La pace di Alcina: un altro mondo è possibile

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La guerra in Europa e lo scontro tra Est e Ovest sembrano un capitolo dimenticato della Storia, che ci riporta indietro nel tempo, non di anni, ma di secoli: a quando i cavalieri franchi combattevano contro i Saraceni e talvolta, per distrazione, sperimentavano le gioie della pace.

Le immagini di un’Europa sconvolta, di nuovo, dalla guerra, i timori per un’estensione del conflitto, la sua trasformazione, nelle varie propagande, in uno scontro tra Occidente e Oriente rimandano a tempi andati: alle guerre mondiali, alle campagne napoleoniche, fino alle battaglie, combattute all’altro capo del continente, tra Franchi e Saraceni. Che la guerra sia un affare maschile non è una generalizzazione forzata e che sia necessaria la sua abolizione non è un’utopia.
Se vogliamo ripescare dalla tradizione letteraria una traccia di entrambi questi concetti, il caleidoscopio dell’Orlando furioso di Ariosto ci offre ampio materiale.

Tra i paladini di Carlo, da Rinaldo a Orlando, a parte qualche differenza caratteriale, il modello dominante sembra quello del guerriero indomito, sempre pronto a sacrificarsi, al massimo distratto dall’amore. Un personaggio però spicca per le sue continue transizioni: è Ruggiero, cui Ariosto affida il compito di incarnare l’inevitabile filone encomiastico del poema, come progenitore cavalleresco della casata d’Este, tra i cui membri c’era il cardinal Ippolito, la «generosa Erculea prole» del proemio.
Ruggiero transita fra due mondi (discendente di Ettore troiano e di Alessandro il Macedone, re dei Bulgari, soldato di re Agramante e poi di re Carlo, infine vassallo dell’imperatore di Costantinopoli), fra due religioni (musulmano, poi cristiano), fra due legami sociali dalle forti connotazioni sentimentali (la protezione del mago Atlante, il matrimonio con Bradamante). In un’occasione, inoltre, Ruggiero avvia anche un processo di transizione personale, se vogliamo identitaria, quando l’ippogrifo, su mandato del solito Atlante, lo fa atterrare sull’isola remota di Alcina.

La maga, il cui nome ricorda quello di Alcinoo, altro re di una corte pacifica e amena, nell’Odissea, vive oltre l’Europa, oltre il «segno» d’Ercole, quelle colonne che all’epoca di Ariosto erano ormai state varcate dai colonizzatori. Tra «chiare acque, ombrose ripe e prati molli» (VI, 20), fragranti agrumeti, frondi ombrose contro il calore estivo, usignoli canterini che incoraggiano il sesso, animali liberi, dai cervi ai conigli, «senza temer ch’alcun gli uccida o pigli» (VI, 22), Ruggiero pensa di essere arrivato, appunto, sull’isola dei Feaci, in un giardino paradisiaco e pacifico. Per prima cosa si disarma: è un gesto di forte valenza simbolica, per un guerriero sempre pronto al duello, e che rivela il suo ingresso in una dimensione nuova.

L’isola di Alcina, però, non è veramente in pace. La maga ha dovuto ritagliarsi il suo spazio di governo strappandolo, con l’alleanza di Morgana, a una terza sorella, Logistilla, «pudica e santa» (VI, 46), la maga del lógos, della razionalità, dell’ordine costituito, specchio dei valori maschili. È dunque un regno solo apparentemente armonioso, presidiato da un esercito che più diverse non si può: creature da corteo bacchico, metà uomini e metà animali (scimmie, gatti, capri, centauri), «chi femina è, chi maschio, e chi amendue» (VI, 62), tuttə guidatə da un panciuto ubriaco a cavallo (si fa per dire) di una lentissima testuggine.

Dosso Dossi, La maga Alcina, 1515 circa, olio su tela (Washington, National Gallery).

L’isola è anche popolata di ex uomini, gli amanti di Alcina trasformati da lei, ormai stanca della relazione, in vari esseri, secondo la tradizione della Circe omerica. Tra questi, Ruggiero incontra subito Astolfo, ridotto a vegetale, che lo mette in guardia, invano. L’accoglienza di Alcina e delle sue ministre è troppo gradevole per essere rifiutata e Ruggiero, come tutti i polli prima di lui, conta di diventare quell’unico prescelto per essere amato in esclusiva dalla maga.
Una volta varcata la porta d’oro della città-paradiso, accolto da due donzelle, Ruggiero assiste a uno spettacolo impensato, che trasuda abbondanza («sta ognor col corno pien la Copia»: VI, 73): ragazze di verde vestite e inghirlandate che corrono, giovani che si confidano, Amorini che affilano le frecce (le uniche armi qui ammesse). Tuttavia, prima di arrivare a palazzo, Ruggiero deve affrontare una breve prova, come in una contro-iniziazione: l’amenità è infatti disturbata da un mostro, la gigantessa Erifilla, allegoria simile alla lupa dantesca, la quale infatti troneggia su un lupo «grosso et alto più d’un bue» (VII, 4).
Sconfitta senza troppa fatica Erifilla, Ruggiero entra in un bosco e lungo una via stretta e sassosa sale una collina che invece è ben diversa dal colle della Grazia avvistato da Dante all’inizio dell’Inferno. Sulla sua cima sorge il bellissimo palazzo di Alcina, con la gente più gentile e gradevole del mondo, compresi i poeti. La descrizione di Alcina è uno sfoggio di stilemi petrarcheschi e danteschi, che culminano nel dolce sorriso «ch’apre a sua posta in terra il paradiso» (VII, 13); questa quasi-Beatrice osa indossare un vestito che non nasconde (come per le donne in carne e ossa dell’epoca), ma rivela, persino i piedi, che andavano assolutamente coperti.
Qui gli amanti si sentono liberi di confessarsi ogni segreto «senza divieto» (VII, 21), senza pressioni sociali. Se proprio ci si deve dedicare a maschie passioni, si va a caccia.

Rutilio Manetti, Ruggiero alla corte di Alcina con le altre coppie di innamorati. 1624, olio su tela (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina).

Ovviamente questo luogo di amore contrasta con la morale corrente e, nonostante a Ruggiero non dispiaccia, viene presentato come «lunga inerzia» (VII, 41), «regno effeminato e molle» (VII, 48), insomma un concentrato di tutto ciò che un eroe non dovrebbe essere, non dovrebbe volere. Gli abbracci d’amore con la maga, lungamente attesi, infine avvengono; Ariosto paragona gli avviticchiati Ruggiero e Alcina all’edera e commenta divertito la loro capacità orale: «avean più d’una lingua in bocca» (VII, 29).
La trasformazione dell’ormai ex eroe è sottolineata dal suo inesorabile scivolamento dalla sfera tipica della mascolinità a quella tipica della femminilità: Ruggiero si traveste, Alcina lo ingioiella come un bambolo, gli dona un abito raffinato da lei stessa tessuto (l’arte della tessitura accompagna anche le donne emancipate e ribelli come Alcina), ne fa il suo Adone.
Tutto ciò è intollerabile, e Bradamante, la guerriera innamorata di Ruggiero (altro personaggio in cui femminilità e mascolinità si mescolano abbondantemente), chiede di intervenire alla propria alleata magica, Melissa. Questa a sua volta si traveste, da uomo, da Atlante, e si presenta a Ruggiero con fare minaccioso: gliene dice di tutti i colori, predica contro l’«ozio» e la «lascivia» (VII, 53) come una discepola di san Bernardino, paragona i gioielli a catene, fino a dargli del «già virile» (VII, 54) e a definire il futuro fondatore degli Este un eunuco («come / fosse in Valenza a servir donne avezzo»: VIII, 55). Proprio il tratto della fecondità, normalmente associato alle progenitrici, entra di prepotenza nel discorso di Melissa-Atlante: Ruggiero è colpito al «ventre» (VII, 60), nella sua capacità generativa («concetto», VII, 60, dalla stessa radice di concepimento), al pari di una donna-madre: l’«arbor tuo fecondo» (VII, 62) rischia di rimanere senza frutti, di non generare la «generosa Erculea prole».
Dall’altra parte, Alcina è presentata come una meretrice, «concubina» di mille altri amanti (VII, 64), che ha disperso le proprie potenzialità materne. E la quasi-Beatrice si trasforma nel suo opposto, una contro-Beatrice di sapore anti-petrarchesco: dietro il make-up, Alcina è pallida, quasi calva, sdentata, di bassa statura, più vecchia della Sibilla Cumana, e solo grazie a una sorta di alchimia plastica riesce ad apparire sempre giovane.
Ruggiero si vergogna, prova «scorno», vorrebbe sotterrarsi, si mostra vittima (povero ingenuo erede di Adamo) di «magica violenza» (VII, 67). Rinsavito, risvegliato, tornato in sé (ma non era un sé anche il Ruggiero travestito?), il riaffermato eroe ha bisogno di un aiuto: un anello magico, che, come un’arra dell’anello nuziale, Melissa gli consegna da parte di Bradamante. Questo gli consente di verificare le parole di Melissa e ora Alcina gli appare davvero come la donna più brutta e «laida» del mondo (VII, 72), una «puttana vecchia» (VII, 79), alla quale pure si era avvinghiato come edera e di cui aveva assaggiato la lingua.

Ruggiero, dopo la parentesi, si riarma (inizio di una nuova fase), imbraccia lo scudo magico e si rimette ben saldamente al fianco la spada Balisarda, gesto che non possiamo non leggere come una riaffermazione – più metonimica che metaforica – della sua potenza sessuale (ora sì che è tornato il Ruggiero estense, futuro marito di Bradamante).
Bisogna però mantenere il segreto per sconfiggere Alcina e il suo esercito, e scappare al momento opportuno; Melissa, a sua volta spogliatasi dei panni di Atlante, gli sussurrerà il da farsi, invisibile, alle orecchie, durante la fuga verso Logistilla, la maga dai «costumi casti» e dalla «bellezza eterna» (X, 45), nel cui soave regno non c’è più da sperare né da temere ma nemmeno da desiderare (che noia!). Per arrivare alla sua corte, diciamo pure, patriarcale, si percorre, ovviamente, una strada impervia e solitaria, molto meno affollata di quella di Alcina e, questa sì, molto più simile alla selva oscura di Dante, oltre una spiaggia deserta, assolata, immobile, con il solo frinire della cicala, e poi a bordo di una barca guidata da un Caronte buono, che traghetta l’eroe verso la parte “giusta” dell’isola (e della Storia).

Alcina è «disperata» (VIII, 13) e lascia incustodito il proprio palazzo pur di fermare Ruggiero; se ne approfitta Melissa, che restituisce forma umana agli amanti i quali, diversamente da Ruggiero, avevano perseverato nella relazione con la maga e ne erano stati trasformati, come Astolfo. Non solo quindi Ruggiero si salva, ma la sua salvezza è stata l’occasione per sconfiggere definitivamente Alcina e le sue pretese dinastiche contro Logistilla.
La vinta vorrebbe poter morire, come Cleopatra, come Didone abbandonata, ma le fate – precisa maliziosamente Ariosto – sono immortali, quanto meno sino alla fine del mondo.

Tutto è cambiato: Astolfo è tornato Astolfo, persino l’ippogrifo sarà più docile agli ordini del suo cavaliere grazie a un nuovo morso logistillico. E Ruggiero, dopo questa avventura, sarà di nuovo un bravo eroe, un eroe “vero”; viaggerà e tornerà ai suoi doveri di soldato, come un Odisseo moralizzato, un Robinson Crusoe imborghesito: a partire dall’isola coprirà l’altra metà del planisfero, fino alla Scizia, alla Sarmazia, alla Russia, alla Prutenia, alla Pomerania, luoghi che ci sono diventati tanto cari.
Un Odisseo pur sempre d’Oriente: Ariosto lo paragona ai re magi che, dopo aver saputo dell’ira di Erode contro il piccolo Gesù, tornano in Persia da una strada diversa, cioè senza passare dal via, da Gerusalemme, senza dire addio ad Alcina. La sua prima avventura sarà quella di un eroe che ha vinto la tentazione, che è rientrato nei ranghi: libererà la bella Angelica (lei sì che se lo meritava!), sul punto di essere sbranata dall’orca di Ebuda.

Gustave Doré, Ruggiero e l’ippogrifo, 1888, incisione per il canto VI dell’Orlando furioso (Parigi, Bibliothèque des Arts Decoratifs).

L’episodio di Alcina avrà un enorme successo, iconografico e soprattutto operistico; tra i tanti melodrammi, ricordiamo la Liberazione di Ruggiero da l’isola d’Alcina (1625), che vanta due primati: prima opera di una compositrice, Francesca Caccini (su libretto di Ferdinando Saracinelli), e prima opera tradotta all’estero, per volontà di Władisław IV Waza, principe di quella Polonia percorsa in volo da Ruggiero. Sulla scena i giardini rivali di Alcina e Logistilla, i travestimenti dei personaggi, le loro molteplici transizioni, sono ancora più efficaci.

Che cosa resta oggi dell’isola di Alcina? Di quel regno un po’ specioso, che in fondo è l’unica alternativa alla guerra? Che fine han fatto il suo palazzo d’oro, il suo esercito di ermafroditi, la sua veste delicata di fata immortale? Non più isolata oltre l’ecumene-mondo, Alcina è fra noi, ma se ne sta in disparte: vigila intorno ai tavoli delle trattative e alle videoconferenze dei Carli e degli Agramanti di oggi, presidia il Palazzo di Vetro, invita a coltivare l’edera più che la zizzania. Alcina c’è, ma noi parliamo solo con Melissa e Logistilla.

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Johnny L. Bertolio

Si è diplomato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ha conseguito il PhD alla University of Toronto, dove ha maturato una variegata esperienza nella didattica dell’italiano. Attualmente collabora con Loescher come autore e redattore nell’ambito umanistico.

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