La prima cosa che balza all’occhio, fin dal titolo, è che non vi è un insegnamento della filosofia punto, ma l’insegnamento riguarda Philosophy and Reason. A chi si interroghi sul significato di quel “Reason”, il documento fornisce subito una risposta: l’idea è di mettere insieme la filosofia, le abilità relative al “pensiero critico” e la logica. Ciò significa insegnare gli elementi dell’argomentare (proposizioni, premesse, conclusioni, assunzioni e taciti presupposti), le strutture dell’argomentare (deduttiva, induttiva, generalizzazioni e analogie, condizioni necessarie e sufficienti), come valutare un’argomentazione (validità, correttezza, forza), riconoscimento delle fallacie, gli elementi dell’argomentare (tecniche standard, argomenti diretti e indiretti, onere della prova, principio di carità, fallibilismo), gli strumenti della logica formale. La filosofia sembra dunque aver a che fare con l’effettiva attività del pensare e del riflettere critico, rigoroso, competente ed esperto. L’idea che da noi è assunta come ovvia, e cioè che si impara a ragionare vedendo ragionare gli autori classici, a quanto pare non è assunta altrettanto rigidamente in Queensland. Lì si pensa che dedicare del tempo al critical reasoning e agli strumenti della logica sia almeno altrettanto fondamentale, che conti l’attività pratica in prima persona e non basti l’osservazione di ciò che hanno fatto gli altri, fossero pure questi i grandi classici del pensiero.
Naturalmente, i contenuti non sono di poco conto e sono previsti dal documento australiano. Esso infatti continua spiegando che lo studio della filosofia “consente agli studenti di riconoscere la rilevanza delle varie filosofie circa posizioni sociali, etiche e religiose e di comprendere che le decisioni in questi ambiti sono il risultato dell’accettazione di certe idee e di specifici modi di ragionare” (p. 1). Detto altrimenti, il documento mostra consapevolezza che la filosofia pervade il quotidiano, al punto Il documento australiano mostra consapevolezza che la filosofia pervade il quotidiano, al punto da dare, come risultanza, idee e specifici modi di ragionare. da dare, come risultanza, idee e specifici modi di ragionare. Quel che c’è in gioco, si chiarisce ulteriormente in seguito, non è il solo pensare, ma l’agire e il valutare la propria azione. Il nucleo dell’attività didattica perciò è costituito dai fondamenti dell’argomentare, nelle loro basi formali e nei loro contenuti principali. Il corso di filosofia è pensato come il livello base per ulteriori ricerche e per il lavoro in ambiti, dice il documento, come la legge, la medicina, la psicologia, la filosofia stessa, il giornalismo, l’insegnamento, la politica, le arti creative e l’ingegneria.
Le direttrici dell’insegnamento sono tre: la conoscenza e la comprensione; l’applicazione e l’analisi; la valutazione e la sintesi. Nel primo ambito si fissano obiettivi come definire e usare la terminologia, spiegare concetti, metodi, principi e teorie, saper eseguire procedure e tecniche dell’ambito logico e del ragionamento, saper usare convenzioni linguistiche adatte ai propri fini e all’uditorio. Il secondo ambito porta a saper interpretare idee e informazioni, decostruire argomenti nelle loro parti costituenti, determinare relazioni nelle e tra le idee, tra gli argomenti e tra le teorie, selezionare e sequenziare questioni. Il terzo ambito, infine, porta a saper sintetizzare idee e informazioni, valutare teorie, visioni e questioni filosofiche, giungere a conclusioni e giustificarle, creare argomenti che comunichino il significato e punti di vista.
Un corso regolare si articola in quattro semestri e tipicamente viene svolto negli ultimi due anni delle scuole superiori, per un totale di 220 ore durante le quali si cura di far aumentare progressivamente il grado di difficoltà degli argomenti e di far maturare negli studenti il grado di coscienza critica e l’autonomia.
Sempre stando ai contenuti, il documento offre nove temi tra cui scegliere (in realtà vi è una grande apertura, come vedremo): il tema della causalità, la filosofia morale, la filosofia sociale e politica, la filosofia della mente, la filosofia della religione, la filosofia della scienza, la filosofia dell’arte, i filosofi e le scuole di pensiero. A questi si aggiunge una ulteriore possibilità: l’opzione basata su scelte trasversali circa questi temi compiuta dalla singola scuola. Di questi nuove temi, le scuole devono sceglierne almeno tre per il curriculum biennale, con l’avvertenza che nel singolo anno non si possono svolgere due unità dello stesso tema. Le scelte si aggiungono alla parte fondamentale sull’argomentare e il ragionare, che può non essere trattata separatamente e può svolgersi attraverso le lezioni degli altri temi, e che tuttavia non è opzionale.
Per avere un’idea di come si suggerisce la didattica di questi temi, vediamone un paio. Prendiamo come primo esempio la filosofia morale. Il documento dice che: “La filosofia morale è lo studio delle teorie etiche in un tentativo di comprendere come dovremmo vivere le nostre vite” (p. 7). Si divide in tre sezioni: metaetica, etica normativa, etica applicata. Lo studente deve comprendere concetti filosofici come giustizia, diritto, libertà, virtù. Le domande di riferimento sono “qual è la natura della moralità?”, “come so ciò che è giusto?”, “come si vive una vita morale?” e gli autori di riferimento suggeriti sono Aristotele, Bentham, Harris, Hume, Kant, Mill, Platone, Rawls, Singer (l’ordine alfabetico fornito nel documento può far arricciare il naso, ma tant’è – del resto scegliere altro modo di ordinare solleverebbe comunque problemi). Prendiamo poi come secondo esempio lo studio dei filosofi e delle scuole filosofiche. La lista fornita è la seguente: per quanto riguarda le scuole, sono consequenzialismo, cinismo, deontologismo, determinismo, la filosofia orientale (p.e. di India, Cina, Giappone), empirismo, epicureismo, esistenzialismo, idealismo, filosofia femminista, liberalismo, filosofia del linguaggio, atomismo logico, monismo, nichilismo, non-cognitivismo, filosofia della matematica, pragmatismo, razionalismo, realismo, scetticismo, stoicismo. Quanto agli autori suggeriti, troviamo Tommaso d’Aquino, Arendt, Aristotele, Agostino, Bentham, Berkeley, Chomsky, Confucio, de Beauvoir, Derrida, Cartesio, Dewey, Diogene, Epicuro, Foucault, Frege, Hegel, Heidegger, Hobbes, Hume, Kant, Kierkegaard, Lao Tzu, Locke, Marx, Mill, Nietzsche, Platone, Popper, Rousseau, Russell, Sartre, Schopenhauer, Singer, Socrate, Spinoza, Taylor, Voltaire, Wittgenstein, Zenone.
Si noti che la formula del suggerimento rende queste liste aperte e flessibili.
Gli estensori del documento forniscono le loro liste in punta dei piedi, suggerendole, senza imporle e lasciano aperte le opzioni, consentendo percorsi trasversali secondo le decisioni della singola scuola.Il documento presenta quelle che, almeno alla nostra latitudine, possono sembrare delle stranezze, per tenersi sull’understatement: quale Harris dovrebbe essere oggetto di insegnamento nella scuola superiore? John? Sam? James? E poi con che coraggio affiancare a mostri sacri come Aristotele e Platone un Harris (chiunque egli sia)? Perché dare spazio a un autore di posizioni estreme come Singer (che deve proprio piacere in Queensland, visto che compare anche nella lista del secondo tema offerto sopra come esempio) e non menzionare invece anche posizioni più moderate? Nella lista degli autori raccomandati cosa ci fa de Beauvoir, con tutta la simpatia che possiamo provare per l’amante di Sartre? Perché il nome di Husserl o quello di Scheler non compaiono? Perché tra le correnti la fenomenologia e il personalismo non sono menzionati? Viene poi il sospetto che la causalità sia fra i nove temi suggeriti per un pregiudizio humeano e magari proprio per quello ci si sia dimenticati della metafisica, forse il più classico degli ambiti della filosofia, oggi di nuovo in voga anche e anzi forse soprattutto nel mondo anglosassone. Vero è che, data una lista, il gioco al massacro è di solito facile e quasi inevitabile. Altrettanto vere sono due cose: gli estensori del documento forniscono le loro liste in punta dei piedi, suggerendole, senza imporle e lasciano aperte le opzioni, consentendo percorsi trasversali secondo le decisioni della singola scuola.
Quanto poi alla durata dell’insegnamento, dispiace che sia appiattito su due soli anni, e qui si può essere soddisfatti dell’impostazione italiana.
Come conclusione provvisoria va qui osservato che il documento di riferimento per la didattica andrebbe osservato in actu exercito, per così dire. Per poter formulare un giudizio più articolato, sarebbe cioè opportuno guardare anche alla pratica didattica corrente. Ma su questo, magari un’altra volta. Da quanto ho fin qui presentato comunque è già possibile trarre materiale per la vera e più urgente domanda che su queste cose ci si possa porre: ma davvero qui in Italia, rispetto a loro, stiamo facendo la stessa cosa, solo in modo diverso? Non è forse vero, piuttosto, che stiamo facendo cose diverse? E se fosse, cosa è meglio?