La via dell’ambra

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Un’antica rotta commerciale che collega fin dal periodo Neolitico il Mar Baltico all’Adriatico è il filo conduttore per raccontare il ruolo della preziosa resina fossile che intreccia la storia, le scienze e l’arte.

 

Un insetto incluso nell’ambra (©Wikimedia Commons/Astrum-Mirella Liszka).

Secondo un poema di Apollonio Rodio, le ninfe Eliadi erano figlie del dio Apollo, e alla morte del loro sfortunato fratello Fetonte si disperarono e piansero tanto che furono trasformate in pioppi (alberi legati al culto dei defunti). Le loro lacrime «correvano sopra le acque, come fossero gocce d’olio. Di là entrarono nel profondo corso del Rodano che si getta nell’Eridano». Quest’olio dorato e profumato che, stillando dalle divinità-alberi, galleggiava sull’acqua dei fiumi del Nord Europa, sarebbe quella che oggi chiamiamo ambra.

L’ambra è una sostanza preziosa usata dagli esseri umani fin dalla preistoria (sono stati rinvenuti manufatti in ambra risalenti al quarto millennio a.C.) e per le sue presunte proprietà magiche e curative, è protagonista di moltissimi miti e leggende. Per esempio, gli Egizi credevano fosse il sudore del dio Ra che caduto sulla terra si induriva al sole. Per alcune culture nordiche, invece, era il sangue degli alberi che si era solidificato e indurito con il tempo. Gli antichi Romani ritenevano che proteggesse dalle malattie o portasse fortuna, e perciò indossavano l’ambra come amuleto per scacciare malocchio e malanni vari; nella mitologia germanica, si credeva che fossero le lacrime pietrificate della dea dell’amore Freya versate alla morte del suo amato. Secondo un’altra leggenda dell’Europa orientale, l’ambra era il “fuoco dei draghi” poiché si credeva che queste creature custodissero gelosamente un tesoro e che la fiamma dei loro respiri potesse sciogliere l’ambra.

Racconti mitologici a parte, oggi con il nome di ambra si indica in realtà una grande varietà di sostanze che si possono trovare in molte zone del pianeta, ma quella più nota è l’ambra baltica.
Si tratta di una resina fossile prodotta da alberi di conifere che ricoprivano il nord Europa tra 45 e 35 milioni di anni fa. La specie non è stata identificata con certezza, ma varie ricerche puntano sull’estinta Pinus succinifera. La resina è stata esposta all’aria, all’acqua e al calore per un lunghissimo periodo di tempo, subendo un processo di fossilizzazione e diventando quindi un materiale solido e resistente.
L’ambra è di solito di colore giallo-rosso, ma può anche avere colori molto variabili come il verde, il marrone o il bianco. Spesso al suo interno si trovano anche delle “inclusioni”, ovvero piccoli animali o frammenti di piante che erano stati inglobati nella goccia di resina e sono poi giunti fino a noi perfettamente conservati (anche se non è ancora stata trovata una zanzara con il sangue di dinosauro, come nel film Jurassic Park del 1993.)

Dal punto di vista chimico, questa resina fossile è composta principalmente da carbonio, idrogeno e ossigeno, ma può contenere anche tracce di zolfo, calcio, magnesio e altri elementi. L’ambra è infatti un polimero naturale, formato da una combinazione di sostanze organiche, principalmente acidi resinosi e terpeni. Analizzando invece le sue caratteristiche fisiche, ha una durezza di 2-2,5 nella scala di Mohs ed è quindi relativamente morbida tanto che può essere incisa facilmente. Inoltre, l’ambra è anche molto leggera, infatti ha una densità di circa 1,1 g/cm³ e galleggia sull’acqua salata: questo ne facilita la raccolta lungo le coste baltiche. Un’altra proprietà particolare è quella di elettrizzarsi per strofinio, attirando a sé oggetti leggeri come pezzetti di carta; non a caso l’elettricità ha preso il nome proprio dal termine greco che indica l’ambra (ἤλεκτρον, élektron).

Uno dei percorsi della via dell’ambra (ipotizzato dallo storico polacco Jerzy Wielowiejski nel 1980).

Grazie alla sua bellezza e al suo grande valore, l’ambra è stata utilizzata per secoli dagli esseri umani come gioiello e oggetto decorativo. Ma ha anche una lunga tradizione nella medicina popolare, essendo stata impiegata per trattare una vasta gamma di disturbi, dalla tosse ai dolori articolari. Ancora oggi l’ambra è usata in profumeria e come ingrediente in alcuni prodotti cosmetici.

Ma da dove arrivava quello che è chiamato anche l’“oro del nord”? Il suo commercio risale alla notte dei tempi (ancor prima di Egizi, Fenici e Greci) e la cosiddetta via dell’ambra, che porta dalle spiagge del Mar Baltico fino all’Adriatico, è stata percorsa da migliaia di mercanti che scambiavano l’ambra con altri beni. Questa rotta era in realtà una intricata rete di commerci che collegava le regioni baltiche con il Mediterraneo orientale e il Mar Nero. Attraversava tutta l’Europa centrale sfruttando i fiumi come la Vistola e altri corsi d’acqua naturali o canali artificiali. Era una delle rotte commerciali più importanti dell’antichità e del Medioevo, e la richiesta dell’ambra è stato uno dei principali fattori che ha contribuito alla sua creazione e al suo sviluppo.

Lungo la via dell’ambra si svilupparono anche altre attività, come il commercio di pellicce, di metalli preziosi, di sale e di spezie, rendendo questa rotta di transito un’importante arteria commerciale che collegava il nord dell’Europa con il bacino del Mediterraneo. Questi commerci hanno infatti giocato un ruolo molto importante nella storia delle città lungo il percorso, come Danzica (che ospita un museo interamente dedicato all’ambra), Riga, Venezia e Aquileia, che divennero importanti centri economici e culturali grazie agli scambi di beni ma anche di idee.

 

Manufatti in ambra del I-II secolo d.C. rinvenuti ad Aquileia (Courtesy of Museo Archeologico Nazionale di Aquileia – Foto: © Vanja Macovaz).

Esistono molti manufatti artistici realizzati in ambra, ma un esempio su tutti è la famosa Camera d’ambra, che ha una storia molto particolare. Si tratta di una lussuosa stanza interamente rivestita d’ambra, la cui costruzione iniziò nel 1701 e fu inizialmente installata nel palazzo di Charlottenburg (vicino Berlino). Ma pochi anni dopo, il re Federico I di Prussia la donò allo zar di Russia Pietro il Grande per celebrare l’amicizia tra le due nazioni: l’intera stanza venne spedita in 18 casse a San Pietroburgo, dove fu installata nel Palazzo d’inverno prima di essere trasferita nel Palazzo di Caterina a Tsarskoye Selo. Qui divenne uno dei gioielli architettonici e artistici più ammirati dell’intera Russia e, con il passare dei decenni, la stanza venne ulteriormente arricchita e ingrandita dagli zar successivi.

La stanza d’ambra a Tarskoye Selo com’era nell’estate del 1917 (©Wikimedia Commons/Andrej Zeest).

Tuttavia, durante la Seconda guerra mondiale il destino della stanza si fa tumultuoso: nel 1941, durante l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, i soldati nazisti smontarono la camera d’ambra e la portarono via dal palazzo inviandola a Königsberg (oggi Kaliningrad). Nonostante gli sforzi per nascondere e salvare l’opera d’arte, scomparve misteriosamente e tuttora non si sa dove sia. Dopo la guerra si sono perse le tracce della stanza e sono emerse varie teorie sul suo destino, che vanno dalla distruzione durante i bombardamenti a nascondigli in cui sarebbe ancora celata a Kaliningrad o nel Mar Baltico.

Nel 1979, in occasione del terzo centenario della fondazione di San Pietroburgo, è stato avviato un progetto per ricostruire la camera d’ambra utilizzando le descrizioni e le fotografie d’archivio. La nuova stanza è stata così inaugurata nel 2003 nel Palazzo di Caterina, nella speranza di ricreare l’antica magnificenza dell’originale.

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Sara Urbani

Laureata in scienze naturali con un master in comunicazione della scienza, lavora per la casa editrice Zanichelli. Scrive anche per Odòs – libreria editrice e per i magazine online La Falla e Meridiano 13.

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