La Villa Reale di Monza è senza dubbio uno dei gioielli dell’architettura neoclassica italiana e la sua vicenda è per certi versi emblematica della storia del nostro Paese. Voluta dagli Asburgo a fine Settecento, e affidata al progetto del grande Giuseppe Piermarini, divenne sede del successivo potere napoleonico, per poi passare ai Savoia, per i quali è stato luogo nefasto: nel 1900 infatti, a poca distanza da questa, l’anarchico Gaetano Bresci uccise re Umberto I. Da lì in poi si è manifestata una progressiva condizione di degrado (quando non di vera spoliazione), che – dopo l’avvento della Repubblica – è stata aggravata dalla complessità gestionale, poiché Villa e Parco adiacente appartengono in quote diverse allo Stato, alla Regione Lombardia, al Comune di Monza e al Comune di Milano, enti che solo nel 2009 hanno istituito un Consorzio.
In realtà da qualche tempo sono in corso attività di restauro, che dovrebbero renderla disponibile come sede di attività culturali e rappresentanza istituzionale per l’Expo 2015; e già da una decina d’anni è stato reso utilizzabile lo spazio del cosiddetto “Serrone”, nobilitato dalla “Rotonda” che mostra gli splendidi affreschi di Andrea Appiani raffiguranti la favola di Amore e Psiche, ispirati alle Metamorfosi di Apuleio.
La Villa è pertanto un monumento che, una volta risistemato, potrebbe ambire davvero a diventare un polo di attrazione turistica e culturale di prim’ordine; e – come è facile intendere – anche di turismo scolastico, e pertanto ne parlo nella sede di una rivista di didattica.
Io non abito molto lontano da lì e proprio a queste cose pensavo mentre mi recavo, qualche giorno fa, a fare una breve passeggiata nel Parco, dopo avere letto il più che depressivo articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, dove si afferma che tutti i musei italiani fatturano meno del Louvre.
Devo però dire che l’umore nero si è un po’ schiarito dopo la visita alla bellissima mostra fotografica Anima.Re, realizzata proprio nel “Serrone” di cui prima si è detto. Non solo per le bellissime foto di Riccardo Tagliabue, un professionista monzese non nuovo ad emozionanti omaggi alla sua città, ma anche per ciò che questa mostra rappresenta: un modo moderno, direi esemplare, di coniugare tradizione e modernità, cultura e mercato.
E iniziamo proprio da tradizione e cultura, giacché la nostra Reggia e gli spazi ad essa adiacenti, Parco compreso, sono vivacizzati nelle immagini di Tagliabue da figure danzanti, che danno l’anima alla “reggia dei Re”: da qui il titolo sintetico Anima.Re dato alla esposizione. Cacciati gli squallidi fantasmi dei Ministeri “padani” che nella Villa erano stati installati (di questo vorrei proprio si perdesse del tutto memoria…), e iniziata – come si diceva – a grande opera di restauro, la Villa Reale trova così una sua doppia valorizzazione: dalla mostra in sé – che è nel suo “Serrone” – ma anche dalle immagini di più o meno segrete stanze “reali”, spazi che hanno visto fare la Storia (nel bene e nel male, ma quella con la S maiuscola!) dal nostro Paese.
Non a caso i pannelli illustrativi riportano qua e là passi del poeta Giosue Carducci, vate dell’Italia umbertina e celebrato cantore della Regina Margherita (Alla Regina d’Italia, 1878). E qui il docente di Lettere che sempre mi accompagna (purtroppo o per fortuna…) si è compiaciuto di scovare versi che da decenni non leggeva più:
Onde venisti? Quali a noi secoli
sí mite e bella ti tramandarono?
fra i canti de’ sacri poeti
dove un giorno, o regina, ti vidi?
Una regina che il buon Carducci immagina come una “figlia” o “sorella maggiore” del popolo italiano, che guarda con affetto a lei: fulgida e bionda ne l’adamàntina / luce del serto tu passi, e il popolo / superbo di te si compiace / qual di figlia che vada a l’altare; / con un sorriso misto di lacrime / la verginetta ti guarda, e trepida / le braccia porgendo ti dice / come a suora maggior “Margherita!”.
Insomma, non sono i vertici della poesia italiana, lo so. Eppure in didascalia ad una foto che raffigura gli Appartamenti Reali, tra le mura che videro la regina Margherita prima regnare felice e poi piangere per il regicidio, fanno il loro effetto. E penso lo farebbero anche ai nostri studenti, cui Carducci – come già ho scritto – va propinato a “piccole dosi”.
Passando poi a parlare di modernità e di mercato, sottolineo il ruolo attivo di vari sponsores, ma anche la fattiva collaborazione all’evento della Galleria “Marco Monti” di Monza, il cui titolare ha prima collaborato alla realizzazione espositiva e consente poi, per il tramite della sua galleria, anche un’adeguata commercializzazione di queste fotografie, dato che di ognuna di esse sono state stampate solo cinque copie firmate dall’autore.
Insomma: se vogliamo che il “bello” – e la cultura in senso lato – continui a rimanere un “democratico” appannaggio di molti, dobbiamo accettare di buon grado iniziative come questa, dove pubblico e privato collaborano sinergicamente. Così come sinergicamente, in una visita alla Villa, agiscono su di noi il fascino della storia, dell’architettura, della pittura, della letteratura e – perché no? – anche della fotografia, seppure di una mostra temporanea. È questo il senso di un “bene culturale”, ed è questo il motivo per cui – si tratti della Villa monzese o del Museo Archeologico di Napoli (di cui già ho scritto sulla Ricerca) – i nostri studenti debbono essere portati a visitarli e sensibilizzati alla loro tutela: solo vedendoli, toccandoli perfino, essi capiranno la follia dell’attuale classe politica italiana, che destina loro le “briciole delle briciole” del bilancio dello Stato; e – forse – potranno in un futuro non troppo lontano invertire la rotta di questa barbarie. E invertire anche la rotta della Reggia di Monza, la quale – da “brutto anatroccolo” – potrebbe davvero diventare cigno, e rappresentare (come si dice da anni…) la Versailles d’Italia, o almeno una delle Versailles nostrane, al pari delle non meno affascinanti Regge di Caserta e di Venaria Reale.