Un’interessante applicazione di questa possibilità proviene dalla ricostruzione digitale del famoso esercito di terracotta ritrovato nel 1974 a guardia della tomba del primo imperatore della Cina, Qin Shi Huang. Varie dozzine di foto ad alta definizione di un soldato, scattate da prospettive diverse, forniscono un algoritmo utile a creare una modello virtuale in 3D, che può eventualmente essere ricostruito con una stampante 3D.
In questo modo è stato possibile studiare e mettere a confronto la fisionomia e le espressioni dei soldati, per capire se l’armata era costituita da singoli individui ben identificabili o da un singolo modello umano leggermente diversificato. Gli archeologi avevano individuato la presenza di una decina di forme diverse per dare personalità a volti, braccia e gambe di migliaia di soldati. Uno studio pilota pubblicato in giugno dal gruppo di ricerca dell’University College London diretto da Andrew Bevan − docente di Spatial and Comparative Archaeology − ha rivelato invece che nei volti di 30 guerrieri esaminati non si riscontrano nemmeno due orecchie uguali, prova dell’individualità dei singoli soldati. La ricerca delle differenze si era concentrata sulle orecchie dei guerrieri, perché, come abbiamo già raccontato in un precedente articolo (Elementare Watson!), l’orecchio è una parte del corpo molto personale, la cui analisi si può rivelare utile sia in ambito forense che in quello dell’attribuzionismo artistico. Gli stessi autori dell’indagine, d’altra parte, citano il “metodo morelliano”, dal nome dello storico dell’arte ottocentesco Giovanni Morelli che dall’esame dei più trascurabili dettagli di una figura dipinta, come la forma delle orecchie o delle mani, risaliva al nome del pittore che l’aveva eseguita. Sono comunque in programma analisi di altre parti del corpo per scoprire, fra l’altro, l’appartenenza etnica dei soldati.
- L’esercito di terracotta
- Le orecchie dell’esercito
- Ricostruzione in 3D di un orecchio
- Ricostruzione in 3D del volto di Tutankhamon
Questo tipo di tecnologia può servire anche per mantenere la memoria di siti e testimonianze difficilmente raggiungibili o che stanno scomparendo. L’Istituto Archeologico Germanico di Berlino ha impiegato un drone dotato di videocamera per creare una mappa 3D di un grande insediamento precolombiano in Messico. Sono in programma anche riprese in Uzbekistan e a Pompei.
L’idea diffusa è quella di mettere a disposizione della ricerca, in un decennio, centinaia di migliaia di oggetti virtuali, sottraendoli all’esclusiva competenza e al “monopolio interpretativo” degli studiosi. Mi lascia perplessa questa affermazione. Pur trovando molto interessanti le possibilità offerte dalle ricostruzioni 3D, non vedo come e perché questa ebbrezza ricostruttiva debba eliminare l’approccio “competente” (che bella parola) dello studioso. Senza contare che l’oggetto viene sì ricostruito, ma negandone la materia da cui è composto.
Interessante è la polemica suscitata dal documentario della BBC Tutankhamun: The Truth Uncovered, con la ricostruzione virtuale dell’aspetto del faraone eseguita per mezzo di più di 2000 scansioni della mummia, che ci rivela un giovane zoppo, con un piede deforme che lo costringeva a camminare con il bastone − ne sono stati ritrovati 130 nella sua tomba − fianchi femminili e l’arcata dentaria superiore fortemente sporgente.
Leave poor Tutankhamun alone. Hands off the boy king. Let him sleep his eternal sleep in the dignity of his golden mask. Nel suo articolo su «The Guardian» (Tutankhamun does not deserve this 21st-century desecration) Jonathan Jones, giornalista e critico d’arte inglese, si è ribellato alla dissacrazione dell’immagine di Tutankhamon, morto a soli 19 anni e probabilmente figlio incestuoso del faraone Akhenaton e di sua sorella, ridotto a un simulacro virtuale come i personaggi dei videogame.
Questo tipo di indagine, con l’indagine ossessiva delle cause della morte di Tutankhamon e del suo stato di salute, si presta allo scoop, all’evento spettacolare, a quello che Jones ha definito un volgare e rozzo infotainment, l’informazione-spettacolo.
La tomba intatta di Tutankhamon, scoperta nel 1922 dall’archeologo Howard Carter con una missione finanziata da Lord Carnavon, rivelò agli scopritori inestimabili tesori: il sarcofago e il trono del faraone, gioielli, oggetti, armi, a differenza delle tombe di altri faraoni, ampiamente saccheggiate nel corso dei secoli. Fra tutti i reperti esposti al Museo del Cairo, ha un posto di primo piano l’emozionante maschera funebre d’oro dallo sguardo senza tempo, che Jones considera una straordinaria testimonianza dell’impulso umano alla sopravvivenza, ipnotico sogno dell’immortalità umana.
È di questi giorni la notizia che anche l’uomo di Neanderthal scoperto nel 1993 ad Altamura diventerà un modello 3D grazie a un bando comunale. Decisamente le ricostruzioni in 3D stanno imperversando, a metà strada fra il reale contributo alla ricerca e la spettacolarizzazione un po’ fine a se stessa.
Ma non abbiamo niente di cui preoccuparci. Non sarà certo l’immagine di un giovane malato e deforme a occultare lo straordinario fascino ancora esercitato da Tutankhamon, così come lo sbarco del 1969 nulla ha tolto alla poesia e alla seduzione della luna.