L’alfabetizzazione di Paulo Freire

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«Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano a vicenda in un contesto reale».

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Fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, l’avvocato ed educatore Paulo Freire propose un’idea di alfabetizzazione come padronanza cosciente, non puramente mnemonica, delle tecniche di lettura. A livello dei processi di apprendimento, ciò incoraggia un investimento diverso rispetto a una memorizzazione visiva e meccanica di frasi, parole e sillabe scollegata dal proprio vissuto, a favore di un atteggiamento creativo.
In questa prospettiva la funzione primaria cui risponde l’educatore è dialogare con gli apprendenti analfabeti legando l’attenzione verso situazioni concrete all’utilizzo di strumenti per alfabetizzarsi. Questa, infatti, non deve essere imposta o calata dall’alto, ma attuata in prima persona dal soggetto analfabeta che apprende all’interno di un gruppo con analoghe motivazioni, sostenuto dall’educatore.
Apprendere diviene così la risposta a domande rilevanti e generative, diventa il frutto di un’interazione docente-studente in cui l’apprendimento è reciproco: «Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano a vicenda in un contesto reale».
Freire considera il dialogo l’aspetto essenziale di un processo educativo inteso come pratica di libertà. Nella misura in cui si rappresentano aspetti esistenziali, pur rappresentando contesti complessi, risulta essenziale alle dinamiche d’apprendimento partire da situazioni semplici cercando una pluralità di possibilità di sguardi e di criteri d’analisi che permettano di decostruire e scomporre canoni precostituiti.
L’educatore non è, quindi, sollecitato a proporre la propria lettura del mondo, ma a evidenziare come vi siano molteplici visioni del mondo, ricercando una tensione positiva fra interventi normativi e sollecitazioni libertarie: un educatore che opera con chi apprende, evitando dicotomie docente-apprendente.
L’esclusione da molti ambiti della vita sociale si accompagna spesso alla condizione di persone analfabete: in una prospettiva freireana, una maggior conoscenza porta anche a nuovi orizzonti, a una rinnovata consapevolezza e a una visione critica del mondo. Il processo di alfabetizzazione è visto prevalentemente come un mezzo di emancipazione civile e politica per poter vivere in modo sempre più consapevole a livello sociale.

Le parole generatrici

Freire suggerisce di investire un tempo iniziale significativo che permetta agli educatori di avvicinare e conoscere i contesti in cui vive chi apprende. L’approccio all’alfabetizzazione proposto in Educaçáo como prática da libertade (pp. 111-114) può essere suddiviso in cinque tappe:
1. individuazione delle parole più usate nel linguaggio comune dei gruppi con cui si lavora;
2. identificazione delle parole generatrici considerando anche aspetti di ricchezza, e di difficoltà, fonetica, dando importanza al contenuto pratico delle parole;
3. presentazioni di situazioni reali che appartengono al vissuto quotidiano del gruppo, tramite disegni e fotografie. Questo processo è chiamato di codificazione;
4. redazione di schede e canovacci che aiutino a sviluppare dialoghi in modo flessibile per non togliere immediatezza ai processi di apprendimento;
5. schede che presentano la scomposizione delle famiglie fonetiche corrispondenti alle parole generatrici.
Una parola chiave per Freire è “reinventare”: anche il modo di realizzare queste cinque tappe sarà differente di volta in volta, perché diversi saranno il contesto di riferimento, i luoghi, le persone, il loro vissuto e le loro abitudini. Freire insiste sulla composizione scritta da parte degli apprendenti di propri testi, anche semplici, per stimolare creatività e fantasia. L’analfabeta è al centro del processo di apprendimento e deve farsi carico in prima persona del proprio apprendimento, non delegarlo a chi ha ruoli d’educatore.
Uno degli aspetti più critici dell’alfabetizzazione, secondo l’approccio di Freire, è individuare le parole generatrici adeguate; se scelte erroneamente, infatti, portano a una diminuzione della motivazione.

Prima di cominciare un corso di alfabetizzazione in L2, sarebbe utile effettuare una valutazione iniziale, se necessario con mediatori culturali, per avere una conoscenza di base delle persone: età, livello di istruzione, capacità di leggere nella propria lingua madre. Come minimo, bisogna proporre loro qualche breve frase da leggere e copiare per capire il grado di alfabetizzazione.
Nel caso in cui la persona analfabeta non conosca alcuna parola nella lingua seconda, sarà indispensabile cominciare con l’insegnamento della lingua orale.
Da un punto di vista operativo, abbiamo ritenuto che quest’approccio all’alfabetizzazione caratterizzato dall’uso di parole generatrici potesse essere valido anche per apprendere una lingua seconda.
Ci si è interrogati su che tipo di caratteri insegnare: la scelta è stata insegnare a leggere e scrivere in stampatello, sia maiuscolo sia minuscolo, perché si è ritenuto importante apprendere entrambi i tipi di caratteri in cui ci si può confrontare con un testo scritto.
Le attività e gli esercizi progettati devono necessariamente essere calibrati sugli apprendenti, le attività proposte devono essere stimolanti, semplici ma non banali. Si è cercato di presentare pochi testi scritti, incentivando la composizione di testi, ovvero di frasi, liberamente create e scritte dagli apprendenti stessi, come più volte suggerito da Freire, per favorire e stimolare la creatività.
Tuttavia, il contesto di insegnamento di una lingua seconda è molto diverso da quello in cui si trova una comunità di analfabeti che apprende a leggere e a scrivere in lingua madre. L’esigua competenza orale nella lingua seconda non permette quel tipo di dialogo che facilita l’introspezione legata alle parole generatrici. Inoltre, non vi è un vissuto comune: spesso, infatti, nel gruppo che apprende, le persone provengono da Paesi diversi; interessi e quotidianità sono differenti da persona a persona.
Ciò non vuol dire che non si possano trovare ambiti d’incontro, familiarità, interesse e necessità, in cui diventa possibile, tramite le parole generatrici, instaurare un dialogo, anche semplice, su cui la motivazione di tutti possa rimanere alta.
L’approccio prevede una certa ripetizione nel pronunciare e scrivere le famiglie di sillabe prodotte dalla parola generatrice. In aula la ripetizione, soprattutto corale, garantisce maggiore adesione e concentrazione; inoltre, si è dimostrata utile anche per chi già conosceva abbastanza bene l’alfabeto latino, ma aveva una scarsissima conoscenza dell’italiano come lingua seconda e confondeva alcuni suoni e sillabe.

Telefono, lavoro e documenti

Il contesto di sperimentazione è stato quello del CTP Diego Valeri di Padova, nel quale sono stati segnalati alcuni studenti che, all’interno di un corso di livello A1, non erano alfabetizzati.
Sulla base dell’intervista iniziale e del tipo di studenti si è deciso di costruire un’unità didattica costituita da quattro unità di apprendimento, centrata sul tema del lavoro. Le parole generatrici individuate sono state: telefono, lavoro, documento e colloquio.
Ogni unità di apprendimento è strutturata secondo il modello gestaltico in fasi: si parte dalla fase di motivazione in cui chi apprende viene invitato a prestare attenzione a una sollecitazione pensata per suscitare interesse (un video, una canzone, delle immagini). In seguito si entra nello specifico dell’argomento trattato con la fase di globalità: si presenta una parola chiave e da questa si approfondisce lo studio delle sillabe. Si passa poi alla fase dell’analisi, in cui si scompongono e ricompongono le parole, se ne individuano di nuove, si svolgono attività di associazione parole-immagini. Si finisce con la sintesi e la riflessione, rielaborando quanto appreso con attività ludiche o composizione di brevi frasi o altre tipologie di attività.
Sono previste attività ludiche (cruciverba, gioco del Memory, gioco di Kim) che, favorendo diversi stili di apprendimento, permettono, in una modalità piacevole e rilassata, di ritornare in modo più duraturo su quanto appreso durante la lezione. È possibile trovare un esempio di queste unità d’apprendimento sul portale d’italiano della Loescher (www.loescher.it/italiano).
I partecipanti hanno mostrato fin dall’inizio di aver capito che la didattica seguiva un corso diverso rispetto a quanto sperimentato precedentemente; hanno apprezzato i giochi e soprattutto il fatto di riuscire a ricordare meglio i termini su cui si lavora in classe. L’approccio utilizzato ci è sembrato particolarmente funzionale a far prendere dimestichezza con le parole, che invece prima non riuscivano a “legare”, limitandosi a leggere le singole sillabe. Inoltre, è risultato evidente che nelle ultime lezioni si mostravano positivamente “abituati” a questo approccio, proponendo e associando un numero maggiore di parole.
Questa esperienza ha rafforzato in noi l’idea di Freire (ma anche di Lodi, Milani e Malaguzzi) riguardo all’importanza, per chi educa, di conoscere e d’inserirsi nel contesto del gruppo di chi apprende. Ciò riguarda la scelta delle parole generatrici, ma anche l’attenzione nei confronti di adulti che si possono sentire in imbarazzo se sollecitati a lavorare con figure, spesso riconducibili al mondo dell’infanzia, rispetto a fotografie. Riguarda anche la capacità d’interrogarsi su quale tipo di caratteri sia opportuno utilizzare e far conoscere. Nel nostro caso è stato proposto lo stampatello, sia maiuscolo sia minuscolo, per dare da subito l’opportunità di accedere alla maggior parte dei testi scritti, anche i più semplici che utilizzano entrambi i caratteri.
Riteniamo che, pur nelle difficoltà dettate dai tempi e dai modi in cui sono concepiti attualmente i corsi per immigrati nei CTP, sia possibile progettare un percorso di alfabetizzazione che possa essere il più vicino possibile alle loro esigenze e, pertanto, cerchi di calibrarsi di volta in volta rispetto ai discenti con cui ci relazioniamo. Per questo giudichiamo molto importante l’uso delle parole generatrici e l’attenzione nella scelta di quelle adeguate ai contesti e alle motivazioni di chi apprende, così com’è importante riuscire ad adattare le lezioni al momento, seguendo quanto gli studenti stessi propongono e traendo spunto dalle loro proposte. In questo modo, ponendo al centro del processo il gruppo degli apprendenti, si possono offrire maggiori e più durature opportunità educative, a partire da percorsi di memoria e di consapevolezza innestati nei vissuti quotidiani.

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Alessio Surian

è professore associato all’Università di Padova dove insegna dinamiche di gruppo, metodologie partecipative, tecnologie educative e dove svolge ricerche sulle competenze sociali ed interculturali. Collabora con il gruppo di lavoro su insegnare ed apprendere in contesti di diversità culturale dell’European Association for Research on learning and Instruction e con il programma Intercultural Cities.

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