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La seconda prova dell’Esame di Stato 2025 al liceo classico

Tempo di lettura stimato: 8 minuti
L’amicizia secondo Cicerone: un fatto naturale, non utilitaristico. Un grande classico – anche se forse un po’ inaspettato – per la Seconda prova del Liceo classico
Busto in marmo di Cicerone della metà del I secolo a.C.
Busto in marmo di Cicerone della metà del I secolo a.C., Musei capitolini. Fonte Wikipedia

Oggi Seconda Prova scritta, che per il Liceo Classico quest’anno (come avviene dal 2019) consiste in una versione di Latino (con tanto di pre-testo e post-testo) corredata da alcune domande di comprensione, analisi e approfondimento.

Gli studenti e le studentesse si chiedevano (e soprattutto mi chiedevano) nelle scorse settimane quale autore potesse essere prescelto quest’anno. Io rispondevo loro, per lo più, con aride statistiche, e cioè che negli ultimi vent’anni per quattro volte era toccato a Seneca, altrettante a Tacito, mentre una volta sola era stato proposto un testo di Quintiliano o dell’evergreen Cicerone.

Quest’anno – lo so da pochi minuti – è toccato proprio all’evergreen di turno, cioè al nostro amato Arpinate. E il passo è tratto da una delle sue opere più famose, e cioè il De amicitia, della quale parlerò più diffusamente infra.

Una traduzione d’autore

Come al solito, debbo anticipare al mio commento una premessa (ormai sono un professionista delle premesse…), affermando che la redazione di queste considerazioni dalle calde (emotivamente e meteorologicamente…) aule di una scuola mi suggerisce di non insistere troppo sugli aspetti più prettamente tecnico-linguistici, ma di formulare piuttosto un giudizio complessivo sul passo sottoposto ai maturandi. Non senza però proporre una traduzione d’autore della parte di testo proposta in solo latino, che ho fortunosamente recuperato tra gli ebook che conservo nel disco fisso del mio pc. Eccola, ricordando che si tratta di De amicitia, VIII, 26 ss.

È, infatti, l’amore, da cui il termine amicizia deriva, la causa prima che unisce gli affetti. Degli utili vantaggi, infatti, si possono spesso ricavare anche da persone che con una simulazione di amicizia si frequentano, e si rispettano solo per quella data opportunità; ma nell’amicizia non v’è nulla di falso, nulla di simulato, tutto è in essa vero e voluto. Perciò l’origine dell’amicizia va vista, secondo me, in un fatto di natura più che nel bisogno, in una inclinazione dell’animo accompagnata da un qualche sentimento d’amore, più che nella considerazione di quanti vantaggi l’amicizia procurerà. E tutto questo possiamo constatarlo perfino in certi animali che tanto amano per un determinato tempo i loro nati e tanto ne sono riamati, che è facile vedervi dei sentimenti. La cosa è molto più evidente tra gli uomini: prima di tutto in quell’affetto che vi è fra figli e genitori, e che non si può annullare se non per detestabile scelleratezza; ma poi, è evidente anche quando un simile sentimento d’amore nasce se abbiamo trovato qualcuno con cui andiamo d’accordo per doti morali e naturali, perché crediamo di vedere in quella persona quasi una luce di onestà e di virtù. Niente, infatti, è più amabile della virtù, niente attira maggiormente a prediligere qualcuno, visto che sono proprio la virtù e l’onestà a farci in qualche modo prediligere anche chi non abbiamo mai conosciuto di persona.

(Cicerone, L’amicizia, a cura di A. Massarenti, Utet, Torino 2016, con traduzione estratta da Cicerone, Opere politiche e filosofiche, a cura di Domenico Lassandro e Giuseppe Micunco, Utet, Torino 1955)

Considerazioni sulla scelta del testo

Anzitutto due parole sulla scelta, senza dubbio legittima, ma legata a un autore che preferibilmente si traduce e commenta nel terzo e quarto anno di Liceo classico. Comunque Cicerone è Cicerone, e dunque un prosatore con il quale studenti e studentesse dovrebbero avere una certa consuetudine. Le difficoltà esegetiche consistono soprattutto nella resa adeguata di termini in bilico tra la sfera etica e quella politica, sui quali tornerò più avanti. Non manca poi, pur nella regolarità della prosa ciceroniana (concinnitas), qualche struttura un po’ più complessa; ad esempio ai righi 5-6 la simmetria tra i due ablativi adplicatione animi e cogitatione, correlati tra loro da magis e quam, è resa – scusate l’espressione – un po’ meno simmetrica dal fatto che il secondo elemento regga pure l’interrogativa indiretta quantum… esset habitura.

L’opera è altresì molto nota, e appartiene all’ultima fase della produzione ciceroniana (44 a.C.) quando il Nostro è ormai stato estromesso dalla politica attiva dalla dictatura di Cesare. È pure largamente antologizzata nei manuali scolastici; non tanto, però, in relazione al passo d’esame, che a mio avviso non è tra i più rilevanti dal punto di vista contenutistico nel definire l’idea di amicizia che Cicerone affida alle parole del suo alter ego Lelio Sapiens.

Infatti qui si insiste sulla dimensione naturale e non utilitaristica del rapporto amicale, ma manca quella prospettiva politica che – in altri brani dell’opera – ne completa e definisce meglio il senso. D’altronde è lo stesso Lelio pochi paragrafi prima a dire che siamo davanti a un rapporto sintetizzabile nell’espressione coniuncta cura de publica re et de privata (De amicitia, 15: «condivisione delle cure pubbliche e private»), anteponendo addirittura la sfera politica a quella più intima.

Come anticipavo, la traduzione non sarà precipua cura di questo mio commento. Tornerò però su alcuni rilevanti aspetti testuali cercando di rispondere ai tre quesiti successivi alla versione.

Comprensione, Analisi, Approfondimento

1. La Comprensione / interpretazione deve dimostrare come Lelio, con le sue parole, rifugga da una concezione utilitaristica dell’amicizia. Lo fa non negando che possano anche esistere amicizie basate sull’opportunismo (temporis causa) ma che queste siano più che altro simulationes amicitae. L’amicizia vera non ha nulla di fictum o simulatum e nasce da un impulso affettivo simile a quello che vediamo anche in alcuni animali, o che lega spontaneamente genitori e figli; ma che ci spinge anche a scegliere come amici persone mai viste prima, che sentiamo però affini moribus et natura.

D’altronde è frequente in quest’opera l’idea che la amicizia d.o.c. possa essere solo quella tra viri boni, esponenti cioè di quella parte della società che, pur imbevuta di cultura filosofica greca, non dimentica la necessità tipicamente romana dell’impegno politico. Ma, ripeto, in questo testo d’esame la componente politica è quasi assente, anche se forse è proprio questo il messaggio più alto che l’Arpinate voleva lasciarci: il fatto che l’amicizia, come dicono oggi i sociologi, sia un «sentimento sociale» che deve condizionare positivamente tutta la comunità nella quale si origina.

2. Dovendo parlare di lessico e stile nella domanda di Analisi linguistica e/o stilistica, mi soffermerei soprattutto sulle parole.
Amor, anzitutto, etimologicamente legato ad amicitia ma non vincolato alla reciprocità come quest’ultima: si può infatti (ahimé) amare senza essere riamati! C’è poi l’interessante giustapposizione tra adplicatio animi cum sensu amandi e cogitatio… utilitatis, che è un po’ il “sugo” di ciò che abbiamo detto prima, cioè il rifiuto dell’utlitarismo. Importante inoltre l’uso di caritas, che rappresenta qualcosa di lessicalmente più simile all’amor che all’amicitia, ma che Cicerone considera valore certamente compreso nell’amicitia stessa: è quella naturale espansione verso l’altro che tanto piacerà, secoli dopo, ai prosatori cristiani.

Infine, troviamo alcune parole-chiave della tradizione filosofica: virtus e probitas in primis, ma anche la straordinaria dittologia natura e moribus, che sintetizza la sfera etica – diciamo così – superiore con quella del comportamento quotidiano, che il buon civis Romanus ha appreso dalla lezione dei suoi maiores. Da ultimo, segnalerei l’uso di scelus, parola di origini religiose: rompere certi legami familiari o sociali, insomma, è una sorta di sacrilegio.

Dello stile armonioso ed equilibrato già ho detto. Non abbondanti le figure retoriche, tanto che segnalerei solo qualche anafora (ad es. nihil… nihil addirittura due volte) e qualche allitterazione (ad es. verum et voluntarium; similis sensus); un po’ più complesso l’intreccio allitterante probitatis et virtutis perspicere videamur.

3. Quasi inutile che, in relazione all’Approfondimento e alle riflessioni personali, provi a elencare vari esempi di amicizia antica e moderna. Per il mondo antico si poteva parlare della diversa concezione dell’amicizia nelle varie scuole filosofiche (ed es epicurea e stoica); oppure citare esempi celeberrimi di coppie amicali come Achille e Patroclo, Oreste e Pilade, Ulisse e Diomede, Eurialo e Niso; oppure trattare dei conflittuali rapporti di Alessandro Magno con i suoi amici… e non vado oltre.

Potrei poi attraversare secoli di storia e letteratura, ma forse senza troppo costrutto. Cito così, fra i tanti, gli ariosteschi Cloridano e Medoro, come pure due personaggi che forse rappresentano quell’amicizia utilitaristica che Cicerone non amava ma che i nostri studenti ben conoscono: Rosso Malpelo e Ranocchio, dimostrazione che l’amicizia non è appannaggio solo dei boni e delle élites colte, ma anche dei «vinti» di verghiana memoria. Ed è, in fondo, quello che chi scrive ha cercato di dimostrare studiando per anni, attraverso le iscrizioni latine, le dinamiche dell’amicizia romana anche in ambiti sociali non troppo elevati. Molti esiti di queste riflessioni sono confluiti in: M. Reali, Il contributo dell’epigrafia allo studio dell’amicitia. Il caso della Cisalpina, La Nuova Italia, Firenze 1998.

L’amicizia è poi – lo sappiamo tutti – uno dei temi più cari alle canzoni di ogni tempo: chissà se qualche studente ci stupirà menzionando la bellissima With a Little Help from My Friends che i Beatles incisero nel lontano 1967? Credo che si tratti della impossibile fantasia di un vecchio boomer…

Insomma. Non mi pare che agli studenti sia andata poi così male. La speranza è comunque quella che i colleghi che correggeranno i loro elaborati, almeno un pochino di caritas (amicitia sarebbe forse troppo!) ce la mettano.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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