politica. Incorporati nella storia, nel presente e nelle prospettive della persona, questi progetti sono strettamente correlati all’identità.
Su questa base organizziamo le nostre difese, in modo che lascino passare ciò che è importante per i nostri progetti e respingano il resto. Lo stesso presupposto vale per le modalità in cui, come nucleo centrale delle nostre difese, sviluppiamo meccanismi di difesa che fungono da contromossa alle influenze che potrebbero minacciare l’esperienza di chi siamo e di chi vorremmo essere.
Tali questioni includono in sé le premesse fondamentali, dal punto di vista degli studenti, dell’apprendimento degli adulti: indicano come assolutamente fondamentale la motivazione iniziale, che è poi il modo in cui considerano il corso di studi rispetto ai loro progetti di vita.
In alcuni casi, l’apprendimento in età adulta può portare a un’importante crescita personale, se vi si arriva motivati e il programma di studio è all’altezza delle aspettative. Tuttavia, una percentuale abbastanza considerevole dei partecipanti s’impegna in modo positivo in attività formative solo a patto che queste si configurino come una sfida che “li trasforma” fin all’inizio o lungo il percorso. Molto spesso, quindi, si impegnano solo superficialmente e non imparano molto, il che porta alla dispersione di risorse umane e finanziarie.

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