L’educazione agli olocausti nei libri di testo

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Come è presentato l’Olocausto nei manuali di storia del mondo? L’Istituto Georg Eckert per la ricerca sui libri di testo internazionali, in collaborazione con l’UNESCO, ha confrontato ottantanove manuali in ventisei Paesi, di tutti i continenti. Dal Dossier del numero 17 de «La ricerca».
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Shalechet (Foglie cadute), installazione permanente presso il Museo Ebraico di Berlino.

Le narrazioni dell’Olocausto sono state analizzate secondo sei fattori: la scala spaziale e temporale, i protagonisti, i modelli interpretativi, le tecniche narrative, i punti di vista, i metodi didattici e le idiosincrasie nazionali. I risultati della comparazione mostrano che, nonostante alcuni aspetti ricorrenti, l’educazione all’Olocausto è, almeno parzialmente, fortemente subordinata alle interpretazioni storiografiche e alle esigenze storico-politiche locali, spesso a spese dell’accuratezza storica.

La scala spaziale e temporale 

I libri di testo offrono informazioni sulle percezioni relative a dove e quando l’Olocausto ha avuto luogo. Molti fanno riferimenti a diversi spazi (locali, nazionali, europei, globali) soprattutto attraverso mappe che mostrano i siti dei campi di concentramento e di sterminio o (anche se meno comunemente) le manovre militari avvenute durante la Seconda guerra mondiale. Gli spazi transnazionali sono evocati quando si affrontano gli argomenti del collaborazionismo (nei testi francesi e della Repubblica Moldava, per esempio), dell’emigrazione (Cina, Argentina e negli Stati Uniti) e delle atrocità di massa o del genocidio (Cina e Ruanda);

Generalmente, l’evento è definito come qualcosa che ha avuto luogo in Europa e in Germania, ma molti testi lo “nazionalizzano”, fornendo numerosi dettagli sulle sue ripercussioni locali. Solo i libri di testo del Brasile o di El Salvador non si riferiscono mai alla dimensione nazionale dell’Olocausto.
I risultati della comparazione mostrano che, nonostante alcuni aspetti ricorrenti, l’educazione all’Olocausto è, almeno parzialmente, fortemente subordinata alle interpretazioni storiografiche e alle esigenze storico-politiche locali, spesso a spese dell’accuratezza storica.Talvolta vengono stabiliti collegamenti transcontinentali che pongono l’Europa contro l’Asia. Ad esempio alcuni autori indiani fanno riferimento alla minaccia di “europeizzazione” dell’Asia, altri russi qualificano il nazionalsocialismo come un fenomeno “europeo”. E ancora, un manuale russo collega la Shoah a una «battaglia fra la cultura europea e la barbarie russa e bolscevica».

Per quanto riguarda il contesto temporale, invece, i manuali si limitano tendenzialmente a coprire gli anni della Seconda guerra mondiale, perlopiù dal 1933 al 1945, approfondendo specifici momenti chiave come il 1938, il 1942 o la rivolta del ghetto di Varsavia del 1943. Fanno eccezione i testi in Brasile, India, Germania e Namibia, in cui sono presenti riferimenti a correnti ideologiche precedenti, come le teorie razziali dell’Ottocento.
Nei testi argentini, tedeschi, giapponesi e americani troviamo approfondimenti sulla storia ebraica, sull’emigrazione e sull’antisemitismo prima del XX secolo, mentre le conseguenze storiche dopo il 1945 sono affrontate solo in Argentina, Francia, Germania, Namibia e Russia.

Sebbene gli autori citino spesso il valore dei diritti umani, raramente spiegano nel dettaglio il significato giuridico, morale e universale dell’Olocausto. Alcuni autori inglesi pongono l’accento su questioni più ampie relative al modo in cui «individui comuni» sono diventati «assassini»; altri (Singapore) si concentrano sulla storia universale del razzismo, ma nessun testo di alcun Paese presenta una narrazione sovra-storica e universale dell’Olocausto.

I protagonisti

I responsabili dell’Olocausto vengono spesso definiti, indifferentemente, come «nazisti», «fascisti» o «tedeschi». I personaggi più comunemente citati sono Hitler, Himmler, Heydrich, Höss ed Eichmann.

Sorprendente, poi, è la misura in cui l’hitlercentrismo pervade i libri di testo: Hitler funziona come un’incarnazione morale dell’evento ed è sempre ben visibile (ritratti, citazioni dal Mein Kampf ecc.). Significativa in questo senso è anche l’insistenza su espressioni come «aggressione hitleriana» o «politica della Germania hitleriana». Fanno eccezione solo i libri di testo in Francia e Germania, i quali, al contrario, generalmente ridimensionano il ruolo di Hitler e preferiscono spiegare la Shoah come il risultato di molteplici cause.

Pochi manuali, ad eccezione dei tedeschi, descrivono la vita ebraica prima del 1933 o dopo il 1945 e la maggior parte presenta gli ebrei come vittime passive.In quasi tutti i Paesi le vittime sono identificate negli ebrei e negli zingari, mentre altri gruppi, come gli slavi, i disabili, i dissidenti politici e gli omosessuali, sono nominati meno frequentemente. Ma vengono chiamate in causa anche altre categorie di vittime, ad esempio le «persone nere» in Sud-Africa, Ruanda e India. In certi casi, informazioni generiche su «nemici interni» (in un testo russo) o sulle cosiddette «persone inferiori» o «indesiderabili» (Cina, Russia, Uruguay) corrono il rischio di sminuire la specificità dell’ideologia nazista, mentre alcuni riferimenti alle vittime ebree come «oppositori» (Costa d’Avorio) possono indurre in errore, suggerendo che gli ebrei abbiano rappresentato una minaccia per il regime nazionalsocialista e fosse quindi legittimo reprimerli.

Pochi manuali, ad eccezione dei tedeschi, descrivono la vita ebraica prima del 1933 o dopo il 1945 e la maggior parte presenta gli ebrei come vittime passive. Alcuni definiscono sistematicamente le vittime utilizzando la loro identità nazionale (polacchi, ucraini e russi nei libri russi, per esempio) o nazionalizzano l’identità ebraica (nei testi cinesi si parla di «ebrei polacchi» e «ebrei europei»; in quelli francesi di «ebrei ucraini» e «ebrei ungheresi»).

I numeri delle vittime sono citati in circa la metà dei manuali, e la maggior parte di questi dati sono accurati, sebbene a volte richiamino l’attenzione non sul numero di vittime ebree, ma su quello complessivo causato dalla guerra (ad esempio i testi russi) o sul numero di vittime in ciascuna Nazione o in ciascun campo.

Alcuni testi, soprattutto attraverso l’uso delle immagini, accostano la Shoah ad altre tragedie, come la distruzione di Hiroshima e di Dresda (testi francesi), l’apartheid (sudafricani) o le atrocità dell’invasione giapponese in Cina nel 1937 (cinesi).

Altri protagonisti della narrazione sono i membri della resistenza, coloro che hanno soccorso i perseguitati, gli alleati o personaggi locali, spesso citati per nome, come Janusz Korczak nei testi polacchi.

La distinzione generale tra protagonisti attivi e passivi, sottolineata dall’uso della modalità passiva in diversi manuali, evidenzia una dicotomia che non riconosce la complessità delle responsabilità e delle decisioni quotidiane affrontate da protagonisti come Kurt Gerstein (in Polonia) o dai membri del Sonderkommando (in Germania). Inoltre, l’attenzione sui campi di concentramento come luoghi di persecuzione e sterminio sistematici oscura i dettagli della vita delle persone in tutte le fasi dell’Olocausto e il complesso delle relazioni tra individui, tra individui e gruppi e tra un gruppo e un altro.

Nessun testo affronta i ruoli e le relazioni di genere durante l’Olocausto, come la diversità di trattamento tra prigionieri di sesso maschile e femminile o i comportamenti delle guardie di campo femminili.

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Il Memoriale dell’Olocausto di Berlino.

I paradigmi interpretativi

Gli autori dei manuali generalmente presentano l’Olocausto nel contesto storico della Seconda guerra mondiale approfondendo tipicamente i temi della politica razziale, delle convinzioni personali di Hitler, del totalitarismo e dei campi di sterminio. In alcuni casi (Cina, India) attingono a modelli storiografici come la «frattura di civiltà» e la «distruzione degli Ebrei» attraverso fasi precise, riconducibili al lavoro di Raul Hilberg sull’Olocausto.

La maggior parte dei libri nomina l’evento come «Olocausto», ma si usano anche parafrasi come «discriminazione nei confronti degli ebrei, inviati ai campi di concentramento» (in un testo giapponese) oppure «sterminio sistematico», «soluzione finale», «genocidio sistematico» o più genericamente «massacro» (in un testo sudafricano).

Quasi tutti i libri personalizzano l’evento in relazione a Hitler.Quasi tutti personalizzano l’evento in relazione a Hitler. Un manuale namibiano esemplifica alla perfezione questo paradigma interpretativo: l’Olocausto è trattato in una sezione intitolata «antisemitismo», e nella prima pagina il nome di Hitler appare in un riquadro centrale, da cui partono frecce che indicano la struttura e i vari apparati del partito Nazionalsocialista. Anche i testi inglesi insistono sull’odio irrazionale di Hitler verso gli ebrei e sul suo personale desiderio di vendetta contro di loro.

La causa dell’Olocausto citata più spesso è l’ideologia (razzismo, antisemitismo, totalitarismo, autoritarismo, militarismo, capitalismo, fascismo). In Brasile, Germania, Costa d’Avorio, Giappone, Repubblica Moldava e Ruanda invece la politica espansionista della Germania nazista è ricondotta a una forma di colonialismo.

La maggior parte degli autori fa uso di uno o più paradigmi storiografici. I due più comuni sono l’identificazione di tre categorie di protagonisti (carnefici, vittime e spettatori) e l’attribuzione della responsabilità morale a uno o più individui secondo una strategia argomentativa nota come «intenzionalismo». Nessun autore esplora ruoli ambivalenti che vadano oltre queste categorie.

Altri paradigmi interpretativi includono:
1) la «frattura di civiltà» attribuita a Dan Diner (particolarmente presente nei testi cinesi e indiani);
2) il fondamentale ruolo dei «tedeschi comuni», un tema analizzato da Daniel Goldhagen;
3) gli effetti della burocratizzazione attribuita a Zygmunt Bauman (in Argentina);
4) le conseguenze della pressione del gruppo attribuita a Christopher Browning (negli Stati Uniti);
5) la radicalizzazione cumulativa e il funzionalismo di Hans Mommsen (in Inghilterra).

In Brasile, Germania, Giappone e Repubblica Moldava, infine, si accenna anche agli aspetti coloniali dell’Olocausto. Questa grande varietà di autorità storiografiche e di opere citate dimostra che vi è poco consenso tra gli autori sui modelli esplicativi da applicare.

I parallelismi tra l’Olocausto e altre atrocità di massa o altri genocidi sono frequenti, ma non vengono mai spiegati. L’uso dei termini «terrore» e «pulizia» in alcuni testi polacchi per descrivere eventi storicamente diversi annulla le rispettive specificità storiche. Allo stesso modo, l’uso del termine «terrorista» per descrivere Hitler (in un testo brasiliano), di «terrore» come sinonimo di Olocausto (in un testo tedesco), o di «gruppi terroristici» a proposito delle forze sioniste in Palestina (testo iracheno) si prestano a gravi confusioni semantiche, se non a forti fraintendimenti.

Una confusione che si ripete anche nei casi in cui il termine «sterminio» è usato per descrivere i Gulag sovietici (in un testo brasiliano), o quando si afferma in modo inesatto che il regime nazionalsocialista pianificò lo «sterminio del popolo sovietico» (testo bielorusso).

Un pericoloso azzeramento delle necessarie distinzioni storiche deriva anche dall’uso del termine generico «fascisti» per indicare le autorità tedesche e giapponesi durante la Seconda guerra mondiale e di «genocidio» (datusha, nei manuali cinesi) sia per i crimini commessi dai giapponesi a Nanchino sia per quelli dei nazisti durante l’Olocausto.

I parallelismi sono evocati anche attraverso l’apparato iconografico. La giustapposizione di immagini relative a crimini diversi, Auschwitz e Nanchino o Dresda e Hiroshima (in libri di testo francesi), l’Olocausto con la bomba atomica a Hiroshima (in un testo ivoriano), o Auschwitz e la vita sotto l’apartheid (in un manuale sudafricano), ne appiattisce le peculiarità storiche piuttosto che sviscerarle attraverso la comparazione.

Tecniche narrative aperte e chiuse

Un piccolo gruppo di manuali impiega tecniche narrative che possiamo definire «chiuse», perché ruotano attorno a una voce narrativa, senza il ricorso a citazioni o a documenti complementari (Albania). All’estremo opposto, alcuni autori si appoggiano a una tecnica «aperta» giustapponendo immagini di diversi eventi storici (un uomo con il suo passaporto durante l’apartheid a fianco dell’immagine di prigionieri che arrivano ad Auschwitz in un libro di testo sudafricano) per alludere a specifici significati, senza però spiegarli. 

Nella maggior parte dei manuali è stata applicata una tecnica a metà strada tra questi due estremi: ai testi sono giustapposte spiegazioni ulteriori, contenute in citazioni e in documenti testuali o visivi. Prevalgono i documenti testuali che si riferiscono ai carnefici, analizzati con un linguaggio emotivo e morale sulle loro azioni, spesso descritte in termini patologici come azioni «folli» o «incredibili» (Cina)

In alcuni casi gli autori finiscono per confermare inavvertitamente il punto di vista dei colpevoli. Un testo ivoriano, ad esempio, presenta le vittime come «oppositori politici, specialmente ebrei e zingari», rafforzando così l’idea che ebrei e zingari siano stati perseguitati in quanto oppositori, come se il Terzo Reich dovesse difendersi da una presunta minaccia, e avesse dunque una motivazione per le sue politiche di sterminio. 

In linea generale, i valori e la cornice narrativa (locale, nazionale o internazionale) con cui gli autori si riferiscono a questa ripresa morale dipendono strettamente dalla cultura politica nazionale che vogliono trasmettere agli studenti.A colpire particolarmente sono i diversi modi con cui gli autori attribuiscono una dimensione morale all’Olocausto. La maggior parte lo inquadra come una fase di declino seguita da una fase di recupero della dimensione umana ed etica, anche se la natura di tale recupero varia da Paese a Paese: i testi polacchi enfatizzano la resistenza all’occupazione, il ruolo dello Stato Segreto Polacco, gli atti eroici di aiuto alla resistenza ebraica esemplificata dalla rivolta del ghetto di Varsavia.
I manuali russi e americani si concentrano invece sulla vittoria militare degli Alleati nel contesto della Seconda Guerra Mondiale, vissuta e descritta come l’acme del trionfo della civiltà sulla barbarie. Quasi tutti i manuali fanno culminare questa ripresa di umanità con l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e della Convenzione sulla Prevenzione e Punizione del Crimine di Genocidio da parte delle Nazioni Unite nel 1948.

In linea generale, i valori e la cornice narrativa (locale, nazionale o internazionale) con cui gli autori si riferiscono a questa ripresa morale dipendono strettamente dalla cultura politica nazionale che vogliono trasmettere agli studenti: i nordamericani pongono enfasi sui valori liberali e sulla difesa della tolleranza e della differenza; i cinesi e gli albanesi celebrano la popolazione locale che ha aiutato i rifugiati ebrei; i tedeschi assumono che l’Olocausto sia stato un evento tedesco, ed esaltano la democrazia e lo Stato di diritto in contrapposizione alla dittatura.

Approcci didattici

Gli esercizi sull’Olocausto all’interno dei libri di testo variano notevolmente: in alcuni sono quasi assenti, in altri sono parte dell’unità didattica, e vanno dalla richiesta di interpretare documenti, ai giochi di ruolo, alle analisi del testo o di immagini, a esercizi che stimolano a entrare in empatia con i protagonisti attraverso la stesura di lettere e la scrittura auto-biografica. Molti esercizi lavorano sul locale, chiedendo agli alunni di intervistare i sopravvissuti ebrei a Shanghai (in un libro di testo cinese), di analizzare gli atti eroici di salvataggio di cittadini perseguitati (in Albania) o di esplorare siti storici e commemorativi locali (in Germania).
Per quanto riguarda gli obiettivi specifici di apprendimento, i manuali testimoniano la tendenza a citare valori come i diritti umani o il ruolo delle Nazioni Unite nel garantire i diritti umani dopo il 1945.Per quanto riguarda gli obiettivi specifici di apprendimento, i manuali testimoniano la tendenza a citare valori come i diritti umani (in India, Iraq, Namibia, Repubblica di Moldavia e Ruanda) o il ruolo delle Nazioni Unite nel garantire i diritti umani dopo il 1945 (ad esempio in Brasile, El Salvador, Spagna o Uruguay), sebbene tutti i testi evitino di spiegare le origini, il significato, la storia, l’implementazione e l’efficacia di tali diritti. Quasi tutti, inoltre, inquadrano i valori democratici (in Francia, Repubblica di Moldavia, Federazione Russa, Sudafrica e Uruguay) come alternativa radicale ai valori associati alla dittatura, ma d’altro canto i riferimenti alla cittadinanza, alle norme morali o alla prevenzione del genocidio sono rari.

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Una sala dello Yad Vashem, Gerusalemme.

Idiosincrasie nazionali

Tutti i libri di testo, a vari livelli, decontestualizzano e ricontestualizzano l’Olocausto in termini estranei all’evento stesso o parziali, secondo un processo di appropriazione (nazionale) e di “addomesticamento”, in particolare nei Paesi di cui la popolazione non ha un’esperienza diretta o una memoria ereditata dell’evento. Questi espedienti idiosincratici sono in gran parte legati al fatto che gli autori devono attenersi a linee guida e direttive curriculari ben stabilite. Le narrative dell’Olocausto che impiegano sono quindi ricche di informazioni storiche, di valori e di schemi giuridico-politici coerenti con o funzionali al contesto nazionale in cui si muovono. 

Alcuni manuali cinesi, ruandesi e africani si discostano radicalmente dalle prospettive storiografiche occidentali, trattando l’Olocausto all’interno di sezioni dedicate ad altre persecuzioni o genocidi. Quelli cinesi, ad esempio, lo affrontano molto brevemente come esempio attraverso cui spiegare l’estensione del massacro di Nanchino del 1937. Vari studiosi concordano sul fatto che in Paesi che hanno solo recentemente sperimentato atrocità di massa, analizzare l’Olocausto rappresenta un modo per affrontare efficacemente ma indirettamente le persecuzioni locali, evitando i conflitti eventualmente legati alla trattazione diretta del tema.

Tutti i libri di testo, a vari livelli, decontestualizzano e ricontestualizzano l’Olocausto in termini estranei all’evento stesso o parziali, secondo un processo di appropriazione (nazionale) e di “addomesticamento”.I libri di testo bielorussi e russi inquadrano la Seconda guerra mondiale in primo luogo come una violazione del loro territorio nazionale. Gli autori bielorussi descrivono i «territori occupati» e menzionano il fatto che «il territorio della Bielorussia era coperto da una fitta rete di campi di concentramento». Anche i manuali russi affrontano l’Olocausto focalizzandosi sulla repressione degli slavi e dell’eroismo sovietico, e lo stesso fanno quelli albanesi, per cui l’Olocausto è prima di tutto una misura dell’eroismo locale: si riferiscono alla Seconda Guerra Mondiale come al «periodo delle rivoluzioni 1914-1944» e accennano all’Olocausto mettendo al centro gli atti eroici dei cittadini albanesi che hanno salvato ebrei e i valori umanitari di ospitalità, tolleranza religiosa, umanesimo e antifascismo del popolo albanese.

Sebbene anche i libri di testo polacchi si concentrino fermamente sulla dimensione polacca dell’Olocausto, presentandolo come la conseguenza di un evento nazionale (l’occupazione della Polonia) e citando i protagonisti polacchi, essi danno conto delle molte prospettive interpretative e dei vari modelli storiografici del genocidio. Ma le narrative dei Paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia non seguono un modello uniforme. I manuali degli Stati baltici tradizionalmente sostengono la «simmetria tra crimini nazisti e comunisti». E in quelli ucraini, la carestia conosciuta come Holomodor continua a offuscare l’Olocausto, un evento che porta con sé aspetti ambigui e problematici relativi al collaborazionismo ucraino.

Definendo i crimini commessi durante l’Olocausto come «genocidio» e allo stesso tempo riferendosi eufemisticamente ai crimini locali (ad esempio come «atti crudeli»), alcuni testi di scuola giapponesi usano l’Olocausto come «misura» o come punto di riferimento del significato relativamente minore delle persecuzioni locali, che vengono così minimizzate e dalle quali l’attenzione è così distolta.

Concentrandosi sulla resistenza francese piuttosto che sul collaborazionismo, gli autori dei manuali ivoriani adottano il punto di vista di, e quindi affermano un certo grado di lealtà verso, l’ex potenza coloniale. Adottando la lettura francese della Seconda Guerra Mondiale, inglobano le vittime ebree all’interno del mito di una Nazione unita nella resistenza, una ideologia dominante in Francia almeno fino agli anni Ottanta.

Un manuale indiano realizzato durante il mandato della coalizione governativa guidata dal Fronte della Sinistra dà meno peso all’Olocausto che alla resistenza verso i nazisti, usata come analogia verso la lotta per l’indipendenza indiana. Specularmente, lo spazio marginale destinato all’Olocausto in un altro libro di testo indiano è attribuibile alla simpatia politica degli autori per il partito nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP), il cui nazionalismo radicale è in qualche modo affine a quello nazionalsocialista. Al contrario, gli autori indiani liberali presentano i tentativi di Gandhi di negoziare con Hitler nella speranza che il regime tedesco si astenesse dalla politica razziale.

Anche se nessun libro di testo mette in discussione apertamente la storia dell’Olocausto, alcuni lo presentano in termini parziali o estremamente vaghi.Anche se nessun libro di testo mette in discussione apertamente la storia dell’Olocausto, alcuni lo presentano in termini parziali o estremamente vaghi. Un manuale siriano, ad esempio, vi si riferisce come «le condizioni di oppressione dei nazisti in Europa»; uno iracheno descrive la violazione di diritti umani e i crimini contro l’umanità commessi sotto il regime nazionalsocialista, ma concettualizza l’evento in termini puramente legali come qualcosa che si è concluso una volta che i perpetratori sono stati processati e puniti dal Tribunale di Norimberga. In questi testi l’oppressione delle vittime ebree è affrontata in associazione con la presunta mancanza di risolutezza del mandato britannico nell’arginare l’immigrazione ebraica in Palestina. I libri di testo sudafricani e ruandesi rappresentano invece esempi di narrazioni selettive, che riducono l’Olocausto a una forma di razzismo, accostando le immagini di Hitler e Darwin, o evocando analogie tra la vita sotto l’apartheid e la persecuzione perpetrata dai nazionalsocialisti.

Tratto da: P Carrier, E. Fuchs, T. Messinger, The International status of education about the Holocaust: a global mapping of textbooks and curricula, UNESCO 2015.

Traduzione di Francesca Nicola

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Eckhardt Fuchs

Ricercatore del Georg Eckert Institute for International Textbook Research e hanno collaborato al progetto UNESCO “The Holocaust and Genocide in Contemporary Education. Curricula, Textbooks and Pupils’ Perceptions in Comparison”, il primo come responsabile del progetto, il secondo come project leader e il terzo come project coordinator.

Peter Carrier

Ricercatore del Georg Eckert Institute for International Textbook Research e responsabile del progetto UNESCO “The Holocaust and Genocide in Contemporary Education. Curricula, Textbooks and Pupils’ Perceptions in Comparison”.

Torben Messinger

Ricercatore del Georg Eckert Institute for International Textbook Research e hanno collaborato al progetto UNESCO “The Holocaust and Genocide in Contemporary Education. Curricula, Textbooks and Pupils’ Perceptions in Comparison”, il primo come responsabile del progetto, il secondo come project leader e il terzo come project coordinator.

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