Siamo attorno alla metà dell’800, e la giovane Katherine è costretta a un matrimonio d’interesse con un uomo più anziano, scontroso e impotente. Le rigide norme di una convivenza senza affetto, rispetto e intimità spingono la donna verso una rabbiosa infelicità. Oppressa da una relazione in cui si sente imprigionata, Katherine comincia a tradire il marito con un giovane stalliere. Sarà solo l’inizio di una torbida e ambigua relazione in cui la passione e il sesso trascineranno i due amanti in un drammatico vortice di crimini e delitti.
Anche se l’incipit del plot narrativo può suggerire suggestive similitudini con L’amante di Lady Chatterley di David Herbert Lawrence e un déjà vu del solito dramma in costume, in realtà si tratta di tutt’altro. William Oldroyd confeziona un’opera prima di grande originalità e forza espressiva. La messa in scena tradisce la sua estrazione teatrale, che punta su uno stile essenziale, rigoroso e austero. Le inquadrature riproducono la perfezione formale e compositiva di tableaux vivants, che denotano una ricca cultura iconografica. Gli ambienti spogli concentrano ancor più lo sguardo sui personaggi e sui loro sentimenti, senza concedere inutili distrazioni.
Katherine viene progressivamente stretta non solo dai simbolici lacci dei corsetti, ma anche dalla storia, in uno spazio fisico e psicologico claustrofobico e soffocante. La ragazza si trova d’improvviso catapultata in un mondo duro e desolato, e il panorama dell’anonima campagna inglese sembra esasperare e dilatare ancor più le sue sensazioni di profondo disagio esistenziale. La casa non è un caldo focolare domestico, ma un freddo luogo di sofferenza e dolore. Katherine non riesce ad accettare la situazione ed è disposta a lottare con tutte le sue forze per uscire dal buco nero di un matrimonio senza amore, dominato da una mentalità retrograda e violentemente maschilista. La sua vita non conosce la dolcezza, la passione, la sensualità, ma solo regole e solitudine. Come spesso accade, la ribellione è a portata di mano e il giovane stalliere incarna la sua istintiva valvola di sfogo. Tradimento, menzogna, desiderio di vendetta e sessualità sfrenata irrompono violentemente nella storia.
Il dramma in costume si tinge di ombre inquietanti, per scivolare inesorabilmente verso gli stilemi più classici del cinema noir. La trama comincia così a riecheggiare le situazioni e le atmosfere cupe de La fiamma del peccato (1944) di Billy Wilder o de Il postino suona sempre due volte (1946) di Tony Garnett. La protagonista si trasforma da vittima sacrificale in una perversa e feroce dark lady, capace di compiere azioni atroci e mostruose senza alcun senso di colpa. La violenza e la rinuncia a qualsiasi codice morale diventano non solo uno strumento di lotta e ribellione, ma anche il prezzo da pagare per riconquistare la libertà perduta, per affermare la propria identità.
Il dramma si consuma dentro un microcosmo familiare che costringe i protagonisti in una gabbia sempre più angusta. Più la storia procede e più il cammino si fa stretto, quasi obbligato. La strada del delitto diventa un susseguirsi di eventi concatenati, che conduce a un crescendo letale. Pensieri criminali e crudeli manipolazioni psicologiche si alimentano a vicenda in un’inarrestabile escalation di violenza. La narrazione procede inesorabile e tagliente, con la precisione di una lama affilata, senza esitazioni o cedimenti, in perfetta sintonia con la lucida e diabolica psicologia di Katherine. È lei che detta le regole del gioco e distribuisce le carte del destino, ormai padrona della sua vita e non solo.
Da non perdere.
Lady Macbeth
Regia: William Oldroyd
Con: Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Paul Hilton, Naomi Ackie, Christopher Fairbank, Golda Rosheuvel, Anton Palmer, Rebecca Manley
Durata: 89 minuti
Produzione: Gran Bretagna 2016