Il remoto palazzo minoico
Tutt’altra sensazione – emozione, direi… – suscita la visita al palazzo minoico della remota località di Kato Zakros, uno dei punti più orientali (e più belli) dell’isola. Scoperto da David Hogarth ai primi del Novecento, il sito è stato poi scavato negli anni Sessanta dall’archeologo cretese Nikolaos Plàton, offrendo non solo un’eccellente esempio di palazzo minoico, ma anche una quantità di interessanti materiali, tra i quali suppellettili di vario genere e tavolette di Lineare A, l’indecifrata scrittura antico-cretese; molti di questi oggetti sono oggi conservati nei vicini musei di Sitia e Aghios Nikolaos, ma anche nel grande museo e rinnovato museo di Iraklion, al quale riserverò un intervento particolare su queste colonne.
Il palazzo di cui parliamo è posto ai piedi di due alture e a poche centinaia di metri dal mare: anzi tra l’area palaziale vera e propria e la soprelevata serie di abitazioni adiacenti al palazzo, corre una strada – ancora ben visibile – detta “via del porto”, in quanto si suppone servisse per collegare la città al suo porto, probabile scalo di merci da e verso il Vicino Oriente: non pochi dunque i manufatti di fattura o ispirazione anatolica, egiziana o cipriota trovati a Kato Zakros, dove è stata pure reperita una preziosa zanna d’elefante. D’altronde, l’epoca della costruzione (1600-1450 ca) è compresa nella cosiddetta fase neopalaziale, nella quale Creta ancora esercitava la talassocrazia sul Mediterraneo orientale.
Si riconosce – nella zona del palazzo – la consueta promiscuità di aree sacre, artigianali, commerciali, politiche, cerimoniali, nonché la presenza di cucine e magazzini, posti intorno a un grande cortile: il tutto contribuisce a rendere l’idea di queste comunità come realtà in buona parte autosufficienti, con un’osmosi evidente e costante tra il centro del potere (il palazzo vero e proprio) e le residenze limitrofe.
- L’area dello scavo di Kato Zakros
- Il busto di Nikolaos Platon
- La zona del palazzo, vista dall’alto
- Insediamento, una panchina
- L’insediamento, un forno di fusione del bronzo
- Un tratto di sede stradale
- Mura ciclopiche di Kato Zakros
- La Via del porto
- Il golfo di Kato Zakros
- Zanna di elefante, Museo di Iraklion
- Ryton bronzeo, Museo di Iraklion
- Rython in cristallo di rocca, Museo di Iraklion
La fine della civiltà cretese
Palazzi bassi e senza mura, quelli minoici, poiché i Cretesi si sentivano protetti dal mare; sì, da quel mare dal quale – in forma di terremoto/maremoto o di invasioni straniere o forse di entrambe le cose – venne invece la rovina e la caduta di questa plurimillenaria civiltà. Dunque la visita del palazzo di Kato Zakros ha anche una dimensione drammatica, poiché è facile immaginare la pacifica comunità cretese, dove sovrano, nobiltà e popolo dovevano vivere in una sorta di gioiosa concordia, levare all’improvviso gli occhi verso il mare – che qui è di un blu quasi artificiale – e percepire tra gli ululati e muggiti provocati del vento (parafraso qui il Verga dei Malavoglia…) un imminente pericolo. Chissà se i Minoici avranno interrotto, terrorizzati, le acrobazie coi tori, le processioni sacre, le gare di pugilato e i loro sontuosi banchetti, oppure se avranno accolto la fine della loro civiltà con il sorriso quasi beffardo dei personaggi degli affreschi di Crosso. Non lo sapremo mai. Sappiamo però che di lì a poco saranno i bellicosi Micenei a dominare il mare e perfino a occupare Creta: dalla civiltà delle feste e dei commerci, si passa a una dell’onore e della guerra.
Un’area mai occupata dai Micenei
Non ci sono però tracce di occupazione micenea del palazzo di Kato Zakros, che è invece bene attestata – ad esempio – a Cnosso, e ciò ci pone oggi in una continuità ideale col passato minoico; tra l’altro la quantità di oggetti preziosi qui reperiti (un vero e proprio “tesoro”) è evidente indizio della totale assenza di abitazione dell’area dopo il 1450 a.C.: avrebbero forse i Micenei risparmiato il prezioso rython in cristallo di rocca, o un altro rython bronzeo a forma di testa di toro, meraviglie ora visibili al museo di Iraklion? Temo di no.
Così, fiancheggiando il palazzo adagiato alle falde delle rosse rocce della montagna e osservando – tra questo e il mare – i filari di ulivi, qualche vigna, e alcune strisce di verdura coltivata, abbiamo per qualche istante l’impressione di essere tornati alla pace della metà del II millennio a.C.: unico, vero, indizio delle epoche trascorse sono i filari di rossi pomodori, a testimonianza dell’avvenuto viaggio americano di Cristoforo Colombo.
Il mondo finisce (e comincia) a Kato Zakros
Per il resto Kato Zakros è davvero un luogo senza tempo, una sorta di omaggio perenne alle origini della storia, e che di questa ha racchiuso gli archetipi. Qui si praticò il matriarcato d’epoca minoica, prima che il grande Zeus – da bambino sottratto alla fauci di Kronos proprio in terra di Creta – testimoniasse l’avvento di un potere divino e umano “al maschile”. Qui ci si aprì, come dicevo, alle altre culture, e si verificò già in antico quella necessaria osmosi tra Occidente ed Oriente che sarà poi “sacralizzata” dal mito, se è vero che Zeus – ormai divenuto re degli dèi e dunque in grado di trasformarsi in toro volante – portò a Creta l’amata fanciulla fenicia Europa, divinità eponima del nostro continente. D’altronde è forse possibile pensare al Mediterraneo – in ogni tempo e ad ogni latitudine – senza fenomeni migratori, se l’Europa che lo sovrasta fu essa stessa una mitica “migrante”?
Insomma, qui nel punto (quasi) più orientale di Creta, dove sembra che il mondo stia per finire nel blu scuro del mare, si è presi dalla vertigine della “nostra” Storia con la S maiuscola che comincia il suo corso. E se ci si è stati una volta, non tornarci è impossibile, e dunque chi scrive sta già pensando a un altro nóstos (il terzo) a Kato Zakros, anche perché Nóstos è il nome di un’eccellente taverna di pesce, proprio in riva al mare: l’ideale per rifocillarsi dopo una visita al palazzo, no?