Ormai mi trovo quasi sempre d’accordo con quanto dicono o scrivono persone di generazioni precedenti alla mia: ad esempio, con le analisi politiche di Eugenio Scalfari e con le riflessioni di filosofi come Massimo Cacciari o Umberto Galimberti, o di intellettuali del calibro di Umberto Eco. Temo che – se fosse vivo – sarei un assiduo lettore di anche Indro Montanelli, che da giovane consideravo un bieco conservatore: infatti quando rileggo oggi qualcosa di suo scritto trent’anni fa ne apprezzo un certo burbero moralismo.
Tutto ciò dovrebbe farmi riflettere. Soprattutto se penso che, in barba i miei 54 anni, me ne toccheranno (pare…) almeno altri 13 e passa a contatto con studenti liceali; liceali che però – lo dico con narcisistica soddisfazione – sembrano apprezzare una certa identità retrò che mi sono dato col tempo…
Insomma, non sono sicuro di essere il miglior docente possibile per la #buonascuola di etichetta renziana, e questo – lo credano i lettori – non certo per pregiudizi di natura politico-ideologica. Ma per motivi concreti, fattuali, in quanto questa rappresenta l’ennesimo colpo (non so se mortale: spero di no) nei confronti di quel concetto di “licealità” che nel corso dei decenni ha prodotto in Italia una scuola altamente formativa e metodologicamente adeguata a creare “profili in uscita” (il lessico è quello dei forbiti burocrati…) idonei agli studi universitari.
Non c’è nulla di male, di discriminatorio, di “razzista”, nel pensare che alcuni indirizzi di Istruzione Superiore (Tecnici, Professionali…) debbano orientare verso il mondo del lavoro, mentre i Licei – dati alla mano – sfornino studenti universitari che in quel mondo entreranno alcuni o molti anni dopo. Pertanto – e qui torno all’inizio del mio articolo – condivido appieno le riflessioni di Umberto Galimberti sul supplemento «D» di «Repubblica» del 13 febbraio u.s. sulla cosiddetta alternanza-scuola lavoro, uno dei “fiori all’occhiello” della #buonascuola.
In un pezzo dal titolo Che scuola è se non addestra al pensiero?, infatti, il filosofo afferma – tra l’altro – che l’obiettivo formativo delle Scuole Secondarie “non è quello di addestrare al lavoro ma di formare l’uomo, con l’attenzione rivolta alla sua intelligenza per addestrarla al senso critico e al suo sentimento, per renderlo idoneo ad avvertire, anche senza mediazioni intellettuali, la differenza tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto”. Anche perché, incalza, il mondo del lavoro “non sa che farsene della presenza periodica o il più delle volte saltuaria di studenti che, senza praticarlo, lo ‘visitano’ come si visita una mostra”.
Che dire? Sante parole. La legge 107 obbliga invece gli studenti liceali a 200 ore di lavoro vero (ma va là!), simulato, fittizio, volontario ecc. nel corso del Triennio Superiore… e obbliga soprattutto le scuole a chiedere “col cappello in mano” a imprese, istituzioni pubbliche e private, dipartimenti universitari, studi professionali del La #buonascuola concede ai nostri giovani di fare “impresa simulata” oppure di fare volontariato presso Onlus, parrocchie, centri di assistenza sociale, istituendo – con uno strepitoso e italico ossimoro – il volontariato obbligatorio.territorio: “avete mica due-tre posticini per qualche nostro allievo?”. Lo vedo, lo sento in questi giorni: così stanno infatti facendo Presidi e colleghi dalle Alpi alla Sicilia, ottenendo solitamente risposte negative; e non so dare davvero torto a chi non vuole tra i piedi sedicenni in visita “museale” dopo essere stato obbligato da motivi di budget, in questi ultimi anni, a cestinare curricula di laureati e dottorati cum laude, e spesso pure a licenziare personale formato e pienamente operativo!
E allora? Niente panico… La #buonascuola concede ai nostri giovani di fare “impresa simulata” (e cioè di fare finta di lavorare, ma di stare in classe: alcuni astuti operatori vendono già i “format” alle scuole) oppure di fare volontariato presso Onlus, parrocchie, centri di assistenza sociale, istituendo – con uno strepitoso e italico ossimoro – il “volontariato obbligatorio”. Dunque del lavoro può (e in molte circostanze così sarà) restare solo una pallida e nominale “etichetta”: parlerei dunque di “alternanza scuola-finzione”.
Chi scrive ha più volte coinvolto i propri allievi in attività concrete (stages archeologici, ad esempio) cercando appoggio in istituzioni museali o universitarie, e promuovendo con esse la stipula di vere e proprie convenzioni: ma non erano quelle forme di alternanza, bensì – laddove le circostanze lo consentivano – un complemento della didattica curricolare. E plaudo agli studenti che volontariamente si impegnano nel sociale, ben sapendo come la parola latina caritas (che è pure il nome della Onlus più famosa d’Italia) indichi donazione piena e gratuita del sé al prossimo, senza computi di ore all’anno: si parla dunque di esperienze straordinarie, che in molti casi hanno segnato la vita di chi le ha vissute, anzi di chi “ha scelto di viverle”. Così come comprendo e incoraggio le 400 ore di “alternanza scuola-lavoro” degli Istituti Tecnici e Professionali: ci mancherebbe altro!
Ma nei Licei 200 ore sono tante quante – più o meno – quelle di Scienze, Matematica o Storia dell’Arte nel Triennio del Liceo Classico, oppure di Storia o Disegno al Liceo Scientifico. Non so se il Legislatore questa cosa l’abbia tenuta presente quando ha emanato la legge 107, ma temo di no. Di ciò si parla comunque nelle sale insegnanti di Quando li vedrò tornare dall’ufficio che li ha tenuti lì a fare fotocopie penserò ai canti di Dante o ai capitoli di Tacito che si sono persi, certo più idonei, come dice Galimberti – a capire la differenza tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.mezza Italia, e il malcontento serpeggia tra i professori (e tra i Presidi); un malcontento, per ora, “sotto traccia”, credo perché il numero di studenti da “piazzare” in azienda è ancora modesto: ben altri numeri però ci saranno (e ben maggiori grattacapi e malcontenti) quando la prassi sarà a regime, nel giro di tre anni!
Per concludere. Non mi sottrarrò – stia tranquilla il Ministro Giannini – ai miei obblighi istituzionali, e non negherò ai miei studenti un aiuto per “navigare” anche in questa paradossale esperienza. Quando però li vedrò tornare dall’ufficio che li ha tenuti lì a fare fotocopie, o ancor peggio li accompagnerò ad assistere alle fantozziane simulazioni d’impresa, penserò – da vecchio qual sono – ai canti di Dante o ai capitoli di Tacito che si sono persi, certo più idonei – cito ancora Galimberti – “a capire la differenza tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto”. E penserò che al “vero” lavoro – se va bene – loro si affacceranno tra 5-6 anni, quando di questa benedetta “alternanza” si saranno del tutto scordati. A meno che – mi si perdoni la battuta – non si tratti di indimenticabili palestre di vita come quelle che i figli del Ministro Poletti hanno fatto all’Ortomercato durante le vacanze estive: ma quella era “alternanza vacanza-lavoro”, volontaria e consapevole, senza i tutoraggi e le scartoffie nelle quali ci toccherà annegare – tutti quanti – per l’ennesima volta!