«Io posso abbattere la malizia degli uomini che mi offendono. O re, se ti preme vivere, ascoltami o la mia spada ti trafiggerà». Non molte persone avrebbero il coraggio di rivolgere una simile minaccia a un imperatore, ma lo stupore aumenta ancora di più se e a metterle nero su bianco in una lettera non è un condottiero temerario o un vescovo moralizzatore, ma una saggia monaca tedesca. Il periodo è quello della lotta per le investiture e Ildegarda di Bingen scrive queste parole di fuoco rivolgendosi a Federico Barbarossa, con cui aveva da tempo uno scambio epistolare, dicendosi portatrice di un messaggio divino dopo che l’imperatore aveva osato nominare per la seconda volta un antipapa.
Ildegarda non è stata una semplice monaca: siamo di fronte a una donna eccezionale che nella sua lunga vita ha fatto di tutto (è stata badessa, scrittrice, filosofa, compositrice e veggente), sempre guidata da un’insaziabile curiosità intellettuale con cui ha nutrito il suo talento poliedrico, riuscendo così a eccellere in vari campi del sapere.
Ma facciamo un passo indietro e ripartiamo dal 1098, anche se la data è incerta, quando Ildegarda (il cui nome significa “colei che è audace in battaglia”) nasce in una famiglia appartenente alla piccola nobiltà della Renania. Fin da piccola è di salute cagionevole, ma già in giovanissima età mostra un’intelligenza straordinaria e una profonda spiritualità. A soli otto anni, i genitori la affidano al monastero benedettino di Disibodenberg, dove ha inizio la sua formazione monastica sotto la guida accorta di Jutta di Sponheim, di pochi anni più grande di lei. Ildegarda cresce in questa comunità religiosa, e nel 1136, alla morte di Jutta, ne eredita il ruolo di magistra che comporta funzioni simili a quelle di una priora o di una badessa.
La vita della monaca tedesca è guidata dalla regola benedettina, riassunta dal famoso motto ora et labora (cioè “prega e lavora”), e in questa cornice si inseriscono le sue prime composizioni poetico-musicali. Si tratta di una grande varietà di canti per voci femminili, composti per essere usati durante le funzioni religiose, e la commedia musicale Ordo Virtutum, primo esempio di dramma liturgico e forse la più antica commedia morale giunta fino a noi. A oggi si conoscono circa 70 composizioni ildegardiane, ognuna con il proprio testo poetico originale, il che ne fa uno dei più vasti repertori musicali medievali.
Oltre alla musica, Ildegarda si appassiona anche agli studi di ambito medico-scientifico, che scaturiscono sia dalle letture nella ricca biblioteca del monastero sia dall’esperienza diretta nell’infermeria o nell’hortus conclusus (“giardino recintato”, ovvero l’antesignano degli orti botanici): una piccola area verde circondata da mura, dove si coltivano piante a scopo alimentare o medicinale. Man mano che la giovane monaca acquisisce abilità pratiche nella diagnosi e nella cura, combina il trattamento fisico delle malattie con metodi incentrati su una guarigione spirituale, che forse oggi definiremmo “olistici”. In breve tempo Ildegarda diviene famosa per le sue capacità di guarigione ottenuta utilizzando erbe, tinture e anche pietre preziose. Le sue conoscenze in questi ambiti sono raccolte nei due volumi Physica, un testo sulle scienze naturali, e Causae et Curae, un trattato di medicina sulle cause e i rimedi per varie malattie. In entrambi i testi Ildegarda descrive con grande acume il mondo naturale che la circonda, compreso il cosmo, gli animali, le piante e i minerali.
Visto il numero sempre crescente di aspiranti allieve che bussano al suo convento, decide di separarsi dal complesso monastico maschile di Disibodenberg trasferendo la comunità di monache vicino a Bingen, sul Reno. Attorno al 1150 Ildegarda fonda il monastero di Rupertsberg, dove trascorrerà il resto della sua vita, e agli inizi del decennio successivo avvia anche un altro monastero a Eibingen sulla riva opposta del fiume.
Nel frattempo, la sua fama si accresce, e difatti non svolge solo le funzioni di badessa, ma assume sempre più un ruolo di spicco nella vita pubblica dell’epoca.
Nel suo vasto epistolario, composto da quasi 400 lettere che ne fanno quindi uno dei più ricchi giunti fino a noi dal Medioevo, Ildegarda scrive a personaggi del calibro di papa Eugenio III, del teologo Bernardo di Chiaravalle, della regina Eleonora d’Aquitania o dell’imperatore Federico Barbarossa (anche se dopo quell’ultima lettera infuocata il rapporto si interromperà). Questa fitta corrispondenza, oltre che ad alti esponenti del clero e dell’aristocrazia, è rivolta anche a molte comunità monastiche, a laici e laiche, dimostrando così il carisma della badessa di Bingen come consigliera spirituale e intellettuale. L’epistolario ildegardiano comprende anche i testi di molti dei suoi sermoni: infatti, a partire dal 1161 si impegna, nonostante l’età avanzata, in quattro campagne di predicazione nelle città della Renania e della Svevia. Un fatto quasi inaudito all’epoca, perché le donne non potevano predicare, ma la fama della monaca tedesca era tale da farle ottenere un’eccezione alla regola. Non per niente i suoi contemporanei le attribuirono vari epiteti, come quello di “profetessa teutonica” e di “Sibilla del Reno”, per quelle visioni mistiche che l’accompagnavano fin da bambina.
Il nome di Ildegarda è ancora oggi legato alle tante opere che coprono un ampio spettro di generi, temi e stili molto diversi, facendone la più ampia raccolta scritta da una donna del Medioevo. Questo corpus dimostra tutta la vastità della sua cultura teologica, musicale e naturalistica, ma fra i suoi testi più noti c’è la cosiddetta “trilogia profetica”, ovvero tre grandi volumi di teologia visionaria (Scivias, Liber vite meritorum e Liber divinorum operum). In questi manoscritti, la monaca tedesca riporta tre lunghe sequenze di visioni mistiche che lei stessa aveva esperito, arricchite da splendide miniature con immagini simboliche di mirabile fattura.
Un altro interessante aspetto dell’opera ildegardiana è il mistero della lingua ignota, un enigmatico repertorio linguistico completamente inventato in cui la badessa di Bingen conia circa 1000 neologismi, sia per le parole più comuni legate alla vita quotidiana sia per quelle usate dalla teologia. Questa lingua artificiale è una forma di latino medievale modificato, che comprende molte parole costruite abbreviando o storpiandone altre, come per esempio Aigonz e Aleganz che significano rispettivamente Dio e angelo. E per scrivere nella nuova lingua Ildegarda crea anche un alfabeto alternativo, composto da 23 litterae ignotae, che funziona come una specie di codice segreto per decodificare i manoscritti cifrati.
Ildegarda muore nel 1179 e viene sepolta nel suo monastero di Rupertsberg, là dove il fiume Nahe confluisce nel Reno. Nei secoli successivi, l’influenza della monaca tedesca cresce fino a renderla oggetto di venerazione, tanto che sebbene non canonizzata ufficialmente viene considerata santa da alcune parti della chiesa cattolica.
Nel 2012, papa Benedetto XVI la nomina “dottore della chiesa”, un titolo riservato a pochi santi che hanno contribuito in modo eccezionale alla teologia. Finora l’elenco comprende 37 dottori, per la maggior parte uomini dato che le donne sono soltanto quattro: Teresa d’Avila, Caterina da Siena, Teresina di Lisieux e appunto Ildegarda di Bingen. Le prime due sono state proclamate da Paolo VI nel 1970, la terza da Giovanni Paolo II nel 1997 e l’ultima da Ratzinger una decina d’anni fa.
Prima ancora che dalle altre sfere vaticane, però, la grandezza ildegardiana è stata riscoperta dal femminismo negli anni Settanta del Novecento, che riconosce in questa donna del Medioevo una delle figure più significative della lunga storia dell’emancipazione femminile. Come dice la regista Margarethe Von Trotta, che nel 2009 ha girato il film Vision sulla monaca tedesca: «Dopo il 1968 le femministe hanno iniziato a cercare nel passato donne dotate di visibilità e di un potere spirituale o artistico. Nella memoria collettiva non ne erano rimaste tante perché gli uomini sono sempre stati considerati più importanti sia nell’arte sia nella religione. Andando indietro nei secoli, abbiamo riscoperto Ildegarda.»