Insegnare filosofia negli Istituti tecnici è una buona idea?

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Insegnare filosofia negli Istituti Tecnici è una cosa buona, ma può essere fatto in pessimi modi. Immaginare gli scenari peggiori può aiutare a capire cosa andrebbe fatto o, almeno, mette sotto gli occhi cosa dovrebbe assolutamente essere evitato.

Nell’aprile 2019, insieme al collega e amico Marco Ferrari facemmo uscire il Manifesto per la filosofia, vi si chiedeva che la filosofia avesse nell’esame di Stato un ruolo meno marginale di quello che al momento aveva, che fosse introdotta negli Istituti tecnici e che fosse valorizzata nella formazione universitaria e nelle pratiche formative professionali del mondo del lavoro. Il manifesto fu subito sostenuto con entusiasmo da docenti universitari di filosofia, come c’era da aspettarsi, ma anche di altri ambiti accademici, da importanti nomi del mondo imprenditoriale, dai docenti della secondaria superiore e da moltissimi altri. In breve tempo e senza un effettivo sforzo da parte nostra nel raccogliere le adesioni si aggiunsero alcune decine di migliaia di persone che firmarono e sostennero il nostro Manifesto.

In questi giorni, si sente dire che il Ministro intende inserire l’insegnamento della filosofia nel curriculum degli Istituti tecnici. Si tratta di una notizia bella, che però è sempre meglio guardare con prudente scetticismo, per non illudersi. Essa di per sé, in ogni caso, non può che farmi molto piacere. Come tutti i bei sogni che stanno per realizzarsi, mi danno però da pensare le modalità con cui si potrebbe inserire la filosofia negli Istituti Tecnici. Infatti, una buona idea messa malamente in atto può non solo perdere in efficacia ma anche, addirittura, risultare controproducente. Provo perciò a immaginare degli scenari negativi, ritenendo che se l’utopia ci può guidare, uno scenario distopico può motivarci molto a evitare accuratamente che si realizzi ciò che non vogliamo.

Tutto prende allora inizio dal quesito pratico: d’accordo, insegniamo filosofia negli Istituti Tecnici, ma cosa insegniamo esattamente? Si noti che non vuole essere un quesito contenutistico, del tipo: «certo, dobbiamo ammettere Platone, della cui opera tutto il resto è commento, se Whitehead ha ragione, ma Kant ce lo mettiamo nel programma? E Pascal? E Rawls?». Né vuole essere il solito quesito metodologico: «insegnamento storico, oppure per problemi?». Si tratta di quesiti che hanno una loro ragione e importanza, ma non sono, mi sembra, ciò da cui si dovrebbe prendere le mosse. La domanda urgente riguarda, piuttosto, che cosa vogliamo che offra la filosofia a uno studente dell’Istituto Tecnico, e a tal fine, appunto, che cosa gli insegneremo esattamente. Proviamo dunque a esplorare tre scenari che non vorrei vedere realizzarsi.

Primo – La filosofia come ricostruzione storico-filologica di ciò che i filosofi hanno detto

Questo scenario, per nulla entusiasmante nemmeno se realizzato come orizzonte esclusivo nei licei, mi pare sarebbe particolarmente nefasto se messo in atto in un Istituto Tecnico, ove per formazione e inclinazione dei discenti questo genere di approccio non avrebbe fortuna e anzi cadrebbe, nelle classi più solerti e dedicate, in un noioso e sterile gioco di memorizzazione di nomi, date, titoli di opere, idee riproposte in sintesi tanto veloci e semplificate da risultare un po’ sciocche e certamente vane. La filosofia diventerebbe allora quella “filastrocca di opinioni” tanto paventata come esito dell’insegnamento della disciplina da chi ama davvero la filosofia.

Secondo – La filosofia come museo dei grandi pensatori

In questo secondo scenario, meno sterile del precedente, si cerca di portare a conoscere il classico e le sue idee. Lo si fa per mettere lo studente in contatto con la tradizione e rendere il discente più consapevole dei problemi dell’umano e della cultura cui appartiene. Essere radicati nella propria tradizione è indubbiamente importante per ogni cittadino. L’intento perciò è nobile, ma ancora una volta, a mio parere, l’esito della pratica rischia di essere nel complesso sterile. Può non valere la pena di impiegare decine di ore all’anno per questo, sottraendole ad altro. Infatti, il fatto di sapere che, per esempio, la monade leibniziana non ha realtà materiale, che il cogito cartesiano supera il dubbio iperbolico, o che l’epoché è un momento fondamentale della fenomenologia husserliana, non rende migliori come uomini, né fornisce strumenti per svolgere meglio, un giorno, la propria professione (a meno che non sia di insegnamento della filosofia o di ricerca in quest’ambito).

Terzo – La filosofia supplente laica delle agenzie formative del passato

In un’epoca nella quale si sente l’esigenza di formare a scuola i giovani alla cittadinanza e ai valori della convivenza civile, si può pensare di usare la filosofia per formare il cittadino, passando per Hobbes, Locke e compagni, così da riflettere sul contrattualismo e le sue forme, per riflettere sulla tolleranza, per insegnare la regola aurea e, con Kant, il senso del dovere e il valore della legge morale. Anche in questo scenario dell’insegnamento filosofico l’intento sarebbe buono; inoltre, diversamente da quelli precedenti, l’esito sarebbe più chiaramente utile. Si tratterebbe però di usare la filosofia come un’educazione alla cittadinanza, magari di alto profilo, con tutti gli optional culturali del caso, ma si tratterebbe pur sempre di fare qualcos’altro. A quel punto varrebbe la pena di essere più trasparenti e di dare del tempo in più all’insegnamento di educazione civica, magari con specifiche indicazioni per quanto riguarda lo svolgimento del programma.

Naturalmente, lo studente che studia filosofia impara nozioni di storia della filosofia, entra a contatto con grandi classici del pensiero e si forma sul piano etico, sociale ecc. Però si tratta di esiti collaterali. Se invece, ciascuno di essi diventasse il focus dell’insegnamento filosofico, l’introduzione della filosofia negli Istituti Tecnici sarebbe una grande occasione mancata.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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