In primo luogo, sostieni che proprio io che ho rifiutato che oggi si possa sostenere che la filosofia sia definibile come un conoscere le cause, in fondo, mi sono interrogato “se fosse la filosofia a causare la meraviglia”. Aggiungi poi una osservazione fine su come intendere le cause (naturalisticamente o meno) che qui forse posso tralasciare senza danno. Insomma, lasci capire, io sarei caduto in una contraddizione pragmatica: enuncio una tesi (oggi non si fa filosofia cercando le cause) e faccio il contrario (mi interrogo sulle cause, identificando la filosofia come causa della meraviglia). L’argomento è brillante, semplice, formulato in maniera fulminea, ingegnoso, colpisce. Soprattutto, mi ha divertito. Sembrerebbe che, in poche parole, di passaggio, ostentando quasi disinteresse, tu riesca a liquidare i miei sforzi di una pagina. Peccato che il tuo argomento non si fondi sui fatti. A ben vedere, io non sono partito, come sostieni tu, da un quesito sulle cause (“cosa causa cosa?”), anche se il titolo del mio pezzo sembra suggerirlo (“E se fosse la filosofia a causare la meraviglia?”). Si deve infatti ricordare che la funzione dei titoli è di catturare il lettore, introducendolo al problema. Il titolo è una scorciatoia verso la tesi finale. Per capire il mio percorso argomentativo si deve, piuttosto, andare al testo: questo mostra che prendo le mosse da un raffronto tra una tesi famosa di Aristotele, adottata da tanti come un mantra, e una riflessione che conduco sulla mia esperienza. Insomma, la filosofia come tradizione storica e la filosofia come riflessione sulla mia esperienza mi davano una sorta di cortocircuito che mi ha portato all’esigenza di una spiegazione. Dunque, per accidens, il mio è stato un discorso delle cause, è vero, ma non una ricerca sulle cause. Esso piuttosto e prima di tutto è stato un confronto tra filosofie, un confronto che porta a un rompicapo meraviglioso alla cui origine però, ripeto, non c’è una ricerca sulle cause e, peraltro, neanche la meraviglia, bensì lei, proprio lei: la filosofia. La coerenza del mio testo è dunque salva. Al di là delle piccole cose che faccio nel mio testo, risollevando lo sguardo alla letteratura filosofica di questi ultimi centotredici anni, resta vero che tra ricerche fenomenologiche, analisi linguistiche, percorsi ermeneutici, esegesi dei classici, decostruzioni e discussioni sui paradigmi ontologici si è mostrato in molti modi che la filosofia ha tante cose importanti e urgenti da dire e che se un discorso sulle cause finisce per darsi, ciò avviene di rado e comunque per accidens e di sicuro non a partire dall’essenza dell’impresa filosofica.
Il secondo degli appunti che mi muovi è molto più complesso e, nella tua discussione, ha a che fare con l’antropologia aristotelica. Io lascerei cadere quest’ultima, che sovraccarica di teoria (dubbia, complessa e controversa) un testo – quello della Metafisica – che di per sé è snello, lucido e condotto nella forma di una fenomenologia dei progressi del conoscere. Le mie considerazioni non sono un atto d’accusa alla “tradizione aristotelica”, per carità! Esse, più umilmente, denunciano l’insostenibilità di una tesi, quella cioè secondo cui la meraviglia giocherebbe un ruolo causale determinante e, in subordine, che dalla meraviglia verrebbe la filosofia. Si tratta di una posizione presente nel testo aristotelico, mi pare. Prendere atto delle ragioni che portano a respingere la tesi aristotelica aiuta a liberarsi della tesi romantica, che peraltro io stesso ho abbracciato a lungo, di un’origine della filosofia dalla meraviglia. Si tratta di una tesi che ha portato nei secoli a un nesso improprio tra ignoranza-meraviglia, da un lato, e filosofia-conoscenza, dall’altro. Mi pare che ne siano nati altri errori e spero di aver qui modo prossimamente di illustrarlo, discutendone alcune rilevanti esemplificazioni.