Leggere per drammatizzare
Vale la pena occuparsi a lungo di lettura, scomponendo il percorso del lettore in tappe segnate da titoli utili, per far concentrare i ragazzi su particolari aspetti del leggere. È un metodo che permette di raggiungere tante mete in successione e altrettante gratificazioni.
Una volta superare le prove di lettura ad alta voce e di espressività, si può passare alla breve drammatizzazione. Non dobbiamo attenderci risultati subito perfetti, ma almeno abbiamo la certezza di aver approntato gli strumenti del mestiere. Un progetto lettura può diventare una premessa ideale per il laboratorio teatrale.
Possiamo vedere anzi il laboratorio come un potenziamento del messaggio già acquisito leggendo, o come una possibilità di vedere nel testo altre aperture, altri messaggi.
D’altra parte il laboratorio di lettura mette i ragazzi in una situazione di conoscenza che li rende più sicuri e più a proprio agio nell’affrontare il teatro. Lettura e teatro si sostengono a vicenda, e possono apportare tanto l’una all’altro, e viceversa.
Per quanto riguarda la successione temporale, è ovvio che la lettura debba precedere la drammatizzazione, ma sarebbe ottima abitudine fare ritorno, una volta compiuta la messa in scena, al testo di partenza e magari agli esercizi svolti durante la sua prima lettura, per verificare i passi in avanti che si sono compiuti in consapevolezza e comprensione globale, con il passaggio alla prova del teatro.
Nessun testo è troppo alto per il teatro della scuola, a partire dai classici; ma la condizione ineludibile è che su di esso si riesca a intervenire con un trattamento specialistico, che richiede la professionalità docente pura (per conoscere il livello di preparazione generale dei ragazzi, le loro possibilità, le caratteristiche del loro apprendimento, le potenzialità del testo prescelto e le motivazioni della scelta) unita sempre a competenze di drammatizzazione, almeno di base, che l’insegnante deve possedere o costruirsi e che la presenza del formatore teatrale può sostenere e potenziare.
Il passaggio dalla lettura alla drammatizzazione può svolgersi su due strade, l’una rigorosamente legata al testo di partenza, l’altra più orientata fin dall’inizio verso la scena teatrale.
1° strada:
Potremmo partire dalla lettura di un testo breve, che può offrire il vantaggio di assicurare al laboratorio teatrale inizio e finale certi. Su di esso si potranno fare le classiche prove di lettura, dopodiché si passerà alla creazione di personaggi desumibili dal senso generale, alla definizione dei toni, dei ritmi e finalmente dell’abbozzo di copione. Il testo prescelto è un racconto di Gianni Rodari che è particolarmente agile e duttile per adattamenti.
Eccolo:
C’era una volta un’acca. Era una povera Acca da poco: valeva un’acca, e lo sapeva. Perciò non montava in superbia, restava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle sue compagne. Esse le dicevano:
E così, saresti anche tu una lettera dell’alfabeto? Con quella faccia?
Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?
Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all’estero ci sono paesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura.
“Voglio andare in Germania, – pensava l’Acca, quand’era più triste del solito. – Mi hanno detto che lassù le Acca sono importantissime”.
Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza dire né uno né due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise in viaggio con l’autostop.
Apriti cielo! Quel che successe da un momento all’altro, a causa di quella fuga, non si può nemmeno descrivere.
Le chiese, rimaste senz’acca, crollarono come sotto i bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre, aranciate e granatine di ghiaccio un po’ dappertutto.
In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini: levargli l’acca, era stato come levargli le ali.
Le chiavi non aprivano più, e chi era rimasto fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all’aperto.
Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno delle casseruole.
Non vi dico il Chianti, senz’acca, che sapore disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perché i bicchieri, diventati “biccieri”, schiattavano in mille pezzi.
Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Acca sparirono: il “ciodo” si squagliò sotto il martello peggio che se fosse stato di burro.
La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non un solo gallo riuscì a fare chicchirichi’: facevano tutti ciccirici, e pareva che starnutissero. Si temette un’epidemia.
Cominciò una gran caccia all’uomo, anzi, scusate, all’Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di raddoppiare la vigilanza. L’Acca fu scoperta nelle vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare clandestinamente in Austria, perché non aveva passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: Resti con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di Dante Alighieri. Guardi, qui c’è una petizione degli abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare. E questa è una lettera del capo-stazione di Chiusi-Chianciano, che senza di lei. diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano: sarebbe una degradazione.
L’Acca era di buon cuore, ve l’ho già detto. È rimasta, con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto, altrimenti ci pianterà in asso un’altra volta.
Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con gli “occiali” senz’acca non ci vedo da qui a lì.
Come si può notare, il testo propone alcuni personaggi, ma ne lascia supporre molti altri. Noi consigliamo, per esempio, di dare un volto alle varie lettere dell’alfabeto, di creare una scena specifica per la seconda parte, che è narrata ma si presterebbe molto a essere rappresentata con voci movimenti epiccole gag. La regola è quella di lasciare al narrato quantità ridotte di testo: il ruolo di narratore non è facile e nemmeno gradito. Meglio dargli la possibilità di essere veloce e di confondersi con gli altri personaggi.
2° strada:
Il romanzo di Collodi, Pinocchio, è un esempio di come il passaggio dalla lettura espressiva alla messa in scena sia talvolta naturale. Evocaimmagini concrete, la presenza frequente del dialogo lo avvicina al genere drammaturgico, la voce del narratore spesso è facilmente traducibilein indicazioni di spazio e movimento.
Nel brano selezionato (dal Cap. XII) abbiamo una conferma di tale versatilità. Ipotizziamo, pertanto, che alcuni docenti lo abbiano messo al centro della propria sperimentazione didattica che si svolgerà in classi separate e mettano a punto alcuni strumenti operativi da condividere nel “patto formativo”.
La nostra indagine si potrebbe soffermare sul seguente passo:
Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi che se ne andavano là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe, che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe.
Balza immediatamente all’attenzione il rilievo dei movimenti, in particolare del tipo di passo dei personaggi in azione. Proprio questi possono diventare i segnali comuni da assumere come cifra condivisa in un lavoro a più mani, studiato con obiettivi comuni da insegnanti diversi.
Basterà lavorare sulle varie camminate, a varie velocità, sia su singoli alunni, sia su gruppetti i cui membri possano interagire, aiutandosi e ricercando ritmi e velocità plausibili.
Una volta individuata l’unità di metodo condivisa, questa faciliterà l’omogeneità della messa in scena.
Proviamo a seguire passo passo un progetto di plesso, realizzabile in varie classi ma senza possibilità di attivare un unico laboratorio.
La situazione di partenza
Un team di insegnanti decide di impostare l’attività teatrale su Pinocchio perchéla storia del burattino di Collodi risponde bene a varie finalità formative.
Gli insegnanti lavoreranno nelle proprie classi perché per ragioni logistiche non è praticabile una elaborazione del testo a classi riunite, né è possibile condurre un laboratorio teatrale che riunisca i vari gruppi.
È possibile, invece, una performance finale dove i vari gruppi si susseguiranno sul palco per rappresentare la storia. È previsto l’intervento di un esperto teatrale nella fase finale dell’allestimento. Disporrà di un paio di ore per classe.
Focus sui problemi
Come dare coerenza ad un lavoro che non può essere impostato sulla realizzazione di laboratori collettivi?
È possibile rendere omogeneo il lavoro di classi che non si incontrano mai oggettivamente e far sì che la messa in scena finale sia coerente sul piano del racconto e dell’interpretazione?
Possibile soluzione
Ci sono varie possibilità di collegare i lavori di classe attraverso la condivisione da parte dei docenti di linee metodologiche e strumenti specifici. Si tratta di instaurare un Patto formativo.
Oltre a questo è necessario che i docenti verifichino continuamente i risultati scambiandosi informazioni.
Questa soluzione richiede un grande affiatamento tra colleghi, apertura alla comunicazione, voglia di sperimentare in team le strategie didattiche anche per renderle patrimonio comune.
Azioni proposte
– Divisione della storia in tante parti quante sono le classi del progetto. Ogni classe leggerà la propria, adatterà il testo, lo metterà in scena. L’estensione dei quattro copioni potrà essere regolata da una misura orientativa comune (es: un certo numero di pagine per arrivare a un tempo di messa in scena di X minuti per classe).
– Condivisione delle linee metodologiche fondamentali e degli strumenti di lavoro, relativi a tutte le fasi del progetto (lettura, trattamento del testo, formazione del gruppo, preparazione alla messa in scena).
– Verifica continua dei risultati, in modo da poter intervenire con integrazioni e correzioni.
– Colloquio dei docenti con l’esperto di teatro sul percorso realizzato, sulle criticità e sulla opportunità di sfruttare il suo intervento per rendere quanto più omogenea possibile la performance. (questa richiesta è del tutto adeguata al ruolo del formatore teatrale e proporzionata al tempo che avrà a disposizione).
N.B. Ogni classe leggerà necessariamente tutta la storia di Pinocchio, ma dovrà accettare di approfondire l’analisi di una sola parte per la messa in scena.
A questo proposito, si può prevedere che gli alunni risultino poco contenti. Chi si è appassionato della storia, infatti, non rinuncia a cuor leggero a una delle sue parti.
Si può pensare di risolvere il problema con un lavoro mirato a coinvolgere gli alunni, almeno nel lavoro di classe, in una breve performance che affianchi quella sulle parti scelte.
Ad esempio: la classe D rappresenterà l’ultima delle 4 parti in cui è stata divisa la storia (Paese dei Balocchi, Pinocchio nel ventre del pescecane, metamorfosi finale da burattino a bambino vero). Parallelamente creerà una scena in cui personaggi di invenzione potranno rapidamente presentare le parti mancanti (anche usando le introduzioni ai capitoli che Collodi stesso ha scritto) (proposta: la classe finge di presentare al pubblico un dramma a puntate e prima di mandare in scena l’ultima, ricorda le precedenti).