La scuola non può diventare un ospedale

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Il governo inglese ha elaborato un piano per fare delle scuole il luogo di primo intervento nella lotta contro il crescente malessere psicologico dei giovani. Ma è giusto che agli insegnanti siano affidati compiti di tipo clinico? Non potrebbe rivelarsi addirittura pericoloso? E non è poi la scuola stessa a essere sempre più fonte di stress? Dal Dossier del nemero 23 de La ricerca, “Mal di scuola”

Le statistiche suggeriscono che nel Regno Unito circa 850.000 bambini e giovani hanno un problema legato alla salute mentale clinicamente diagnosticato, ossia accertato da un operatore sanitario sulla base di criteri concordati.

Il problema riguarda quindi un giovane su dieci, ma la sua incidenza dipende molto dall’età e dal genere, sia perché essa aumenta man mano che i bambini entrano nell’adolescenza, sia perché le ragazze hanno più probabilità di provare ansia e depressione rispetto ai ragazzi, i quali invece tendono maggiormente a manifestare disturbi della condotta.

Inoltre, l’evidenza statistica suggerisce che i giovani che vivono in comunità protette, scarsamente scolarizzati, senza lavoro o una formazione adeguata e che si identificano come gay, lesbiche, bisessuali e trans sono maggiormente a rischio di sviluppare disturbi mentali.

Questi problemi non sono certo presenti solo nel Regno Unito, dato che sono diffusi a livello globale.

Tuttavia, nel Regno Unito la de-stigmatizzazione della salute mentale avvenuta negli ultimi anni, insieme a una maggiore consapevolezza su questo tema, hanno prodotto un forte aumento delle diagnosi e il conseguente diffondersi di una narrazione incentrata sul concetto di “crisi”. […]

La politica della salute mentale in Inghilterra

I dati qui sopra riportati sono tratti da un importante testo, Transforming Children and Young People’s Mental Health Provision (DfE/DoH, Department for Education/Department of Health, 2017), meglio noto come Libro verde, edito dal governo nel 2017 per presentare la sua strategia quinquennale riguardo alla salute mentale dei giovani. La pubblicazione è stata salutata con entusiasmo, perché ha sancito l’impegno dell’esecutivo nei confronti della “crisi” della salute mentale delle nuove generazioni. Il Primo Ministro dell’epoca, Theresa May, aveva definito il problema «una delle ingiustizie brucianti del nostro tempo»; e il Libro verde ha rappresentato un serio tentativo di affrontarla.

I tre pilastri del Libro verde

Per affrontare la crisi della salute mentale dei giovani, il Libro verde delinea un triplice approccio. In primo luogo prevede l’introduzione in tutte le scuole di una nuova figura professionale, i dirigenti senior, appositamente designati a occuparsi di salute mentale. È una dimostrazione della determinazione nel voler garantire che gli interventi nelle scuole siano guidati e gestiti in modo appropriato.

In secondo luogo prevede di introdurre in tutte le scuole un team di supporto medico alla salute mentale, formato da professionisti sanitari capaci di lavorare a stretto contatto con gli insegnanti, fornendo loro interventi clinici a basso livello di intervento, come la consulenza o la terapia cognitivo comportamentale (CBT).

L’obiettivo è garantire che i giovani ricevano un rapido intervento clinico in un contesto non clinico, riducendo così le lunghe liste di attesa per accedere al servizio sanitario nazionale. Questa strategia è attualmente in fase di attuazione attraverso l’introduzione di corsi di formazione professionale per «operatori dell’educazione e della salute mentale». […]

Il terzo e ultimo punto del Libro verde si occupa dei bambini e dei giovani con problemi di salute mentale persistenti e gravi, per i quali si delineano percorsi facilitati nell’accedere alle cure offerte dal servizio sanitario nazionale.

Un ruolo ancora più centrale per le scuole

Questa politica è stato un passo coraggioso nella giusta direzione. Ha sottolineato l’impegno del governo verso la salute mentale e ha riconosciuto il ruolo che scuole e università hanno già svolto nel sostenere il benessere dei giovani. Tuttavia si basa sull’idea che queste, le scuole e le università, possano assumere un ruolo ancora più decisivo, come si afferma nel Libro Verde: «Sulla base delle pratiche diffuse nel settore educativo e di una revisione sistematica della letteratura sui modi migliori per promuovere la salute mentale dei giovani, vogliamo mettere le scuole e le università al centro dei nostri sforzi per intervenire velocemente e prevenire problemi in aumento» (DfE/DoH, 2017).

Ebbene, è discutibile l’idea che le scuole debbano essere obbligate a colmare le lacune del servizio sanitario nazionale, estendendo il loro mandato dal campo dell’istruzione a quello della salute e dell’assistenza sociale, cosa che del resto nel Regno Unito, negli ultimi anni sono state sempre più spesso chiamate a fare.

Si consideri poi che, proprio nello stesso periodo in cui hanno dovuto assumersi questi nuovi compiti. Contemporaneamente, le scuole hanno dovuto operare all’interno di un rigido regime di accountability (Glazzard, 2019) in base al quale l’efficacia scolastica è stata misurata esclusivamente misurando il rendimento, prima di tutto i risultati degli esami e dei test (Glazzard, 2013). Le scuole e gli insegnanti sono tenuti non solo ad aumentare gli standard accademici, ma anche a proteggere i giovani dai danni psicologici di questo stesso sistema in cui sono inseriti.

Una riconcettualizzazione del ruolo dell’insegnante e della scuola è necessaria, perché il lavoro seminale di Maslow ha evidenziato come gli studenti non possano apprendere in modo efficace se i loro bisogni psicofisici non sono tutelati (Maslow, 1943) e ricerche più recenti hanno evidenziato che i bambini non possono avere successo a scuola se hanno problemi di salute mentale (Kieling et al., 2011).

Ma affrontare la malattia mentale nelle scuole attraverso interventi clinici non garantirà necessariamente che questi non soffrano di malattie mentali, dato che trascorrono la parte maggiore del loro tempo in case e comunità che possono essere all’origine dei loro problemi. Inoltre, è importante ricordare che il ruolo principale delle scuole è quello di educare la prossima generazione. Sembra ironico che, oltre a sostenere il benessere dei bambini, si chieda loro di elaborare curriculum ristretti (limitato a un nucleo essenziale di saperi e competenze linguistiche, logico-matematiche e tecnologiche, N.d.T) che sottopongono i ragazzi a continui test ed esami, una pressione che può avere un impatto negativo sulla salute mentale.

Le scuole si trovano quindi in una situazione paradossale. Sono tenute a sostenere il benessere psichico dei bambini e allo stesso tempo sottopongono i giovani ad approcci pedagogici che possono avere un effetto negativo. […]

Oltre agli interventi clinici, è necessaria una risposta sistemica, che deve includere un ampliamento del curriculum e un modello di valutazione più inclusivo che consenta a tutti gli studenti di sperimentare il successo scolastico. Inoltre, le scuole dovrebbero dare priorità allo sviluppo di culture scolastiche sane che generino un senso di appartenenza e che affermino positivamente la differenza. In assenza di una risposta sistemica, continueranno a produrre anziché risolvere i problemi di salute mentale.

Il ruolo degli insegnanti

Gli insegnanti non sono professionisti della salute. Sono prima di tutto educatori. Fornire loro una formazione per aiutarli a identificare in modo più efficace i bambini e i giovani con bisogni di salute mentale potrebbe essere irresponsabile e potenzialmente pericoloso. Gli insegnanti non sono qualificati per fare diagnosi psichiatriche o psicologiche, e d’altra parte hanno un’enorme responsabilità, perché nel momento in cui identificano precocemente un problema legato alla salute mentale incanalano il bambino in un percorso che presumibilmente porterà a una diagnosi. Le etichette possono avere un effetto negativo sul senso di sé dei giovani e gli effetti negativi di etichette percepite come negative possono durare tutta la vita.

Vedere i bambini attraverso la lente di un’etichetta può essere particolarmente dannoso, e perfino l’inserimento dei bambini in programmi di intervento clinico a sostegno della salute mentale può essere rischioso, se non viene fatto da una persona che abbia la preparazione necessaria per farlo. […]

I punti critici del Libro Verde

Il Libro verde (DfE/DoH, 2017), contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non offre mai una definizione di salute mentale. Dal nostro punto di vista, questa va pensata come un attributo dinamico che si muove lungo un continuum che va dall’essere mentalmente sani all’essere malati. In tutto il documento ci sono invece numerosi riferimenti che concettualizzano la salute mentale come un “problema”. Ma inquadrare in questo modo la salute mentale aumenta lo stigma ad essa associato.

Come abbiamo detto, poi, l’approccio adottato dal governo riflette un modello medico di salute che è profondamente problematico, perché sposta l’attenzione sui deficit individuali e la distoglie dai fattori sistemici più ampi che contribuiscono a creare o ad aggravare il malessere psichico degli individui. Dimostra una mancanza di comprensione dell’interazione tra fattori biologici, sociali e psicologici (il modello biopsicosociale della salute) che si traduce nei disturbi mentali. […]

Piuttosto, il governo dovrebbe affrontare urgentemente i fattori sociali e ambientali che causano problemi di salute mentale nei bambini e nei giovani: misure urgenti per affrontare la povertà, gli abusi sui minori e le interazioni disfunzionali tra genitori e figli. Inoltre, il governo dovrebbe, con urgenza, rivedere l’offerta curricolare nelle scuole in modo che gli studenti abbiano l’opportunità di accedere a un curricolo ampio, equilibrato e ricco. Dato il legame tra attività fisica e salute mentale, i dirigenti scolastici dovrebbero poi garantire che tutti i ragazzi abbiano accesso a un’educazione fisica inclusiva e a un programma di salute mentale che li aiuti a sviluppare un’alfabetizzazione minima sulla salute mentale. Infine, il governo dovrebbe intraprendere un’azione urgente per affrontare gli effetti dello stress legato agli esami, sviluppando un approccio alla valutazione che offra ai giovani una varietà di modalità di valutazione. I ragazzini delle scuole primarie dovrebbero avere l’opportunità di testare i loro talenti in una gamma più ampia di materie, in modo che non inizino la loro istruzione secondaria con una bassa autostima e una scarsa fiducia. È molto probabile che un modello clinico di intervento che opera solo a livello dell’individuo sia inefficace se non considera questi fattori sistemici.


Tratto da: J. Glazzard, S. Stones (2021), Supporting Young People’s Mental Health: Reconceptualizing the Role of Schools or a Step Too far?, POLICY BRIEF of Frontiers in «Education», Vol.5, 2021.

Traduzione di Francesca Nicola.

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Jonathan Glazzard

insegna Inlcusive Education alla Carnegie School of Education presso la Leeds Beckett University, in Gran Bretagna.

Samuel Stones

insegna alla Carnegie School of Education presso la Leeds Beckett University, in Gran Bretagna.

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