L’esposizione si intitola Robert Doisneau. Le merveilleux quotidien, è a cura dell’Atelier Robert Doisneau, ed è realizzata dalla Fondazione per la Storia della Fotografia Fratelli Alinari e ViDi, in collaborazione con il Comune di Monza e con la consulenza scientifica di Piero Pozzi.
Si può dunque ammirare nella sede monzese una selezione di ottanta fotografie originali che ripercorrono la carriera del fotografo dal 1929 al 1973, anni durante i quali il nostro ha immortalato soprattutto Parigi, sede di quell’ossimorico “meraviglioso quotidiano” cui allude il titolo della rassegna. Sì, perché l’occhio del Maestro, il suo atteggiamento di osservatore mai asettico e “terzo”, ma benevolmente partecipe della vita delle persone (e delle cose) da lui raffigurate, consente di fare trasparire un che di meraviglioso anche da situazioni in apparenza del tutto normali; ed è proprio l’idea che siano la gente comune, i paesaggi comuni, o addirittura gli oggetti comuni a suscitare meraviglia ciò che rimane al visitatore dopo questa full immersion sulle rive della Senna. Infatti la Rolleiflex di Doisneau (con la quale si autoritrasse nel 1947) ha catturato – con un atteggiamento per così dire “umanistico” – gli animati giardini di Parigi, i passanti frettolosi, gli affollati bistrot e caffè, le banlieu, la torre Eiffel, i piccioni etc… offrendo un vivace affresco di vita quotidiana.
Che dire degli impagabili scolari de L’informazione scolastica (1956)? O de La diagonale dei gradini, (1953), dove regolari geometrie e scomposti movimenti umani si compenetrano a vicenda? Sul Bacio davanti all’Hôtel de Ville (1950) già molto si è detto e scritto, e giustamente: si tratta di una foto davvero emozionante…
In realtà sono molte altre le foto che emozionano, anche se in questa sede mi limiterò solo a tre riflessioni.
La prima è relativa all’attività del giovanissimo Doisneau quale fotografo aziendale per ben cinque anni della Renault, casa automobilistica che lasciò nel 1939; anzi fu la Renault ad allontanare il giovane, troppo ritardatario e assenteista. Egli aveva però saputo dare un tocco di umanità all’epopea della fabbrica di quei tempi, e alcune di quelle foto “automobilistiche” sono in mostra a Monza; per me, che non le conoscevo affatto, sono state una vera sorpresa.
La seconda riguarda una foto in particolare, e cioè Piazza della Stazione di Ivry (1946), che mi ha ricordato la definizione che Giuseppe Ungaretti diede di questo sobborgo che pare / sempre / in una giornata / di una / decomposta fiera (G. Ungaretti, In memoria): fotografie e poesia, come si somigliano talora!
La terza e ultima è una considerazione relativa a una serie di foto assai celebri, e cioè Lo sguardo obliquo (1948), che rappresentano gli sguardi “obliqui” degli osservatori di una bottega di antiquario, indirizzati verso un sensuale quadretto con un nudo femminile. A Monza ne è esposta forse la più riuscita, quella di un elegante signore di mezza età il cui sguardo sfugge dall’improbabile cappellino della moglie verso il “lato b” della figura dipinta. Non c’è voyeurismo in quello scatto, ma neppure moralistica riprovazione: c’è la inaspettata “meraviglia” dell’impettito borghese parigino, e – nel contempo – quella del suo divertito, ironico e comprensivo fotografo. Fotografo che sembra dirci “Sì, l’ho sorpreso; ma, al posto suo, anch’io avrei reagito così…”; d’altronde se Doisneau non si fosse meravigliato, sempre e comunque, come avrebbe potuto scattare 450.000 foto nella sua vita?