L’onorevole Rossini è Membro della camera dei deputati italiana dal 2018 e componente Minoranze linguistiche (Gruppo Misto). Ringraziamo il Portale IDA Loescher editore (che invitiamo a consultare per approfondimenti e materiali relativi all’istruzione degli adulti e all’italiano per stranieri) e La linea Edu per la realizzazione.
On. Emanuela Rossini, Lei ha presentato un Odg che si è innestato sull’iter che ha portato all’approvazione del provvedimento noto come “Decreto Sicurezza”. Ci può raccontare che cosa conteneva la sua proposta e perché l’ha avanzata?
Nel decreto-legge 2018, n. 113, noto come “Decreto Sicurezza”, sono previste nuove disposizioni per l’acquisizione e la revoca della cittadinanza italiana. Tra queste, all’art.14 (lettera a-bis) figura quella di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, la cui conoscenza deve essere attestata dal possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico riconosciuto dal MIUR o dal MAECI, oppure presentando apposita certificazione della lingua, rilasciata da un ente certificatore riconosciuto dal MIUR o dal MAECI (Società Dante Alighieri, Università per Stranieri di Perugia, Università per stranieri di Siena, Università degli Studi di Roma Tre).
In merito a questa disposizione, ho presentato un ordine del giorno da portare in Aula, in cui ho chiesto al Governo di impegnarsi “ad assumere tutte le iniziative necessarie affinché l’insegnamento obbligatorio della lingua italiana per stranieri sia garantito nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università e sia realizzato da parte di insegnanti qualificati e formati per svolgere tale compito, anche con il sostegno dei mediatori linguistici e culturali, e potenziare i già esistenti corsi d’italiano in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, aumentando le informazioni disponibili in ordine all’accesso e alla fruibilità degli stessi”.
Come fu accolto dal Governo?
Il parere del Governo in Aula fu “Favorevole con riformulazione”, con cui mi si chiedeva di togliere la parola ‘obbligatorio’ dal testo. Il carattere di ‘obbligatorietà’ alla frequenza dei corsi, da parte dei migranti, era una condizione importante per me, perché trascinava con sé un impegno più vincolante da parte del Governo. Pur malvolentieri, però, accolsi la riformulazione per evitare di vedermi bocciare e sparire nel nulla la mia proposta. Ottenni così l’impegno del Governo a garantire e potenziare l’insegnamento della lingua italiana nei vari contesti in maniera uniforme su territorio nazionale.
Quanto è vincolante questo impegno preso dal Governo?
Un Odg (ordine del giorno) non è un emendamento, che entra direttamente in Legge, diventando esso stesso Legge. Un Odg è un impegno formale, però, un riconoscimento, da parte del Governo dell’importanza di ciò che prevede, altrimenti non verrebbe accolto. In particolare, questo Odg mette nero su bianco quelle che sono le priorità da dare all’insegnamento della lingua italiana come L2 per stranieri. Nella mia premessa all’Odg, infatti, spiego che la questione dell’integrazione linguistica non riguarda solo i migranti adulti, per i quali la conoscenza della lingua diventa indispensabile per aver accesso al lavoro, ma anche i bambini in età prescolare e scolare per poter frequentare con profitto le scuole dell’obbligo. Inoltre, con questo Odg diventa ufficiale l’impegno del Governo a offrire corsi di italiano, perché nel Decreto troviamo solo l’obbligo dei richiedenti di cittadinanza a dimostrare la conoscenza della lingua italiana. In pratica, il rischio è che, se non vengono attivati i corsi e se l’insegnamento non verrà finalizzato su tutto il territorio nazionale alle certificazioni richieste, la conoscenza dell’italiano diventi una soglia di sbarramento, anziché di accesso, alla richiesta di cittadinanza. Con questo Odg perlomeno vengono dichiarate le condizioni da garantire.
Quale ritiene potrà essere l’applicazione di tale previsione normativa?
Come rappresentante di un partito autonomista territoriale (PATT), alleato con il partito di maggioranza in Alto Adige (SVP), noi rappresentiamo una regione come il Trentino-Alto Adige dove convivono comunità linguistiche diverse (italiano, tedesco e ladino) e da sempre siamo dunque sensibili alla tutela delle minoranze linguistiche, a favore delle quali le nostre politiche sul territorio garantiscono criteri idonei alla loro salvaguardia e sviluppo (percorsi di educazione e ricerca sul bilinguismo, introduzione del trilinguismo – italiano, inglese, tedesco – sin dal nido alle materne e fino all’Università). Questo, dunque, è il contesto in cui ci muoviamo.
I corsi di italiano per migranti e stranieri hanno visto negli anni scorsi una buona offerta con politiche di integrazione sul territorio, in particolare in Trentino; queste sono coordinate dal Centro informativo provinciale per l’immigrazione (CINFORMI), istituito nel 2001, che si occupa di permessi di soggiorno, ricerca lavoro, modulistica e anche formazione. Tutto ciò ha permesso in Trentino una stabilizzazione dell’immigrazione, controllo e conoscenza dei flussi, mantenendo il lavoro dei migranti dentro soglie di legalità e sicurezza.
Con il cambio politico che abbiamo avuto alle recenti elezioni provinciali di ottobre 2018, la propaganda utilizzata contro le politiche di integrazione, che a livello nazionale hanno visto crescere un clima di ostilità generale e pregiudiziale verso le politiche di accoglienza e di integrazione, ha toccato anche il mio territorio.
In Trentino, qual è l’orientamento oggi verso l’insegnamento dell’italiano a stranieri?
A oggi i tagli operati dal neo governatore Fugatti (Lega) all’accoglienza, prevedono la perdita di 140 posti di lavoro entro il 2020. I sindacati hanno chiesto alla Provincia un tavolo di concertazione che permetta anche di avviare percorsi per ricollocare i lavoratori che perderanno il posto, rimarcando però che si disperderanno professionalità che hanno ben lavorato per la nostra comunità. Al taglio di una parte dei corsi di italiano c’è stata però una bella risposta da parte della società civile e di istituzioni come il Comune di Trento, la Diocesi e i centri che da anni si occupano di accoglienza, preoccupati che aumenti l’instabilità sociale. Io penso ai giovani e agli insegnanti specializzati nel campo che non hanno prospettiva, pur sentendo che il loro lavoro è indispensabile alla comunità.
Per questo cerchiamo strade di dialogo con la nuova Giunta, per far comprendere la ricaduta che avrebbe sulla comunità, in termini di sicurezza ma anche nella pratica del vivere quotidiano, la sospensione dei servizi di CINFORMI e dei corsi di lingua per i tanti lavoratori stranieri che sono inseriti nel nostro settore agricolo, edile, gastronomico, nei servizi alla persona e che vivono con le loro famiglie nelle comunità. Il dialogo politico è importante in questa fase, ma soprattutto è importante la presa di coscienza delle persone e il prevalere di un po’ di realismo.
E in Alto Adige, invece?
In Alto Adige, diversamente, è stato attuato in pieno il mio Odg, per la sola lingua tedesca però. L’approccio seguito dal neo assessore all’Istruzione e Formazione tedesca Philipp Achammer è stato annunciato pochi giorni fa, e mira a rendere obbligatoria la frequenza ai corsi di integrazione per i migranti che chiedono sussidi. Al carattere obbligatorio della frequenza corrisponde un’offerta linguistica creata ad hoc sui bisogni del migrante presso i centri linguistici che hanno sempre operato bene. L’obiettivo dunque è pratico e finalizzato a facilitare l’inserimento sociale e lavorativo a chi risiede sul territorio.
Spero vivamente che questo approccio possa venire adottato anche dall’assessore all’Istruzione e Formazione italiana in Alto Adige (Lega) e di seguito anche in Trentino, guardando soprattutto ai risultati finora conseguiti sui due territori, anche economici, grazie anche al gettito fiscale del lavoro di immigrati. Inoltre, per un’effettiva integrazione i rifugiati vengono smistati in piccoli gruppi nei Comuni sul territorio.
Riguardo al cosiddetto “test di lingua per la cittadinanza”, siamo di fronte a una prova linguistica alla quale è condizionato il percorso di integrazione dello straniero in Italia; in questo ci adeguiamo a ciò che è stato fatto in molti altri Paesi europei. Lei ritiene che la formula dei test di verifica sia la strada più efficace per favorire l’apprendimento della nostra lingua?
Il test di verifica può funzionare da ‘motivatore’ per impegnarsi nello studio della lingua italiana, perché offre un orizzonte, un termine, un obiettivo pratico allo studio e di utilizzo della certificazione ottenuta. Ricordiamo poi che il livello B1 prevede, in particolare, la capacità di sostenere conversazioni semplici su argomenti noti o di interesse, comprendendo gli elementi principali di un discorso, la capacità di comprendere l’essenziale di trasmissioni radio e televisive, la comprensione di un testo scritto di uso quotidiano, la scrittura di testi semplici su argomenti noti.
Il percorso di studio, dunque, prevede l’apprendimento di espressioni italiane ‘utili’ e di uso corrente che portano le persone che seguono il corso a ricercare e a migliorare le proprie relazioni con l’ambiente circostante. L’utilità percepita di ciò che si studia, alimenta anch’essa la motivazione e l’entusiasmo verso lo studio e l’apprendimento. Il test quindi andrà a verificare quel corpus linguistico che, questo è vero, dovrà essere ben scelto e omogeneo su tutto il territorio, pur con espressioni calate nelle varietà regionali che nel nostro Paese sono anche di tipo culturale, pertanto dovrà trattare di argomenti e tematiche legati anche alla nostra civiltà. Un valore aggiunto questo.
Portando l’attenzione ai rifugiati e richiedenti asilo accolti nelle strutture dello Sprar, dei Cas e dei Cara, che prospettiva ritiene ci sia per l’insegnamento della lingua in questo ambito? Lei ritiene che tale attività sia importante per favorire l’integrazione di queste persone?
Sì, assolutamente. Offrire alle persone che sono in attesa di valutazione delle proprie richieste di asilo o che si trovano a transitare e soggiornare in luoghi di raccolta, che sembrano sempre più luoghi di detenzione, ecco, offrire loro occasioni di apprendimento e di socializzazione, come l’apprendimento della lingua del Paese, aiuta a contenere lo spaesamento che queste persone, soprattutto i bambini e i giovani vivono. Sono loro che rappresentano una vera emergenza umanitaria, perché si trovano nella fase di sviluppo cerebrale, emotivo e intellettivo determinante per tutta la loro vita. A loro dobbiamo, tutti, come Paesi europei che li ospitano, garantire un percorso di apprendimento e studio per non togliere loro chance di crescita determinanti per tutta la loro vita.
Le esigenze degli adulti sono invece diverse, hanno a che fare con la necessità di impegnare il pensiero e di trovare una qualche forma di speranza, giorno dopo giorno. Apprendere qualcosa, qualsiasi cosa, ma soprattutto una lingua, aiuta loro a mantenere una dignità e un rispetto di sé stessi. Trattare le persone umanamente è una prerogativa che non possiamo perdere. Se salta questo tratto della nostra civiltà, rischiamo tutti. La scelta è tra la legge della giungla e quella dell’umanità. In questo vi è una responsabilità nostra che è più alta di quella politica o partitica: è una responsabilità storica.
Riguardo ai docenti di italiano L2/LS, che prospettive lavorative prevede che ci saranno a seguito di queste modifiche normative? Che cosa direbbe ai tanti che si stanno specializzando nel settore?
Direi che la passione e l’impegno dei docenti di italiano a stranieri nell’insegnare la lingua italiana – una lingua minoritaria nel mondo – è encomiabile per tante ragioni. In primis perché stanno salvando la nostra lingua, le donano per ogni nuovo parlante una vita nuova, mescolandola dentro altre grammatiche e semantiche, aprendola a nuovi innesti, nuove metafore. La vitalità della lingua inglese, cosa che l’ha resa lingua globale, è data dalla sua continua ibridazione con altre lingue. Insegnanti e traduttori sono i veri ambasciatori di un Paese perché è nella lingua che sta la sua salvaguardia.
Poi, c’è la funzione sociale di questo lavoro che, come scrivevo sopra, è indispensabile per il nostro Paese. Le politiche migratorie dovranno finalizzarsi maggiormente per uscire dalla continua emergenza. Saranno proprio i corsi di lingua, come in Germania, che faranno la differenza per i migranti. Sia per avere lavoratori stranieri anche specializzati, in settori che lo richiedono, ma anche per attrarre studenti stranieri nelle nostre università. Dalla mia esperienza presso l’Università di Milano, i corsi di italiano per tali studenti sono indispensabili, anche per chi segue corsi in lingua inglese, per capire le nostre regole e vivere il sistema universitario e la vita quotidiana.
Dobbiamo poi promuovere la qualità dell’insegnamento della nostra lingua in alcuni ambiti specifici, dove la lingua italiana è principe nel mondo. Penso ai Conservatori per esempio, frequentati da molti studenti cinesi e orientali, che vengono in Italia per il bel canto e che vogliono conoscere l’italiano che rimane la lingua dell’Opera.
Anche nel settore gastronomico la nostra lingua gode di un’aura speciale. Offrire corsi di cucina in italiano a stranieri è una proposta tutta da costruire, da estendere anche in ambito umanitario per gli stranieri che si occupano, per esempio di servizi alle persone. Dobbiamo integrare maggiormente i corsi per migranti con altri percorsi più ‘smart’, con testimonial d’eccezione. In tal modo diventa sostenibile anche economicamente l’attività degli operatori/insegnanti.
Consiglierei anche di unirsi e promuovere incontri pubblici dove far emergere la ricchezza di professionalità che sta dietro a questo mondo, le proposte e le finalità dell’insegnamento della lingua in luoghi come il carcere, i centri di raccolta migranti, ma anche i centri professionali… . In tal senso far comprendere che cosa si insegna con la lingua, che cosa si può prevenire, che cosa si impara insegnando. La crescita dei nostri operatori è altrettanto importante. E anche le cifre di questo mercato sono importanti per capire quanta occupazione sta generando. Per quanto riguarda le prospettive lavorative connesse agli effetti che la legge produrrà è presto per prevederli, ma sono certa che dipenderà da come ci muoveremo tutti e da quanto dialogo riusciremo a tenere con la politica e le amministrazioni locali.
Io credo che il nostro Paese, con una politica di integrazione sempre più organizzata e dove i sussidi ai migranti sono vincolati a un effettivo impegno a integrarsi facilitando così la convivenza, potrebbe offrire al mondo un modello per affrontare queste emergenze. La Ue ci sostiene, i fondi ci sono, la nostra posizione geopolitica non ci permette di voltare lo sguardo dall’altra parte.