Seduti in giardino, discutiamo a ruota libera sulle politiche economiche e sociali. Il giardino è un bene comune di proprietà dell’Azienda Sanitaria Locale. Sarebbe un bene infruttuoso, abbandonato. Attraverso un contratto di affitto e l’iniziativa privata d’un gruppo organizzato di persone questo bene comune è riconsegnato alla comunità, che in questo modo si prende cura di sé.
Sono arrivato alla fattoria sociale “Fuori di Zucca” un mattino di maggio, accompagnato da Giuliano, il presidente del consorzio NCO. Un perito agrario ex animatore dei gruppi di Azione Cattolica, proprio come me. Guida attraverso l’enorme area urbana e periurbana che da Napoli conduce, senza soluzione di continuità, ad Aversa, in provincia di Caserta. Casoria, Afragola, Frattamaggiore, Sant’Antimo, Sant’Arpino, fin dentro l’ex Ospedale Psichiatrico Civile di Aversa, un parco di diciassette ettari nel centro della città, una grande area verde rimasta incontaminata dai rifiuti tossici e tuttavia costellata di una dozzina di edifici (gli ex padiglioni) in condizioni di estremo degrado.
La Casa dei folli del “Regno di Napoli”, inaugurata da Gioacchino Murat l’11 marzo 1813 (duecento anni appena compiuti), era nata dall’accorpamento e dal rimaneggiamento di conventi e chiese ancora oggi visibili in tutto il loro splendido degrado. Con Fabio, nel tardo pomeriggio, ho avuto modo di passeggiare nei chiostri, rasente ai muri per evitare i rovi e le ortiche, accolto da zaffate di carogna, con lo sguardo allibito. Ma al mattino ho attraversato in auto il parco fino alla fattoria, che occupa quattro ettari concessi in affitto dall’ASL alla cooperativa sociale “Un fiore per la vita”. Si trova alla fine della strada, nell’angolo a nord ovest del quadrilatero irregolare del parco. Ci accolgono le grida soffuse di alcune decine di bambini della scuola primaria che, accompagnati dalle maestre e dagli educatori della fattoria didattica, lavorano sotto una grande tettoia di legno, ai margini del prato.
Senza salutare, andiamo verso il capanno degli attrezzi, in direzione dell’azienda agricola vera e propria. Ci fanno strada le galline, che razzolano libere tra le gambe di due asine docilissime. Nel campo intravedo le cipolle, le melanzane, i piselli. Una serra ancora in via di allestimento dovrà ospitare un laboratorio per la didattica. Le cassette con le piantine di zucca sono arrivate da poco e Giuliano predispone i lavori necessari alla piantagione. Intanto, uno a uno, vengo presentato alla squadra dei lavoratori agricoli: Giuseppe, Mauro, Giorgio e Giovanni. Sonia, la cuoca, lavora invece all’interno dell’edificio: una struttura a un piano, a ferro di cavallo, che ospita la cucina, la sala da pranzo, le aule didattiche, il negozio e gli uffici, in cui sono impegnati Maurizio, Pasquale, Fabio e Valeria, che sono impegnati a portare avanti anche le altre attività della cooperativa: il catering, la ristorazione, l’organizzazione di eventi e di attività didattiche.
È un buon esempio di agricoltura multifunzionale, che integra attività produttive (agricoltura biologica), commercializzazione diretta, servizi ristorativi nei giorni festivi, servizi di catering, servizi educativi per le scuole del territorio durante l’intero arco dell’anno, servizi sociali per il reinserimento lavorativo di persone momentaneamente in difficoltà.
Inoltre, la fattoria “Fuori di Zucca”, che fa parte sia del consorzio NCO, sia del consorzio Co.Re., Cooperazione e Reciprocità, è un eccellente caso di integrazione tra l’impresa agricola, i servizi sociosanitari locali e le strutture del terzo settore del territorio. È in questo ambiente che nasce l’idea dei “progetti terapeutico riabilitativi individualizzati sostenuti da budget di salute”, una modalità di lavoro sociale adottata dalla Regione Campania al fine di garantire il protagonismo della comunità civile “aiutandola nella realizzazione di un percorso di auto-organizzazione e di auto-determinazione fondato sui valori dello sviluppo umano, della coesione sociale e del bene comune”, come mi spiega Giuseppe, il vicepresidente del consorzio NCO, illustrandomi le Linee guida regionali per gli interventi sociosanitari integrati finalizzati al welfare comunitario.
Seduto in giardino, dopo pranzo, con Giuliano e Mario, il fondatore del consorzio Co.Re., discutiamo a ruota libera sulle politiche economiche e sociali. Sono anni, questi ultimi, di continua mortificazione del ruolo della cooperazione sociale e dell’associazionismo. Prevalgono i modelli politici e economici che si basano sull’eliminazione della relazione. Prevalgono modelli economici che non tengono conto del territorio e che, quindi, lo consumano. Noi sediamo in un giardino che è, di fatto, un bene comune di proprietà dell’Azienda Sanitaria Locale. Sarebbe un bene infruttuoso, abbandonato. Attraverso un contratto di affitto e l’iniziativa privata di un gruppo organizzato di persone questo bene comune è riconsegnato alla comunità, che in questo modo si prende cura di sé.
Si sta bene in fattoria. Anche gli amministrativi qui lavorano volentieri, lontani dal caos cittadino. Da qui si gestisce anche il lavoro delle mense degli aeroporti di Napoli e di Catania. E la sera si torna a casa con una busta di piselli e una buona scorta di energia.
[Tutte le immagini fanno parte di un progetto fotografico di Mauro Pagnano, visibile qui.]
N.d.R. Questo brano è tratto da Vado a vivere in campagna: un saggio narrativo, in cui il nostro autore intreccia reportage sugli orti condivisi di Parigi, sulle fattorie sociali di Aversa o sulle iniziative di comunicazione a favore dei contadini svizzeri, racconti autobiografici sulla propria infanzia in campagna e sugli studi all’Istituto Tecnico Agrario di Grosseto, letture di poesie e racconti dedicati alla vita in campagna. Ecco come lo stesso autore racconta l’idea e lo svolgimento del libro:
Il libro è articolato in tre parti.
Nella prima parte, intitolata “Hanno portato la campagna in città”, ho cercato di prendere in esame il fenomeno degli orti urbani nelle sue varie forme, a cominciare dai giardini condivisi di Parigi, per approdare agli orti sul web e, infine, a nostrani orti sociali. È un excursus utile, spero, a comprendere i motivi profondi del rinnovato interesse per l’agricoltura, alla quale dedico più specificamente la parte intitolata “Una volta era tutta campagna”, in cui illustro alcuni aspetti del lavoro in campagna. Mi sono divertito a raccontare l’esperienza svizzera accanto a quella campana, cercando di illustrare il cambiamento che ha portato ad abbandonare l’idea dell’agricoltura come fonte di cibo, relegata nel settore primario della produzione, per sposare invece l’idea dell’agricoltura “multifunzionale”. Un’agricoltura, quindi, che si apre al mondo, si lascia contaminare e, gradualmente, viene riconosciuta come un fenomeno complesso e fondamentale alla manutenzione del territorio e alla costruzione di una società del benessere.
La terza parte, “Ascoltare, osservare, toccare, annusare, assaporare, collaborare”, si occupa di ortoterapia, di terapia assistita dagli animali, di giardini che curano. Qui il punto di vista adottato è quello del bisogno della persona e della risposta che può dare alla persona l’agricoltura, per concludere che solo la debolezza può aiutare l’agricoltura a recuperare la sua dimensione umana.
Infine, visto l’approccio narrativo usato per l’ideazione e la stesura di questo saggio, e dato che me la cavo meglio con le storie che con la zappa, ho deciso di concludere con una poesia e di inserire dei “contenuti speciali”: “Letture, ascolti, visioni. 10 opere per trovare un senso alla campagna”.
La casa editrice Effequ e Simone Giusti vi invitano alla presentazione del libro VADO A VIVERE IN CAMPAGNA. Fenomenologia delle fattorie sociali, venerdì 18 ottobre 2013 al CEDAV – Archivio delle Arti Visive di Grosseto, in via Mazzini 99. Canzoni e musica di Filippo Gatti con Matteo D’Incà.