In Pakistan i libri di testo approvati dal Ministero dell’Educazione Pubblica fanno ben poco riferimento all’evento. Solo in un caso si dice che gli attacchi sono opera di «terroristi non identificati», mentre il resto dei manuali non descrive per nulla gli attacchi, limitandosi a sottolineare che dopo l’11 settembre il Pakistan ha sostenuto la campagna anti-terrorismo degli Stati Uniti.
A Hong Kong il Ministero dell’Educazione Pubblica suggerisce che i libri di testo mettano in scena «giochi di ruolo» che aiutino gli studenti a porsi nei panni di volta in volta dei dirottatori, dei lavoratori del World Trade Center, dei bambini afgani, degli agenti di polizia di New York o dei cittadini islamici dei Paesi musulmani.
In India i libri di testo descrivono la risposta americana agli attacchi come una sorta di «giustizialismo da cowboy» che non ha fatto ricorso alla diplomazia. In Indonesia e Israele, invece, l’11 settembre non ha alcun posto nei programmi scolastici formali.
Come spiegare queste diversità? «Ci sono così tanti temi diversi, così tante cose di cui si può parlare rispetto a questo evento, che i vari Paesi hanno creato narrazioni specifiche che tendono a sposare i loro bisogni», ha detto Elizabeth D. Herman, una studiosa di scienze politiche di Berkeley (California), specializzata nell’indagare come la politica influenzi l’insegnamento della storia nei libri di testo di Pakistan, India e di altre dodici nazioni.
I vari Paesi hanno creato narrazioni specifiche che tendono a sposare i loro bisogni.In molti manuali dell’Europa occidentale, sostiene la ricercatrice, «l’11 settembre è utilizzato come evento-chiave da cui partire per parlare di fondamentalismo islamico» o di «terrorismo islamico». Ma i Paesi che vedono crescere la loro importanza geopolitica, come il Brasile, la Cina e l’India, sono più inclini a usare l’attacco alle Torri Gemelle per criticare gli Stati Uniti e il loro predominio nelle questioni politiche mondiali. Herman cita, ad esempio, Contemporary World Politics, un libro di testo indiano del 2007 in cui viene scritto che dopo gli attacchi «le forze americane hanno eseguito arresti in tutto il mondo, spesso senza che i rispettivi governi lo sapessero, trasportando i prigionieri in carceri segrete».
La “morale” dei terroristi
Al contrario degli Stati Uniti, molte nazioni usano gli attacchi dell’11 settembre per evidenziare uno scenario diverso: un ordine mondiale in cui nessuna singola potenza è dominante.
In Francia, un manuale per i licei approvato dal governo ha definito gli attacchi «un atto terroristico che ha inaugurato una nuova era nelle relazioni internazionali, segnata dall’abbandono definitivo della fede nella capacità di un singolo Stato, per quanto potente, di assicurare la stabilità e l’ordine globale in un ambiente internazionale in profonda trasformazione».
In Corea del Sud, il libro di testo di Kyohak Publishing ritrae gli attacchi come un esempio dello «scontro di civiltà» descritta dal politologo Samuel P. Huntington: riferendosi alle reazioni emotive seguite al fatto, ha descritto l’Europa occidentale immersa in uno stato di «shock e rabbia» e la Palestina «in festa», con «la gente che balla per strada e festeggia». Prosegue aggiungendo che «alcune persone hanno chiesto di punire» il terrorismo che ha ucciso persone innocenti, mentre altri Stati credono che non sia sempre un male. Chiedendosi se in un certo senso non possiamo chiamare terroristi anche i militanti nazionalisti, «questi Stati pensano che vi sia una logica morale anche nel terrorismo».
Un libro di testo cinese pubblicato dal Beijing Normal University Publishing Group ci informa che dopo che i «terroristi internazionali» hanno causato più di 3000 morti e più di 10 miliardi di dollari di perdite economiche, gli Stati Uniti hanno iniziato la guerra in Afghanistan «rovesciando il regime talebano nel nome della lotta contro il terrorismo. Nel 2003, senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite, hanno iniziato la guerra in Iraq e hanno rovesciato il regime di Saddam Hussein». Stabilire «un mondo multipolare», conclude il manuale, sarà un processo molto lento.
L’attentato nei testi USA
La maggior parte dei libri di testo americani nei primi anni del 2000, subito dopo l’attentato, descrivevano gli attacchi esclusivamente come un’occasione per mostrare patriottismo ed eroismo. Molti usavano l’immagine dei tre vigili del fuoco che sollevano una bandiera tra le macerie di Ground Zero, affiancata dalla celebre fotografia scattata dal fotografo Joe Rosenthal durante la battaglia di Iwo Jima, che ritrae sei soldati mentre issano la bandiera degli Stati Uniti d’America sulla vetta del monte Suribachi.
Nel descrivere gli attacchi i manuali forniscono poche informazioni su ciò che è realmente accaduto.Analizzando i manuali oggi, ossia dieci anni dopo, osserviamo alcuni cambiamenti importanti. In genere ricorrono alle immagini dell’aereo che sbatte contro le Torri Gemelle, provocando l’enorme di palla di fuoco che siamo tristemente abituati a riconoscere, o del panico nelle strade di New York, con le persone che fuggono dalla nube di polvere sollevata dal collasso delle torri.
Diana E. Hess, professoressa della Università del Wisconsin, ha analizzato nove libri di testo delle scuole superiori americane utilizzati nel loro complesso da quasi la metà degli studenti del Paese. Ha concluso che, a dispetto dei titoli drammatici («complotto orrendo» o «crimine contro l’umanità»), nel descrivere gli attacchi i manuali forniscono poche informazioni su ciò che è realmente accaduto. La maggior parte non offre informazioni nemmeno sul numero dei morti o sulla responsabilità degli attacchi. E i pochi che danno queste informazioni, non delineano il contesto in modo sufficiente a renderle comprensibili.
È il caso di America: Pathways to the Present, un manuale del 2005 in cui lo studente apprende che il «primo sospettato per gli attacchi è stato Osama bin Laden», il quale viene però descritto semplicemente come «un ricco saudita dissidente» cui era stato concesso asilo in Afghanistan dai talebani, «un gruppo politico che vuole stabilire uno Stato islamico integralista vietando cose come la televisione e la musica». Leggendo questi manuali, conclude la professoressa Hess, «è difficile dare un senso al perché gli attentati siano avvenuti. C’è un grande vuoto nella narrazione dell’11 settembre”.
La reticenza editoriale
La quantità di informazioni specifiche su questo fatto storico, invece che aumentare, sembra restringersi con il passare degli anni, almeno nei pochi libri che hanno avuto più di un’edizione dopo l’11 settembre. Se l’edizione del 2005 di The Americans, un manuale di storia, faceva riferimento alla morte dei lavoratori all’interno delle due torri, dei 300 pompieri e dei 40 agenti di polizia, l’edizione del 2010 si limita a condensare il tutto attraverso questo passaggio: «circa 3000 persone sono state uccise negli attacchi, i più distruttivi atti di terrorismo della storia moderna».
Gli editori e gli autori cercano di evitare le polemiche, per quanto è loro possibile. Sanno che qualunque comitato ha la facoltà di fare pressione affinché un passaggio, una sezione o anche solo una parola del testo non debbano essere inclusi nel manuale.Il Magruder’s American Government, un manuale di educazione civica del 2005, descrive la decisione di invadere l’Iraq in questi termini: «nel 2002, il Congresso accettò che il Presidente Bush adottasse tutte le misure necessarie e opportune per eliminare la minaccia rappresentata da Saddam Hussein e la sua dittatura irachena. Si credette infatti che quel regime avesse accumulato enormi riserve di armi chimiche e biologiche e che stesse cercando di diventare una potenza nucleare, una violazione dell’accordo di cessate il fuoco della Guerra del Golfo». Significativamente, però, l’edizione del 2010 ha eliminato ogni riferimento alle armi di distruzione di massa.
La professoressa Hess sostiene che, sebbene controverse questioni di politica pubblica – come le libertà civili e la decisione di entrare in guerra contro l’Iraq – dovrebbero essere incluse nei libri di testo, la loro assenza non è tuttavia sorprendente. «Gli editori e gli autori cercano di evitare le polemiche, per quanto è loro possibile. Sanno che qualunque comitato ha la facoltà di fare pressione affinché un passaggio, una sezione o anche solo una parola del testo non debbano essere inclusi nel manuale».
Tratto da: T. Lewin, The Lessons, «The New York Times» 8 settembre 2011 ©«The New York Times»