La riforma dell’orientamento scolastico: lo sguardo di una docente tutor

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Una docente che ha seguito il corso di formazione per diventare docente tutor racconta la sua esperienza e condivide le sue riflessioni sulla riforma, sul capolavoro, sul riscontro delle e degli studenti.
Image by Maike und Björn Bröskamp – Pixabay.

Gli obiettivi che si prefigge la riforma dell’orientamento scolastico che è stata avviata con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono condivisibili da chiunque abbia a cuore l’istruzione pubblica e il dettato costituzionale: valorizzare le inclinazioni di ogni studente, accrescerne le capacità di compiere scelte consapevoli e ponderate per il futuro, contribuire a superare la dispersione scolastica.

Attraverso le Linee guida per l’orientamento, approvate con il decreto n. 328 del 22 dicembre 2022, il legislatore dà attuazione alla riforma prevista dal PNRR: è stato inserito un vero e proprio curricolo orientativo all’interno del percorso scolastico, fin dalla scuola dell’infanzia.

Tra i paradigmi teorici sottesi alla riforma vi sono i modelli dell’orientamento formativo, caratterizzato da obiettivi non legati a un’occasione, ma volti a incrementare le competenze di auto-orientamento del soggetto.

Tali elementi si trovano in continuità con quelli presenti nelle Linee guida per l’orientamento permanente del 2014, che davano già spazio all’orientamento come non episodico o circoscritto a momenti di transizione particolare della vita di un individuo, ma sistematico; inoltre già nel dispositivo normativo del 2014 veniva valorizzata la didattica orientativa, ridimensionando l’aspetto meramente trasmissivo delle conoscenze. (Se tali aspetti erano già previsti da tempo, non sembra tuttavia a chi scrive che siano diventati operativi.)

Gli elementi più innovativi – e anche più controversi – della riforma sono invece i moduli di 30 ore di orientamento formativo e la nascita, a partire dall’a.s. 2023-24, nel triennio della scuola secondaria di secondo grado, di due nuove figure professionali, contestate da molti, quelle di docente orientatore e di docente tutor: la prima ha l’ambizioso compito di favorire l’incontro tra le competenze degli studenti, l’offerta formativa e la domanda di lavoro, mentre la seconda deve aiutare gli studenti e le studentesse a riflettere sul percorso di studi svolto, in chiave autovalutativa e orientativa. Questo compito così importante, che dovrebbe essere parte integrante della professione docente, è stato considerato un incarico aggiuntivo. Una scelta lungimirante?

In viaggio verso l’isola sconosciuta

Per diventare tutor occorre seguire un corso di formazione online il cui nome è OrientaMenti, che ho scelto di seguire: in passato avevo già avuto occasione di avvicinarmi allo studio di un indirizzo orientativo, quello dell’orientamento narrativo, e di sperimentarne la validità e l’efficacia, di qui la mia curiosità nei confronti dell’opportunità rappresentata dalla riforma.

Mi riferisco al metodo ideato nel 1997, ispirato al costruttivismo, che utilizza narrazioni eterogenee (romanzi, racconti, canzoni, film) per accrescere le competenze di autorientamento del soggetto, migliorarne la consapevolezza e renderne più efficace le capacità di realizzazione. Avevo avuto modo di sperimentare l’efficacia di questa metodologia, secondo la quale l’orientamento di un soggetto

significa trasferirgli competenze di autorientamento, con la finalità di scelte (il plurale è d’obbligo) immediate o future, in direzione di una decisione o per una lettura più appropriata di un contesto esistenziale e/o professionale, per progettare un percorso formativo o per migliorare la percezione di sé in direzione di un’efficacia maggiore nell’azione di soddisfacimento dei propri bisogni, di realizzazione dei propri progetti e desideri, in direzione di una maggiore chiarezza su questi stessi (cfr. F. Batini, G. Del Sarto, Raccontare storie. Politiche del lavoro ed orientamento narrativo, Carocci, Roma 2007, p. 48).

Il corso OrientaMenti prende l’avvio dalla presentazione di un racconto di Saramago, Il racconto dell’isola sconosciuta, il cui protagonista è un uomo che chiede al re una barca per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta: il percorso del protagonista può essere letto come un viaggio alla ricerca della propria identità, metafora particolarmente preziosa per docenti che si apprestano a riflettere a fondo sul concetto di orientamento. Ritengo che gli e le studenti abbiano il diritto di cercare il proprio orizzonte di senso all’interno delle discipline che studiano, e che la scuola abbia una grande responsabilità in tal senso. Ed è per questo che, studiando i materiali del corso, leggo le Linee guida per l’orientamento come un’opportunità, che mi sembra sempre più preziosa, quella di ricordare ogni giorno che una didattica di senso non può che essere declinata in chiave orientativa, dando spazio alla personalizzazione dei percorsi e alle esperienze dei soggetti.

Già in questa fase di studio inizio a riflettere su quanto sia importante che la funzione di orientamento venga assunta dalla totalità dei docenti e non solo dai docenti tutor e dall’orientatore.

Le relatrici e i relatori del corso presentano i nodi principali delle Linee guida per l’orientamento, la nuova piattaforma Unica, l’orizzonte di senso della riforma. Trovo particolarmente interessante un excursus storico sugli indirizzi orientativi, che mi consente di ragionare su temi fondamentali per chi insegna, e a cui forse non avevo mai prestato sufficiente attenzione. Senza alcuna pretesa di esaustività mi limiterò a ricordare i passaggi che ho trovato più significativi per la riflessione di una docente in formazione.

Alle origini dell’orientamento, nei primi decenni del Novecento, si trova la fase diagnostico-attitudinale, volta a misurare le attitudini e le disposizioni naturali, postulandone l’esistenza e la misurabilità: esse sono messe in relazione alle caratteristiche necessarie per svolgere una data attività produttiva, secondo un’ottica selettiva, per mettere “l’uomo giusto al posto giusto”.

Tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta si sviluppa la fase caratteriologica-affettiva, in cui si dà importanza anche al carattere e ai bisogni dell’individuo, non solo alle attitudini: in questo periodo l’attenzione al soggetto è però ancora limitata, dato che quel che conta è il suo inserimento all’interno dell’organizzazione lavorativa.

Scopro che in Italia l’orientamento arriva solo negli anni Cinquanta con la teoria clinico-dinamica delineata dal medico Agostino Gemelli, che considera fondamentale il compito di aiutare l’individuo a scegliere il lavoro più adatto alla luce dell’analisi dei suoi bisogni più profondi: l’emersione di questi ultimi grazie agli strumenti della psicoanalisi consentirà al soggetto la possibilità di raggiungere risultati lavorativi migliori. Se il punto di vista rimane paternalistico, poiché è l’orientatore che indica al soggetto quel che è adatto per lui, emerge per la prima volta l’esigenza di mettere al centro non il sistema o la società in cui inserirsi ma la persona da orientare, analizzandone le inclinazioni e disposizioni naturali, espressione dei suoi bisogni più profondi e autentici.

Negli anni Cinquanta il pedagogista Léon riflette sul fatto che le attitudini cambiano nel corso dell’esistenza e sulla necessità di allargare l’orizzonte di scelta degli studenti, affinché operino scelte più consapevoli: alla luce di questo per la prima volta si introduce l’informazione sulle professioni. L’orientamento dunque viene presentato come uno strumento di democrazia, che può rendere possibili importanti trasformazioni sociali. Non posso non pensare che tutto questo ci riguarda moltissimo e che dovremmo fare tesoro di una lezione che ha radici teoriche lontane nel tempo ma attualissime.

Il tratto che unifica gli indirizzi presentati finora è il ruolo dominante attribuito all’orientatore rispetto al soggetto.

Sono gli anni Ottanta quando l’orientamento vive in Italia uno dei momenti di maggiore interesse: si sviluppa la teoria transizionale che vede l’orientamento come un accompagnamento alle fasi di transizione dei soggetti, nei momenti di passaggio.

Solo dalla seconda metà degli anni Novanta si diffondono nuovi modelli di orientamento, i modelli formativi, che percepiscono il processo come educazione continua e ne mettono in discussione l’obiettivo di fondo, che non è più l’accompagnamento nelle scelte o l’inserimento nel lavoro, ma l’educazione della persona, affinché eserciti un maggior controllo sugli avvenimenti della sua vita.

La complessità dei nodi emersi nello studio della storia dell’orientamento mi porta a sentire con sempre maggior urgenza il bisogno di confrontarmi con colleghe e colleghi. Purtroppo tale bisogno in questo primo anno di docente tutor è rimasto sostanzialmente inappagato. Scaturisce anche da qui la scelta di scrivere queste pagine.

Il capolavoro

All’interno della riforma dell’orientamento uno dei concetti più innovativi è il capolavoro che gli studenti e le studentesse devono identificare all’interno del proprio percorso annuale: si tratta un prodotto legato all’ambito scolastico o extrascolastico, identificato liberamente dalle ragazze e dai ragazzi, rappresentativo dei progressi compiuti e delle competenze raggiunte; può essere anche frutto di attività cooperative. La scelta del capolavoro implica un’attenta riflessione su di sé e sul proprio percorso. Non a caso è strettamente collegato alla capacità di studenti e studentesse di autovalutare le proprie competenze.

Il concetto di capolavoro, così importante nella visione proposta nelle Linee guida per l’Orientamento, ha radici lontane nel tempo, legate al pensiero pedagogico di Célestin Freinet, basato sul principio di fondo della cooperazione, inteso come intento di mettere in relazione la crescita e i progressi di ogni studente a quelli della collettività cui appartiene, e sulla necessità che la/il docente realizzi una vera e propria educazione al lavoro (didattico), facendo scoprire a chi apprende il piacere e l’interesse legati a un’attività didattica (cfr. Freinet, La scuola del fare. I principi, trad. di R. Eynard, Emme Edizione, Milano 1978).

Il capolavoro freinetiano è mutuato dallo scoutismo (cfr. Bottero, Pedagogia Cooperativa, Armando Editore, Roma 2021, pag. 148) e per essere compreso va visto nel quadro complessivo della pedagogia cooperativa, in cui l’insegnante non segue rigidi programmi uguali per tutti, ma dà fiducia alle scelte autonome del singolo soggetto che apprende, che ha un potere decisionale nella scelta del proprio piano di lavoro e del raggiungimento degli obiettivi educativi, così come nella scelta delle attività e dei tempi della loro valutazione. Nel proprio piano di lavoro lo/la studente si impegna a svolgere alcune attività: testo libero, creazioni matematiche, attività di ricerca, che sono poi oggetto di autovalutazione e eterovalutazione (da parte del gruppo classe e del/della docente): tali attività valutative sono finalizzate a creare un approccio metacognitivo utile per la consapevolezza del sé e per il processo di apprendimento.

Il capolavoro di Freinet consiste nella creazione di prodotti in cui gli studenti e le studentesse esprimono pienamente e liberamente sé stessi e i propri progressi in un ambito scelto da loro, come un giornale redatto collettivamente, un plastico, una pianta della classe o della regione, l’esecuzione di una musica. Tali esperienze vengono sottoposte alla valutazione del docente e del gruppo classe.

Se nella pedagogia di Freinet si tratta in alcuni casi di lavori di gruppo, per quanto riguarda il capolavoro che va caricato sulla piattaforma Unica questa è una possibilità praticata molto raramente, mentre sarebbe molto interessante se le fosse dato spazio.

Se a ragionare sul capolavoro fossimo in tante/i docenti, forse potremmo interrogarci su diversi nodi di fondo della pedagogia, come l’importanza della cooperazione, dei metodi attivi, dell’individualizzazione, e dare spazio a pratiche efficaci anche attraverso questa riforma “calata dall’alto”, come si sente dire all’interno di molte scuole.

Mi sembrerebbe ragionevole considerare un’opportunità il cambiamento che è stato legiferato, che scaturisce dalla volontà di evitare la dispersione scolastica e di mettere al centro gli e le studenti.

Le trasformazioni più importanti in classe sono sempre avvenute attraverso le pratiche, non attraverso le riforme, come ricorda Vanessa Roghi nel suo testo su Lodi (cfr. V. Roghi, Il passero coraggioso. Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica, Laterza, Bari 2022, p. XIV): eppure questa riforma potrebbe avere il merito di far entrare la pedagogia cooperativa e le pratiche dell’orientamento narrativo nelle riflessioni e nelle esperienze didattiche dei/delle docenti.

Come ogni tutor, ho incontrato gli e le studenti nel corso di colloqui pomeridiani, che ho trovato particolarmente preziosi: ho avuto l’opportunità di dialogare con le mie classi al di fuori dell’aula e abbiamo riflettuto insieme sul modo in cui i capolavori che avevano individuato erano stati significativi per il loro percorso, sulle competenze che hanno avuto modo di sviluppare e di cui avevano acquisito consapevolezza.

In una fase successiva ciascuno ha messo per iscritto le proprie considerazioni, che io ho letto attentamente; nel caso in cui ci fossero aspetti da migliorare, ho rimesso in bozza il testo consegnato e dato loro indicazioni su come migliorarlo, realizzando una vera valutazione educativa.

Far parte del consiglio di classe delle e degli studenti di cui ero tutor è stato fondamentale: non avrei avuto gli elementi necessari per aiutarli a mettere a fuoco i loro punti di forza se non li avessi conosciuti.

Una delle criticità più evidenti della riforma consiste proprio in questo: allo stato attuale non viene assolutamente richiesto né caldeggiato che il/la tutor sia docente degli studenti e delle studentesse che le/gli vengono assegnate. Continuo inoltre a pensare che tale funzione dovrebbe essere propria del consiglio di classe e non solo di un docente.

Inoltre il corso di formazione OrientaMenti andrebbe esteso all’intero collegio docenti, necessario attore della riforma.

Le voci delle e degli studenti

Quel che ho trovato più interessante del compito di tutor è stato forse la possibilità di confrontarmi con le mie classi sul concetto di capolavoro; non mi ha stupito scoprire che tra le loro proposte le esperienze di gruppo, frutto di lavori didattici cooperativi, fossero rarissime. La scuola che frequentano infatti si dedica solo in modo episodico a esperienze di questo tipo, quindi è naturale che abbiano scelto di dare spazio a prodotti individuali. Ascoltare le loro riflessioni mi ha permesso di dare spazio a un processo di emersione di punti di forza, sogni, progetti, aspetti a cui nella secondaria di secondo grado che conosco viene raramente dato spazio. Oltre a identificare, descrivere e analizzare i capolavori, le mie classi hanno riflettuto con me sui loro livelli iniziali delle competenze chiave europee e sul processo che, nel corso dell’anno, li ha visti consolidarle: tali competenze inoltre sono state evidenziate e messe in relazione ai capolavori scelti.

Per quanto riguarda questi ultimi, in alcuni casi appartengono all’ambiente extrascolastico, come nel caso di Jacopo, che si sente cambiato e cresciuto nella competenza dell’imparare a imparare (competenza 5) grazie all’impegno che ha profuso nel tornare dopo anni a studiare uno strumento musicale, di Micol, che ha conosciuto meglio le proprie capacità organizzative attraverso la stesura di un testo collettivo scritto con i bambini e le bambine di una parrocchia in cui fa volontariato (competenza 7: spirito di iniziativa e imprenditorialità), e di Daniel, che vorrebbe ideare videogiochi e che ha già iniziato a farlo, sviluppando pienamente le sue competenze digitali (competenza 4). Riporto di seguito alcune delle parole scelte da Jacopo, Micol e Daniel per raccontarsi.

Jacopo: Durante quest’anno ho ricominciato a suonare e a prendere lezioni di batteria. Rimettermi in gioco non è stato facile, ma la passione per la musica e per questo strumento mi hanno spinto a riprovare, nonostante le incertezze iniziali. Fortunatamente ho ricominciato in breve tempo a riacquisire le conoscenze credute perse e in parte effettivamente diminuite, a causa della pausa durata diversi anni. Insieme a questa descrizione, allego gli spartiti sui quali mi esercito regolarmente.

Micol: Il capolavoro che ho scelto di presentare è un copione di teatro che ho scritto per la compagnia di piccoli attori a cui insegno teatro. Ogni bambino ha scelto un personaggio Disney che voleva interpretare e analizzando ogni carattere si sono cominciate a comporre delle scene che hanno poi portato alla stesura di ‘Cartoons Alive’. Inoltre i bambini mi hanno aiutato molto poiché in ogni lezione, costruendo le scene, collaboravano suggerendo come avrebbero impostato la scena e io prendevo appunti.

Daniel: Sono sempre stato appassionato di videogiochi e della possibilità di poterli creare seguendo alcune mie idee originali. Poiché ho anche la passione del disegno, ho potuto creare da zero, oltre ai codici e alla trama, anche gli ambienti del mio videogioco, usando un programma di modellazione 3D. Spero che in futuro possa diventare il mio lavoro a tempo pieno.

C’è stato poi chi ha identificato come proprio capolavoro la stesura di una lettera indirizzata a uno scrittore, Fabio Geda, di cui avevano letto un libro, e la successiva pubblicazione del loro testo sul sito dello Struzzo a scuola: tra le competenze su cui hanno riflettuto maggiormente spicca quella legata all’espressione nella madrelingua (competenza 1).

Matteo: Ho deciso di inserire questo capolavoro perché lo considero come il raggiungimento di un piccolo traguardo personale. Nella maggior parte dei casi sono i piccoli traguardi che ti spingono a continuare un percorso e questo in particolare mi ha reso particolarmente soddisfatto.

Anche Giulia ha scelto di parlare della propria lettera a Fabio Geda, che presenta così:

Giulia: Nei primi mesi di scuola con la docente di lettere abbiamo letto “La scomparsa delle farfalle” e a dicembre abbiamo potuto incontrare l’autore, Fabio Geda. Proprio per quell’occasione abbiamo scritto una lettera da consegnare a Geda che riguardasse gli aspetti che ci avevano colpito del libro e della sua scrittura. La lettera che ho scritto (e successivamente consegnato all’autore) è stata inviata a “Lo Struzzo a scuola”, un progetto della casa editrice Einaudi. Ho deciso di scegliere questo come capolavoro innanzitutto perché è stato interessante e stimolante interrogarmi su ciò che avrei potuto scrivere in una lettera che sarebbe stata letta direttamente dall’autore; inoltre è stato gratificante leggere su un sito Einaudi qualcosa che avevo prodotto io e ciò mi ha fatto capire che ho effettivamente delle competenze nella scrittura. Infine considero questa pubblicazione come un traguardo e come qualcosa di positivo per il mio percorso scolastico e, soprattutto, personale.

Sara infine ha scoperto nuovi lati di sé e sviluppato competenze sociali (competenza 6) e personali (competenza 5) grazie al Progetto di Peer tutoring attivato dalla scuola, che l’ha vista tutor di Latino:

Sara: Essere tutor di latino mi è stato utile sotto più aspetti. Ho capito di saper insegnare (più in generale spiegare) in modo efficace, e che adoro aiutare gli altri; ho migliorato le mie capacità relazionali, l’organizzazione e la gestione del tempo, e ho maggiormente compreso di essere portata in latino. La conseguenza sarà svolgere ripetizioni anche al di fuori della scuola: in estate comincerò a farle a chiunque voglia prenotarsi. Le competenze maggiormente interessate dal mio percorso di crescita sono quelle personali e sociali.

Nel presentare alle classi il concetto di capolavoro avevo posto l’accento sul processo di osservazione di sé necessario per l’individuazione dello stesso, ricollegandomi a esperienze didattiche di orientamento narrativo sperimentate con le classi negli anni: mi riferisco ad esempio alle proposte presenti nei testi scritti da Giusti e Batini Storie per le scelte di Loescher editore. Le mie classi hanno percepito l’importanza di questo sguardo, che nel corso dell’anno è diventato un habitus sempre più radicato in ciascuno/a di loro. Ho potuto sperimentare in tutti e tutte una maggiore consapevolezza dei propri punti di forza, una crescita della percezione dell’autoefficacia. Mi rendo conto di dover sviluppare strumenti di valutazione qualitativa dei dati raccolti, allo scopo di poter riflettere in modo più sistematico su di essi e sul processo che li ha resi possibili.

La spinta alla stesura di questo testo nasce dalla convinzione dell’opportunità di documentare le proprie esperienze professionali e le proprie riflessioni su di esse, perché ne resti traccia e per dare spazio a un proficuo confronto tra docenti.


Bibliografia

A. Bandura, Il senso di autoefficacia. Aspettative su di sé e azione, trad. it. G. Loiacono, Erickson, Trento 1996

F. Batini, G. Del Sarto, Narrazioni di narrazioni. Pagine di orientamento narrativo, Erickson, Trento 2005

F. Batini, S. Giusti, Non so che fare, Storie per le scelte, Loescher, Torino 2013

E. Bottero, Pedagogia cooperativa, Armando Editore, Roma 2021

D. Demetrio, Raccontarsi: L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano 1996

C. Freinet, La scuola del fare. I principi, trad. it. R. Eynard, Emme Edizione. Milano 1978

S. Giusti, Insegnare con la letteratura, Zanichelli. Bologna 2011

P. Meireu, Fare la scuola, fare scuola, trad. it. E. Bottero, FrancoAngeli, Milano 2015

E. Morin, La testa ben fatta, trad. it. S. Lazzari, Cortina Milano. 2000

V. Roghi, Il passero coraggioso. Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica, Laterza, Bari 2022

J. Saramago, Il racconto dell’isola sconosciuta, trad. it. P. Collo e R. Desti, Einaudi, Torino 2003

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Silvia Vitucci

Insegna Italiano e Latino al Liceo scientifico “Nomentano” di Roma

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