Il Ministro della cultura Dario Franceschini ha firmato nei giorni scorsi un decreto che elimina dal nostro ordinamento la censura delle opere cinematografiche, creando una nuova procedura di controllo sui contenuti dei film. La normativa istituisce una Commissione di esperti presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura, che avrà solo il compito di valutare la corretta classificazione dei film effettuata dagli operatori del settore. D’ora innanzi, infatti, spetterà ai distributori proporre un eventuale divieto, massimo ai 18 anni, dei film che usciranno in sala. Il cambiamento più importante riguarda la limitazione dei poteri della Commissione, che non potrà più proibire l’uscita di un film o chiedere modifiche e tagli di scene. Il nuovo regime tutela la libertà artistica degli autori, evita preventive autocensure poste in essere per il timore di non ottenere il nulla osta ed elimina una sorta di controllo da parte dello Stato nei confronti del pubblico.
Lo Stato italiano, fin dai primi decenni del Novecento, si è preoccupato di proibire la rappresentazione di spettacoli ritenuti osceni, contrari alla decenza o offensivi delle Istituzioni, individuando nel cinema un mezzo di comunicazione di massa particolarmente potente e influente. Il controllo divenne ancora più stringente durante il periodo della dittatura fascista, ma anche dopo la proclamazione della Repubblica, le norme sulla censura cinematografica continuarono a restare in vigore. Il primo comma dell’art 21 della Carta Costituzionale stabilisce che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure» e nell’ultimo comma recita: «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni».
Fino alla recente modifica, la censura cinematografica era regolata dalla legge del 1962 sulla Revisione dei film e dei lavori teatrali. La norma prevedeva l’istituzione di Commissioni di primo grado e di Commissioni di secondo grado per i ricorsi. Il nulla osta definitivo era rilasciato dal Ministero del turismo e dello spettacolo. Alle Commissioni era demandato il compito di valutare i contenuti delle opere cinematografiche ed eventualmente di stabilire il divieto ai minori di 14 e 18 anni. Le Commissioni di secondo grado erano chiamate a decidere sui ricorsi o sulle opere riviste e tagliate, in base ai suggerimenti del primo provvedimento di censura.
Si trattava quindi di un modello di censura preventiva, basato su un sistema di valori estetici ed etici che spesso limitava la libertà d’espressione artistica degli autori e la possibilità di proporre opere trasgressive e in controtendenza rispetto al presunto sentire comune della società, in merito ai temi del buon costume, del sesso, della morale, del rispetto delle istituzioni, dell’autorità, e ovviamente della religione cattolica.
La presenza della censura spesso influenzava fin dal principio il lavoro di stesura della sceneggiatura e delle riprese cinematografiche. Gli autori conoscevano bene i criteri adottati per la concessione del nulla osta, limiti che sapevano di non dover valicare, per non incorrere in tagli o revisioni. Il risultato di questo sistema era una sorta di silenziosa e invisibile cappa oppressiva, costituita da prudenti regole di autocensura, che certo non alimentava la libertà d’espressione. La rappresentazione cinematografica doveva rientrare all’interno dei valori sociali dominanti e modellarsi alle sue regole etiche, estetiche e ideologiche, evitando qualsiasi eccesso o fuga in avanti, pena la non concessione del nulla osta.
Oltre a questo controllo sulle opere, la censura poneva in qualche modo sotto tutela anche la libertà dello spettatore, che non veniva ritenuto in grado di valutare liberamente un’opera cinematografica. La censura svolgeva il ruolo di un’entità superiore in grado di decidere per lui cosa fosse bene vedere e cosa no. Un controllo paternalistico orientato a consolidare la visione ideologica dominante.
La censura cinematografica italiana ha colpito molte opere, tra le più famose ricordiamo: Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti, L’avventura (1960) di Michelangelo Antonioni, l’episodio La ricotta di Pier Paolo Pasolini in Ro.Go.Pag (1963), Blow-Up (1967) di Michelangelo Antonioni, L’urlo (1968) di Tinto Brass e l’insospettabile Totò e Carolina (1955) di Mario Monicelli.
I casi più eclatanti sono stati quelli relativi a Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci e Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini. Il capolavoro di Bertolucci uscì nelle sale italiane 15 dicembre del 1972 e dopo due settimane venne sequestrato. Cominciò un lungo iter giudiziario che portò nel 1976 alla sentenza della Corte di Cassazione, che disponeva la distruzione della pellicola. Se oggi possiamo ancora ammirare il film lo dobbiamo a una copia della Cineteca di Roma scampata alla distruzione.
Il film di Pasolini venne presentato alla Commissione censura nell’ottobre del 1975, che si pronunciò in questi termini: «il film nella sua tragicità porta sullo schermo immagini così aberranti e ripugnanti di perversioni sessuali che offendono sicuramente il buon costume e come tali sopraffanno la tematica ispiratrice del film sull’anarchia di ogni potere. Si esprime pertanto parere contrario alla proiezione in pubblico del film stesso». Solo nel dicembre del 1975 la Commissione di appello rilasciò il nulla osta per la proiezione al pubblico del film.
Tuttavia la censura non è solo un ricordo lontano. Nel 1998 è stato presentato al Festival di Berlino il film Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco. La Commissione di censura ne ha vietato l’uscita nelle sale italiane per oscenità e blasfemia. Solo dopo la sentenza d’appello è stato possibile vedere il film, con il divieto ai minori di 18 anni.
Dal 5 aprile 2021 tutto questo è storia. Ora si apre una nuova era, che riconosce una maggiore libertà alla creatività degli autori e un maggior rispetto al libero arbitrio degli spettatori. Il cinema e la società ringraziano.