Come ricorda lo stesso regista, sono molti i ricordi d’infanzia che lo legano a quel luogo:
I suoi giorni di gloria appartengono a un’epoca molto precedente alla mia nascita, ma quando ci andavo era ancora molto emozionante. Mi ha sempre colpito molto. Lì c’era tanta gente pittoresca, e così tante attività complicate e contrastanti che l’atmosfera era particolarmente vitale. Ho pensato che sarebbe stato uno scenario molto stimolante in cui ambientare una storia drammatica.
Questi luoghi di divertimento hanno il misterioso potere d’esercitare un fascino particolare, ambiguo e sfuggente. Le giostre, i giochi e gli spettacoli di Coney Island diventano una sorta di quinta teatrale, che enfatizza ancor più il dramma della storia. La loro artificiosità ha quella natura ambivalente che, dietro alla spensierata distrazione, sembra celare la consapevolezza del lato tragico dell’esistenza. Non è un caso che anche Federico Fellini amasse il circo e i clown, ma sempre visti con quella vena di nostalgica e malinconica tristezza ben rappresentata dalla lacrima sulla maschera di Pierrot.
Tutto il film ruota attorno a quattro personaggi, che incrociano i loro destini tra speranze e disillusioni.
Ginny, ex attrice di scarso talento e psicologicamente fragile, lavora come cameriera ed è sposata con Humpy, un uomo semplice e rozzo che si guadagna da vivere con le giostre. Dopo precedenti esperienze matrimoniali fallite, i due si sono sposati più per paura di restare soli che per amore. Ginny, insoddisfatta della sua squallida quotidianità, non trova di meglio che diventare l’amante di Mickey, un giovane bagnino aspirante scrittore.
Tutto sembra filare liscio fino a quando non arriva Carolina, la figlia di Humpy, in cerca di protezione per sfuggire a dei gangster inviati dal marito mafioso. Gli instabili equilibri del classico triangolo sentimentale cominciano a scricchiolare e precipitano definitivamente quando Mickey e Carolina s’incontrano in spiaggia. Tra i due giovani nasce subito una simpatia, che si trasforma ben presto in amore: da qui in poi, la storia prende una piega drammatica, in un continuo crescendo emotivo e passionale.
Woody Allen, fedele ai canoni classici, segue le tradizionali regole dell’unità di luogo, di tempo e di azione, confinando l’opera negli scenari del falso mondo di Coney Island e raccontando un’unica storia che si svolge davanti ai nostri occhi senza salti temporali significativi. Per buona parte del film, il regista gestisce i quattro personaggi a coppie, o comunque tenendo separate le loro vite su binari narrativi indipendenti e attribuendo a Mickey il ruolo di voce narrante, che parla direttamente allo spettatore guardando in camera – un escamotage già utilizzato nel 1966 in Alphie diretto da Lewis Gilbert e interpretato da Michael Caine e nel successivo remake del 2004 girato da Charles Shyer con Jude Law come protagonista. Citazione che va oltre la scelta stilistica, visto che Alphie e Mickey sono tutti e due dei dongiovanni. Solo con il progredire degli eventi i destini dei quattro protagonisti s’intersecano e fatalmente si scontrano, facendo deflagrare la storia verso l’epilogo drammatico.
Se in molte opere interpretate dallo stesso Woody Allen il protagonista era il personaggio maschile, ne La Ruota delle Meraviglie sono le due donne i veri catalizzatori dell’azione. Una scelta che, come spiega il regista, nasce dal genere del film:
Che tu legga una tragedia greca, Stendhal, Tolstoj o Dickens, i rapporti d’amore sono sempre presenti, perché per molti sono fonte di angoscia e conflitti. Comportano l’emergere di situazioni e di sentimenti complessi, profondi, intensi e che ci confondono. In particolare sono sempre stato incuriosito dai problemi delle donne.
Ho realizzato soprattutto commedie, ma ogni volta che ho cercato di fare un film drammatico quasi sempre –non sempre, ma quasi– ho parlato di donne in momenti difficili.
Senza dubbio le interpretazioni di Juno Temple e soprattutto di Kate Winslet rappresentano l’asse portante del film, così come un contributo fondamentale va riconosciuto alla splendida fotografia del maestro della luce e Premio Oscar Vittorio Storaro. La sceneggiatura, invece, non convince fino i fondo. Spesso è prevedibile e scontata, e gli stessi dialoghi non hanno la brillantezza espressiva e la pungente efficacia del miglior Woody Allen.
Nel complesso è un buon film, anche se non paragonabile alle migliori opere del regista newyorkese. Non bisogna tuttavia cadere nell’errore di paragonarlo alle sue commedie: si resterebbe inevitabilmente delusi. Resta pur sempre un dramma d’amore, e come tale va visto, senza cercare altro. Prevalgono i toni malinconici, i ricordi, i rimpianti del passato, il senso di fallimento, l’insoddisfazione per un presente troppo lontano dai sogni di gioventù e la sensazione d’essersi ormai lasciati alle spalle la parte migliore della vita. In un modo o nell’altro, tutti i personaggi sono degli sconfitti che rincorrono solo ricordi o illusioni per cercare di sfuggire alla deludente e frustrante quotidianità. Un Woody Allen un po’ pessimista e crepuscolare.
La Ruota delle Meraviglie
Un film di Woody Allen
con Jim Belushi, Juno Temple, Justin Timberlake, Kate Winslet, Max Casella, Jack Gore, David Krumholtz
Durata: 101 minuti
Produzione: USA, 2017