La Divina Commedia a tre anni?

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Subito una premessa cautelativa: l’esperienza che desidero condividere non ha alcuna pretesa di porsi come un caso emblematico. È un semplice episodio, che cercherò di riportare nel modo più oggettivo possibile, tentando qualche ipotesi esplicativa. Sta agli psicologi dell’età evolutiva, ai neurolinguisti, ai pedagogisti e agli altri esperti fornire le opportune spiegazioni e, naturalmente, ai semplici lettori trarre gli spunti che riterranno validi.
“L’inferno di Topolino” G. Martina – A. Bioletto, 1949 -1950.

Ed ecco i fatti.
Nell’estate 2015, la mia nipotina, di allora 3 anni e tre mesi, residente in una grande città del nord Italia, è venuta a trascorrere un mese presso i nonni. La prima sera del suo soggiorno, all’ora della nanna e già nel suo lettino, presa dalla nostalgia, si è abbandonata ad un pianto sommesso e ininterrotto: io, la nonna, ho tentato in ogni modo di distrarla e di calmarla. Invano.
Dopo aver esaurito il mio repertorio favolistico e canoro, sentendomi impotente e non sapendo più a che cosa ricorrere per calmare la piccola, d’impulso, mi sono messa a recitare il primo canto dell’Inferno di Dante, quasi a voler significare: “Ah, è così? Non ti fanno smettere le coccole, le fiabe e le filastrocche? E allora, ascolta un po’ questo, e così vedremo!”. Risultato: improvvisa cessazione del pianto. Ho proseguito la recitazione fino al v. 90. (ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.), sempre nel più assoluto silenzio della destinataria. E, quasi subito dopo la mia conclusione, ecco una vocina che irrompe e mi dice: “Mi racconti quella di prima?”. Così ho dovuto recitare una seconda volta il canto, questa volta accompagnando la voce con una certa gestualità e mimica facciale, peraltro poco visibili nella penombra della stanza.
Da allora, per circa una decina di sere, alla mia domanda: “Che storia vuoi che ti racconti?” la risposta della nipotina è stata regolarmente: “Nel mezzo del cammin”. Nel frattempo sono cominciate le prime richieste di spiegazione di singoli vocaboli, del tipo: “Che cosa vuol dire selva?”, “Che cosa vuol dire pelago?”. Stesse domande a volte ripetute, come per gioco. E sono anche iniziate le prime rettifiche a parole che capitava a me di confondere: la mia sostituzione del verbo “spandi” con “spargi” nel v. 80 (che spandi di parlar sì largo fiume) è stata prontamente notata e sono stata apostrofata con un “Hai detto spargi!”
Poi, uno dei giorni successivi, mi è venuto in mente di far vedere alla bimba lo stesso canto recitato da Roberto Benigni. Allora la piccola, che seguiva attenta, ha scoperto che Benigni proseguiva oltre il v. 90, dove io interrompevo la recitazione. E così, le sere successive, mentre stavo quasi per arrivare al fatidico verso, mi sentivo regolarmente dire dalla solita vocina: “Ma tu non ti fermare, vai avanti!”.
Infine, dopo questa prima intensa fase, le richieste serali si sono diradate, senza però scomparire del tutto. Ma l’ultima sorpresa è stata quella di sorprendere più volte la bimba, intenta ai suoi giochi o durante la sua toeletta serale, a recitare per proprio conto degli spezzoni del canto, con qualche storpiatura, com’è naturale, ma sempre rispettosa del ritmo e soprattutto delle rime.

La Commedia di Dante è stata e continua a essere fonte di ispirazione per la letteratura dell’infanzia.Come si può spiegare la quasi “folgorazione” prodotta su una mente così acerba da un testo poetico così arduo, complesso e scritto in italiano antico? Quest’ultimo aspetto non sembra costituire un problema: questa varietà diacronica dell’italiano, che sembra remota, probabilmente non suona così “strana” rispetto al parlato quotidiano, perché la bimba, come d’altra parte tutti i suoi coetanei, è esposta alla molteplicità di idiomi, che circolano nello spazio linguistico di un grande centro urbano, tanto in quello privato come in quello pubblico.
Penso che la spiegazione sia da ricercare nelle caratteristiche del testo, sia sul piano del significante che del significato. Teniamo presente che si tratta di un testo poetico, come tale aperto e ricco di sollecitazioni nei confronti del destinatario, a cui l’Autore richiede un’intensa e attiva partecipazione. La struttura metrica – la terza rima – crea inoltre uno stato di attesa nel fruitore del testo, così, come lo catturano le numerose altre figure foniche.

Fermiamoci ora sul significato. La bambina sembra aver subito percepito che i versi sviluppano una narrazione (ricordiamoci del modo in cui ha formulato la sua richiesta: “Mi racconti?”) e sembra averne colto lo schema essenziale: c’è una persona, un “io” in pericolo in un luogo pauroso e buio, incontra tre animali feroci che lo opprimono, chiede aiuto e c’è qualcuno, un “tu” con un nome, Virgilio, che viene a salvarlo e lo conduce al sicuro. Un’esperienza, quella della paura e dell’aiuto richiesto e ricevuto, che accomuna tutti gli esseri umani fin dalla nascita e che sembrava essere in consonanza con la particolare situazione emotiva in cui si trovava la piccola a causa del distacco e della lontananza dal suo consueto ambiente famigliare.

“L’inferno di Topolino”, G. Martina – A. Bioletto, 1949 -1950

L’analisi della lingua del canto sembra confermare questa mia interpretazione: innanzitutto i verbi, sia quelli che scandiscono la parte narrativa, diegetica, del testo (mi ritrovai, non so, dirò, intrai, guardai in alto, vidi, gridai, si mosse, ecc…) che quelli presenti nella parte dialogica, mimetica (vedi, aiutami, fui, sei, verrà ecc…). Sono tutti verbi che appartengono al vocabolario di base dell’italiano contemporaneo o che non hanno modificato la loro forma grafica al punto da non essere più riconoscibili (intrai); la loro struttura argomentale è facilmente individuabile, anche se è presente l’ellissi dell’argomento soggetto o se gli argomenti sono espressi in un lessico che, pur non potendo essere noto a un bambino piccolo, è già in parte circoscrivibile a partire dal significato stesso del verbo (mi ritrovai per una selva: deve essere un luogo). Il tempo prevalente, il passato remoto, non sembra ostacolare la comprensione: l’esposizione a questo tempo verbale è infatti precoce nei bambini, poiché nei libri di fiabe la narrazione è quasi sempre condotta al passato remoto, anche se generalmente alla terza persona singolare. Ma un bambino di quest’età possiede già nella mente le regole di formazione del paradigma verbale e non gli dovrebbe essere difficile risalire dalla terza alla prima persona.

Inoltre, alcune congiunzioni testuali marcano i punti salienti del racconto: Allor (fu la paura…), Ed ecco (quasi al cominciar…), Ed (una lupa….), Allor (si mosse…). Nomi, aggettivi verbi e avverbi creano campi semantici emotivamente densi, resi spesso più coesi dalla rima incatenata (oscura, dura, paura): in primo luogo proprio la vasta area semantica della paura, parola ripetuta nel canto per ben cinque volte così da costituirne una delle parole chiave; ad essa si possono accostare altre parole come male, morte, uccide, morir. All’interno di quest’area, il campo semantico che include le tre fiere e la loro descrizione, con relativi iperonimi: lonza, leone, lupa, bestia, animali, rabbiosa fame, uccide ecc. La centralità fisica, tangibile, del protagonista è poi resa, oltre che dall’esplicitazione del pronome personale soggetto (io non so ben ridir com’i’ v’intrai, v. 10), anche dalla serie di riferimenti alla dimensione della corporeità (corpo, piè(de), occhi, fronte, vene, polsi, grida, e sonno, piange, fame); inoltre parole come pelle e testa, rivestono di materialità gli altri esseri animati del canto. Infine, altri termini già presenti nel vocabolario infantile, ascrivibili alla dimensione spazio-temporale e all’area della luce e del buio, come mattino, sole, stelle, raggi, notte, basso, ora del tempo, contra me, dietro ecc., possono aver creato, per coesione Fidiamoci della lingua di Dante, lasciamo parlare direttamente la sua poesia.puramente semantica, una rete di connessioni che la bimba deve aver fatta propria e sulla quale, con la sua immaginazione, ha probabilmente costruito liberi percorsi mentali ed emotivi, connettendoli alla propria esperienza.
Il tono di voce, la mimica facciale e la gestualità della nonna-narratrice hanno poi enfatizzato tutti questi elementi, drammatizzandoli.

La Commedia di Dante è stata e continua a essere fonte di ispirazione per la letteratura dell’infanzia: i libri in commercio si differenziano per la fascia d’età a cui sono destinati, la forma di scrittura, la bellezza e ricchezza delle illustrazioni, l’accuratezza dell’edizione, ma c’è qualcosa che li accomuna: cercano di evitare il diretto contatto col testo, che viene semplificato, parafrasato o riportato a dosi minimali.
Al contrario: fidiamoci della lingua di Dante, lasciamo parlare direttamente la sua poesia.
I bambini piccoli non si spaventano davanti alle parole che non conoscono, ma si incuriosiscono, si divertono; oppure, come nel caso riportato, ne avvertono inconsciamente l’incisività, la forza emotiva, perfino – e qui azzardo – il valore estetico. La diffidenza, il rifiuto, l’insofferenza verranno in seguito, purtroppo, e, forse, proprio per colpa degli adulti che spesso, di fronte alle carenze lessicali di bambini e di adolescenti, assumono toni di disapprovazione, quando gli stessi non vengono ridicolizzati. E non solo: ma spesso la scuola ha la pretesa di formare tanti precoci piccoli filologi – nulla deve sfuggire, tutto deve essere minuziosamente analizzato, in un testo! –, quasi fosse una colpa da parte di un giovane allievo farsi trasportare dall’ascolto o dalla lettura, lasciando scorrere liberamente pensieri ed emozioni, anche se lo conducono al di fuori dei confini del testo.

Allora dico: osiamo, purché esperienze simili a quella esposta avvengano in un clima di spontaneità, senza che ci sia da parte nostra l’intenzione di forgiare dei super bambini o tante bertucce ammaestrate da esibire agli ospiti. E se invece il “pargolo” manifesta subito una reazione di rigetto, non sentiamoci contrariati e delusi. E, soprattutto, non ci venga in mente di insistere!

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Carmela Camodeca

È stata per vari anni docente di lingua e letteratura italiana in un Liceo Linguistico. Si è specializzata in Didattica dell’Italiano come Lingua Straniera presso l’Università per Stranieri di Siena ed è attualmente impegnata in quel settore. Presso la casa editrice Loescher, è coautrice con Francesco Sabatini e Cristiana De Santis di due grammatiche, “Conosco la mia lingua ”e “Sistema e testo” rispettivamente per la per la Scuola Secondaria di I e di II grado.

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