Da ragazzo ho sentito spesso raccontare una barzelletta nella quale il protagonista – un tale sciur Brambilla (ma credo che al di fuori della Lombardia il cognome abbia avuto numerose varianti…) – era pressoché ovunque, riconosciuto e onorato da tutti. Tant’è che, mostrando in giro una sua foto scattata accanto al papa in Piazza San Pietro, qualcuno esclamava: «Chi è quel signore vestito di bianco accanto al Brambilla?».
Britannico, mondano e giramondo
Qualcosa di simile ho pensato leggendo di recente un libro che non mi pare azzardato definire “straordinario” nel senso letterale del termine; si tratta di una curata, elegante, edizione (con traduzione di Aridea Fezzi Price) di un’opera che il grande storico britannico Steve Runciman pubblicò nel 1991 e cioè: Alfabeto del viaggiatore. Memorie, Edizione Settecolori, Roma 2024. Infatti Runciman (1903-2000), che durante la sua quasi centenaria vita ha viaggiato tantissimo, in essa racconta – seguendo come fil rouge le lettere dell’alfabeto (dalla A di Athos, monte alla Z di Zion, cioè Sion) – alcune della sue più interessanti peregrinazioni in giro per il mondo, che sono sempre state accompagnate da frequentazioni di altissimo livello sociale e culturale. Sembra infatti che, ovunque andasse, regine (nessuna affascinante – a suo dire – come Maria di Romania!), principi, sceicchi, alti prelati, intellettuali di grande notorietà e perfino le star di Hollywood facessero a gara per averlo come ospite, se è vero che nella Los Angeles degli anni Cinquanta lo troviamo a cena con Katherine Hepburn e Spencer Tracey oppure con Laurence Olivier e Sophia Loren…
Un uomo benestante, uno studioso indipendente

D’altronde Steven era figlio di un Ministro di Sua Maestà britannica, a sua volta figlio di un magnate che sistemò economicamente la famiglia per più generazioni. Ciò spiega le vacanze estive in Francia fatte da adolescente insieme con la sorella a bordo di una Rolls Royce guidata da un fidatissimo autista. E spiega anche perché il Nostro, già compagno di scuola di George Orwell, dopo avere studiato a Cambridge e avere insegnato qualche anno in questa Università e in quella di Istanbul, di fatto agì sempre come studioso indipendente, producendo – libero da preoccupazioni finanziarie – saggi di storia medievale (e specialmente bizantina) tra i maggiori del Novecento. Certo, fu associato a numerose accademie e fu per qualche tempo anche conservatore del British Museum, ma non lo possiamo legare – come avviene invece per molti studiosi – a una sola istituzione culturale o a una “corrente” (o “cordata”) accademica; e questo lo si può comprendere anche dalla peculiarità dei suoi studi, che – pur se rigorosissimi – mostrano un’estrema libertà di giudizio e un raro anticonformismo metodologico, come ebbi modo di notare leggendo anni fa il suo insuperabile La caduta di Costantinopoli, che egli scrisse nel 1965.
Poiché è impossibile trattare qui tutte le località menzionate nel volume (tra queste anche il Giappone, la Cina, l’Australia, la Thailandia, le Filippine…) mi soffermerò solo su due, che ho scelto non solo in quanto (anche) da me molto amate, ma anche perché – da bizantinista qual era – Runciman ne ha scritto con particolare trasporto: si tratta di Istanbul (che – quando era ancora Bisanzio-Costantinopoli – era stata la plurisecolare capitale dell’Impero d’Oriente) e di Mistrà e Monemvasia, ancor oggi simbolo della Grecia bizantina.
A Istanbul, tra studiosi, nobili, e autorità ecclesiastiche
A Istanbul (che già aveva visitato prima alcune volte per ragioni di studio) il poliglotta Runciman giunse durante la Seconda guerra mondiale per lavorare, quale addetto stampa, nel servizio diplomatico di Sua Maestà britannica, e subito sfuggì per miracolo all’attentato nazista del 1941 che sventrò il celebre Hotel Pera Palace provocando morti e feriti; poi vi restò come docente di Arte e Storia bizantina nella locale Università fino al termine del conflitto, trovando come collega nientemeno che il grande Ronald Syme.

Frequentava – ovviamente – i membri più in vista della società locale, pur con la prudenza che la presenza di spie filo-tedesche richiedeva: tra loro, oltre a studiosi e diplomatici, c’erano la principessa rumena in esilio Marthe Bibesco, il principe Zeid di Giordania e il Legato pontificio Monsignor Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Ed è con un certo compiacimento (chissà se sarà poi vero?) che lo storico afferma che – da pontefice – Roncalli chiedesse spesso a un comune amico perché Runciman non lo andasse mai a trovare… impossibile allora, per me, non richiamare alla mente la già citata barzelletta del sciur Brambilla con accanto l’uomo vestito di bianco!
Ma il racconto non finisce qui e merita almeno un cenno il fatto che il Nostro sia divenuto a Istanbul già negli anni Quaranta «Derviscio rotante onorario» (sic!), nonché, durante una delle successive soste in questa città, nel 1969, nientemeno che «Grande Oratore della Grande Chiesa» per nomina diretta del Patriarca di Costantinopoli, che lo incluse come laico nel Sacro Sinodo del Patriarcato.
La dedica di una via a Mistrà

Non meno intense le pagine che Runciman dedica a Mistrà e Monemvasia, nel Peloponneso, i maggiori centri del Principato di Morea. Come si può immaginare, lo studioso si è recato più volte in questi “santuari” di storia bizantina (anche se ha rigorosamente evitato la sua amata Grecia durante il regime dei colonnelli: era uomo dalla schiena dritta!), ma nessuna visita è a mio avviso più interessante di quella del 1976: infatti in quella circostanza a Mistrà, con tanto di presenza del Ministro della Cultura ellenico Constantine Typanis (ovviamente amico dello storico, in quanto studioso di letteratura greca), è stata inaugurata una via a suo nome. Possiamo solo immaginare la sua soddisfazione nel vedere il proprio nome sui muri di quelle strade e di quegli edifici che tanto aveva studiato!

Bellissime anche le pagine dedicate alla straordinaria vicenda di Monemvasia, le cui case medievali – di struggente bellezza – sono state a poco a poco sottratte alla rovina a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso per opera di un brillante architetto greco che aveva studiato a Londra, Alexander Kalligas, e della moglie Julia, archeologa. Di tutto questo lungo iter Runciman è stato vigile testimone, e mi piace allora citare una frase del quasi novantenne storico nella quale (si parva licet, davvero) chi scrive su queste colonne (che ha però qualche anno in meno…) si riconosce appieno: «Nonostante tutta la concorrenza, è la Morea che conserva il mio affetto, e nella Morea Monemvasia e, ancor di più, Mistrà. Spero di poterle visitare di nuovo».
Molte altre mete…
Mentre chiudo questo articolo mi dico che dovrei menzionare almeno qualche altra località meta di viaggio (incredibile il racconto dello sviluppo economico dei Paesi del Golfo Persico prima e dopo le scoperte del petrolio, o quello delle sontuose vincite dell’autore alle Slot machine di Las Vegas…) ma è meglio che la finisca qui, per non togliere ai lettori la sorpresa di farsi guidare nella lettura del suo Alfabeto direttamente dallo stesso Runciman, personaggio che, come ha scritto il giornalista del Financial Times Ben Judah, «se non fosse realmente esistito, qualcuno, magari Evelyn Waugh, lo avrebbe inventato. Dalla Prima guerra mondiale alla fine del XX secolo, conosceva tutti, sembrava sapere tutto e brillava in ogni cocktail party, da Bucarest a Bloomsbury, che giudicasse degno della sua frequentazione».