Una delle ragioni principali del rinnovato interesse per l’istruzione e per la formazione professionale tedesca è l’invidiabile tasso di disoccupazione del Paese. Nel 2012 era il 5,5%, della forza lavoro complessiva, mentre negli Stati Uniti era l’8,2%. E le statistiche sull’occupazione giovanile sono ancora più impressionanti. Secondo i dati dell’OCSE, nello stesso anno, il tasso di disoccupazione dei cittadini tedeschi di età pari o inferiore a 24 anni era l’8,1%, contro il 16,2% degli americani.
È diffusa la convinzione che la solidità del mercato del lavoro tedesco si fondi sui programmi di apprendistato, condotti in sintonia con gli istituti professionali, tanto che altri Paesi hanno preso esempio dalla Germania. Fra questi, Penang, uno dei tredici Stati della Malesia, che ha recentemente annunciato l’implementazione di piani per adottare il modello tedesco (“In race”, 2015), presumibilmente per attrarre multinazionali interessate alla delocalizzazione o a costruire basi operative in Oriente (George, 2014). Del resto anche la Germania ha riconosciuto i potenziali vantaggi dell’esportare il proprio approccio all’istruzione professionale. Nel 2012 l’ambasciata tedesca a Washington DC ha lanciato una “Skills Initiative” finalizzata a sviluppare in vari Stati dell’Unione programmi di educazione e formazione professionale che supportino sia le esigenze di forza lavoro delle aziende tedesche operative negli Stati Uniti sia le richieste delle aziende americane interessate a formare operai altamente specializzati. […]
La formazione professionale in Germania
La Germania è una delle poche nazioni dell’Europa occidentale (insieme ad Austria e Paesi Bassi) a mantenere un sistema educativo altamente differenziato che separa gli studenti di livello secondario in scuole diverse in base alla certificazione delle loro capacità scolastiche. Nonostante i numerosi cambiamenti politici e culturali avvenuti nel Paese negli ultimi due secoli, la configurazione tripartita del sistema educativo tedesco è rimasta essenzialmente intatta sin dall’epoca delle corporazioni artigiane del primo Ottocento (Baldi 2010). In effetti, per via della sua longevità e influenza, quello tedesco è il caso più studiato fra i percorsi educativi altamente differenziati.
La Hauptschule
La canalizzazione formativa degli studenti tedeschi avviene immediatamente dopo il completamento del ciclo di istruzione primaria della Grundschule (scuola elementare), generalmente all’età di dieci anni (Ertl 2000). Dopo le raccomandazioni degli insegnanti e le consultazioni con i genitori, i ragazzi vengono orientati verso una delle tre tipologie di scuola: Hauptschule, Realschule o Gymnasium.
La Hauptschule è la scuola secondaria dell’obbligo di base, che si concentra sull’acquisizione delle competenze legate alla matematica, alla lettura e alla scrittura. Dopo cinque o sei anni, gli studenti ricevono l’Hauptschulabschluss, un certificato che consente l’accesso all’istruzione e formazione professionale e che quindi funge come requisito minimo per la maggior parte delle professioni. Tradizionalmente coloro che escono dalle Hauptschule entrano immediatamente nel “sistema duale” tedesco, cioè lavorano per due o tre anni come apprendisti, integrando quest’esperienza pratica con le lezioni in classe uno o due giorni alla settimana. Dopo il diploma di scuola professionale (Berufsschule), gli apprendisti generalmente trovano lavoro nei settori dell’industria, del commercio o dell’artigianato (Baldi 2010).
La Realschule
La Realschule rappresenta il livello di istruzione “intermedio”, prevedendo sei anni di corsi in cui gli studenti ricevono sia un’istruzione generale sia una formazione orientata alle materie tecniche come ingegneria, scienze e lingue straniere. I diplomati ricevono un Realschulabschluss, che offre una gamma più ampia di opzioni rispetto all’Hauptschulabschluss. Oltre che permettere l’ingresso nel “sistema duale”, infatti, questo diploma consente di chiedere l’ammissione a una scuola tecnica superiore, a un istituto professionale a tempo pieno, oppure, se lo studente supera esami speciali chiamati Fachhochschulreife, a un politecnico. Avendo molte opzioni a disposizione, i diplomati alle Realschule coprono impieghi diversi nello spettro della forza lavoro tedesca. Dopo la seconda guerra mondiale, queste scuole hanno attraversato un lungo periodo di successo, poiché i suoi diplomati erano apprezzati per la capacità di combinare conoscenze pratiche e teoriche in un dato settore (Ertl 2000). Oggi sfornano molti di coloro che lavorano nella burocrazia statale. Questo settore educativo intermedio tende nel suo complesso a essere meno segnato dalla disuguaglianza sociale rispetto alla Hauptschule o al Gymnasium.
Il Gymnasium
La scuola secondaria più prestigiosa è il Gymnasium. Fondata sul concetto classico di Bildung, che predilige la ricerca umanistica e l’indagine teorica alla formazione professionale o pratica, il Gymnasium ha formato la maggior parte dell’élite tedesca sin dal XIX secolo. In queste scuole gli studenti intraprendono un programma di studi liberali di nove anni che include corsi di storia, letteratura e (in molti casi) greco e latino.
Con un diploma di Allgemeine Hochschulreife gli studenti che escono dal Gymnasium possono candidarsi all’ammissione in Università e dunque ad assumere impieghi prestigiosi, come avvocati, magistrati, medici, amministratori statali o professori universitari.
Gli storici dell’educazione hanno ipotizzato che ogni riforma del sistema educativo tripartito sia stata storicamente impedita dalle élite tedesche (note come Bildungsbürgertum), formate sulla base dei princìpi educativi forniti dal Gymnasium (Wilborg 2010).
La debolezza delle scuole private
Dato che il sistema educativo pubblico canalizza gli studenti precocemente, ci si potrebbe aspettare la fioritura di un sistema educativo privato parallelo. Questo in Germania non è successo per due motivi. In primo luogo, le scuole private riproducono in gran parte la tripartizione del sistema pubblico. In secondo luogo, il prestigio delle singole università tedesche non è così gerarchico come in altri Paesi, ad esempio Stati Uniti e Regno Unito. Di conseguenza, in Germania non si sono sviluppate scuole superiori d’élite e “feeder” (istituti prestigiosi che preparano o facilitano l’ammissione a università prestigiose, N.d.T) come Eton e Harrow nel Regno Unito o la Phillips Exeter Academy e Groton negli Stati Uniti.
Diversi sistemi scolastici per tipi di capitalismo
Per valutare un sistema scolastico è necessario considerare il sistema economico in cui si inserisce e le particolarità di quello tedesco sono state ben chiarite da Hall e Soskice nel loro testo Varieties of Capitalism: The Institutional Foundations of Comparative Advantage (2001). Tra le economie di mercato, i due economisti politici distinguono quelle liberali (LME), rappresentate da Paesi come l’Australia e gli Stati Uniti, e quelle coordinate (CME), come Germania, Belgio, Paesi Bassi, Paesi scandinavi, Austria e Giappone.
Le caratteristiche distintive dei primi sono la concorrenza, la contrattazione formale, la tendenza delle aziende a reagire rapidamente alle fluttuazioni del mercato e la capacità (se necessario) di ristrutturare le loro operazioni. In questo tipo di economie capitaliste i salari sono generalmente negoziati tra azienda e lavoratori e la sindacalizzazione è scarsa. I settori di specializzazione sono legati all’high-tech e alle nuove tecnologie (Christensen, 1997) o alle innovazioni radicali nell’elettronica (Akkermans, 2009).
Il comportamento delle economie di mercato coordinate, invece, è più deliberativo, incentrato sulla cooperazione e sulla collaborazione tra diversi stakeholder, inclusi management, dipendenti e azionisti. Rispetto alle economie di mercato liberali, le imprese sono più disponibili a includere nel loro processo decisionale anche fattori non strettamente legati al profitto industriale. Il tasso di sindacalizzazione è alto e i salari sono generalmente basati sulle aspettative di settore, piuttosto che su trattative tra lavoratori e datori di lavoro. Dal momento che concentrano le energie su mercati di nicchia (soprattutto manifatturieri), queste economie prosperano innovando i loro prodotti (Breznitz, 2012) o specializzandosi in migliorie radicali dei macchinari e dei mezzi di trasporto (Akkermans, 2009).
Le differenze fra queste due varianti di capitalismo si riflettono nei rispettivi sistemi educativi. Come tutti gli altri sistemi liberali, anche gli Stati Uniti, sebbene abbiano promosso programmi di formazione professionale attraverso lo Smith-Hughes National Vocational Education Act del 1917 e il Carl D. Perkins Vocational and Technical Education Act del 1984, non hanno mai messo al centro dell’educazione la formazione professionale, prediligendo al contrario un’istruzione generale completa, con un’attenzione particolare allo sviluppo del pensiero critico. In questi Paesi le scelte legate alla carriera lavorativa sono tradizionalmente posticipate all’istruzione post-secondaria. Al contrario, le industrie tedesche hanno sempre beneficiato di un sistema che canalizza gli studenti precocemente, formando gruppi selezionati per carriere professionali molto specializzate.
Il modello Mittelstand
Questo sistema di educazione e formazione professionale si fonda su due realtà che contraddistinguono la Germania rispetto agli altri Paesi, denominate Mittelstand e Mitbestimmung.
Mittelstand sono le aziende di medie dimensioni a conduzione familiare che si trovano spesso nelle città più piccole. Generalmente esistono da generazioni e impiegano circa il 70% della forza lavoro tedesca. Il loro successo è attribuibile a quattro fattori chiave (Girotra, 2013): si concentrano su un unico prodotto; sono efficienti; hanno una catena di comando gestionale snella; intrattengono un rapporto consolidato con le scuole locali, con cui mettono a punto apprendistati e percorsi professionali. Ciò che le contraddistingue è soprattutto la notevole fedeltà dei loro dipendenti, il cui tasso di abbandono annuale è bassissimo, solo il 2,7% (German lessons, 2014).
Il sistema della cogestione
Uno dei motivi per cui i dipendenti tedeschi sono così fedeli al loro Mittelstand ha a che fare con Mitbestimmung, un concetto un po’ più complesso codificato dal diritto tedesco e traducibile come “cogestione”: le aziende tedesche sono tenute a inserire tra un terzo e la metà dei membri del consiglio di sorveglianza con rappresentanti dei lavoratori. Tale consiglio (Aufsichtsrat) sceglie i membri del consiglio di amministrazione (Vorstand), che gestisce quotidianamente le operazioni aziendali.
È una disposizione che garantisce una notevole influenza dei dipendenti sulle decisioni importanti che riguardano la loro azienda, comprese quelle sulla sicurezza, i benefit dei lavoratori e le pratiche di assunzione. Forse, cosa ancora più importante, la Mitbestimmung mitiga l’influenza degli azionisti sulla missione e sulle decisioni a lungo termine dell’azienda.
Naturalmente, anche in altri Paesi esistono piccole e medie imprese, ma in genere, come negli Stati Uniti, sono molto più dipendenti dalle grandi società e dal capitale privato rispetto alla Germania. E sono anche meno longeve: secondo i dati del Bureau of Labor Statistics, il tasso di sopravvivenza delle piccole imprese americane è piuttosto debole: solo la metà dura più di cinque anni e solo un terzo va oltre il decimo. Collegare queste aziende con le scuole e i college delle varie comunità sarebbe un obiettivo lodevole, ma richiederebbe di implementare una versione americana del Mittelstand.
La difficile esportabilità del sistema
Se le aziende di piccole e medie dimensioni fossero collegate alle scuole superiori e ai college, la volatilità del settore imprenditoriale potrebbe tradursi in un aumento dei lavori temporanei. Del resto, perlomeno in California, molte grandi aziende come Boeing, Chevron, Southern California Edison, Kaiser Permanente, Pacific Gas and Electric e Verizon stanno già finanziando il Linked Learning movement in California, una coalizione di organizzazioni legate all’istruzione, industrie e comunità locali finalizzata a promuovere la formazione professionale nelle scuole).
Ma senza un accordo di cogestione simile al Mitbestimmung, queste grandi aziende dimostreranno lealtà verso i dipendenti che nel frattempo avranno contribuito a formare? Probabilmente no, secondo la logica delle economie di mercato liberali proposta da Hall e Soskice. Nelle economie liberali, la struttura dei mercati finanziari lega l’accesso al capitale e la capacità di resistere delle aziende alla redditività attuale. Nel caso di perdita di quote di mercato, l’unica soluzione praticabile in questo tipo di aziende sta nell’approfittare della fluidità del mercato del lavoro, che consente loro di licenziare velocemente i lavoratori. Al contrario, le aziende tedesche possono sostenere un eventuale calo dei rendimenti perché il sistema finanziario fornisce loro l’accesso al capitale indipendentemente dalla redditività e tentano più a lungo di mantenere la propria quota di mercato perché le istituzioni del lavoro in queste economie si battono per strategie occupazionali a lungo termine che rendono difficile licenziare.
In breve, nei sistemi economici simili agli Stati Uniti, essendo guidate principalmente dalle esigenze degli azionisti, le aziende sono costrette a valorizzare la redditività e l’efficienza rispetto al benessere dei propri dipendenti formati in apprendistato. Ed è ben difficile esportarvi riproduzioni fedeli del Mittelstand e del Mitbestimmung, soprattutto per le differenze filosofiche e strutturali tra le economie di mercato liberali e le economie di mercato coordinate.
Gli apprendistati sono convenienti?
Anche l’accessibilità economica degli apprendistati richiede una riflessione. I suoi sostenitori, come Olinsky e Ayres (2013), affermano che «gli apprendistati sono tra gli strumenti più efficaci ed efficienti di sviluppo della forza lavoro che il settore pubblico ha a disposizione, soprattutto perché i loro costi sono sostenuti quasi interamente dai datori di lavoro e dai sindacati». E pur ammettendo che «non vi sono prove rigorose sui costi e i vantaggi dell’apprendistato per i datori di lavoro statunitensi», Lerman (2014) ricorda che le aziende che investono in apprendistati da una parte risparmiano sui costi di reclutamento e di formazione, dall’altra si avvantaggiano dall’avere una manodopera immediatamente disponibile.
Tuttavia, non è affatto scontato che in Paesi liberali come gli Stati Uniti le industrie private comincino a sostenere finanziariamente l’apprendistato in modo simile a quanto avviene Germania. Come spiega bene Deissinger (2004), la questione cruciale è che «il requisito essenziale per il successo della formazione professionale sta in un’affidabile partecipazione finanziaria delle imprese». Attualmente, il costo degli apprendistati in Germania è ripartito tra pubblico e privato. Il tempo in aula dedicato alla formazione professionale è finanziato dai contribuenti, mentre quello nelle aziende è a carico dei datori di lavoro. Durante questo periodo gli studenti accettano salari più bassi nella consapevolezza che questi aumenteranno una volta che avranno ottenuto la qualifica di lavoratori certificati (Lazaryan, 2014).
Le aspettative sociali
I costi della formazione, tuttavia, possono essere onerosi per i datori di lavoro, soprattutto se consistono in corsi pluriennali. In South Carolina, dove oltre 28.000 lavoratori sono impiegati in aziende tedesche come la BMW, gli apprendistati sono rapidamente aumentati. Ma solo con l’aiuto dello Stato, che ha approvato un credito d’imposta annuale di 1.000 dollari per apprendistato per aiutare le piccole e medie imprese (Schwartz, 2013).
In realtà, come hanno scoperto Harhoff e Kane (1997), «i datori di lavoro tedeschi, o perlomeno quelli più grandi e legati alle grandi industrie, affrontano costi elevati nella formazione degli apprendisti anche tenendo conto dei bassi salari con cui li pagano». Non solo: spesso le aziende tedesche sottoscrivono apprendistati «per conformarsi alle aspettative sociali, anche se in effetti potrebbero aumentare i loro profitti eliminandoli e assumendo apprendisti formati altrove». È questo senso di impegno sociale, tipico di una economia coordinata di mercato, l’elemento necessario per un finanziamento continuo di apprendistati.
La lealtà della forza lavoro mobile
Bisogna però aggiungere che l’impegno sociale non è solo da parte delle aziende verso i lavoratori, ma anche viceversa: nell’economia globalizzata di oggi, dove il cambiamento tecnologico favorisce l’imprenditorialità e la produzione di conoscenza, raramente i lavoratori svolgono un solo lavoro (o due) nel corso della loro vita (Manyika, 2014). Secondo il Bureau of Labor Statistics (2015), i baby boomer nati fra il 1957 e il 1964, tra i 18 e i 48 anni hanno accettato una media di 11,7 lavori. Le generazioni più giovani, soprattutto negli Stati Uniti, cambiano lavoro e carriera a un ritmo ancora più rapido. Le statistiche relative a Gennaio 2014 hanno rivelato che la lunghezza media di un lavoro era di 4,5 anni per le donne e di 4,7 anni per gli uomini (Bureau of Labor Statistics, 2014).
Ne consegue che, in un’economia di mercato liberale, le industrie possono essere riluttanti a formare una forza lavoro altamente mobile. L’apprendistato e l’istruzione professionale sono costosi, perché richiedono tutoraggi individuali con esperti e investimenti in attrezzature specializzate. Non sappiamo se gli eventuali investimenti pubblici e privati americani verrebbero compensati non solo da un senso di responsabilità sociale da parte dei datori di lavoro ma anche dal senso di lealtà dei lavoratori verso le aziende che li hanno formati.
Tratto da M. Lanford, T. Maruco, W. Tierney, Prospects for Vocational Education in the United States, Pullias Center for Higher Education University of Southern California, Rossier School of Education, University of Southern California, October 2015.
Traduzione di Francesca Nicola.
Bibliografia
D. Akkermans, C. Castaldi, B. Los, Do “liberal market economies” really innovate more radically than coordinated market economies?: Hall and Soskice reconsidered, «Research Policy», 38 1, 2009, pp. 181-191.
G. C. Baldi, The politics of differentiation: Education reform in postwar Britain and Germany, Unpublished doctoral dissertation, Georgetown University, Washington (DC) 2010.
D. Breznitz, P. Cowhey, America’s two systems of innovation: Innovation for production in fostering U.S. growth, «Innovations: Technology, Governance, Globalization», 7 3, 2012, pp. 127-154.
Bureau of Labor Statistics, Employee tenure in 2014 (News release), 2014, http://www.bls.gov/news.release/pdf/tenure.pdf.
C. M. Christensen, The innovator’s dilemma: When new technologies cause great firms to fail, Harvard Business School Press, Boston (MA) 1997.
T. Deissinger, Germany’s system of vocational education and training: Challenges and modernisation issues, «International Journal of Training Research», 2 1, pp. 76-99, 2004.
H. Ertl, D.Phillips, The enduring nature of the tripartite system of secondary school in Germany: Some explanations, «British Journal of Educational Studies», 48 4, 2000, pp. 391-412.
German lessons, «The Economist», 2014, http://www.economist.com/news/ business/21606834-many-countries-want-mittelstand-germanys-it-not-so-easy-copy-german-lesson.
K. Girotra, S. Netessine, Extreme focus and the success of Germany’s Mittelstand. «Harvard Business Review», 2013, https://hbr.org/2013/02/good-old-focused-strategy/.
In race to hone talent, Penang to copy German vocational schools, Malay Mail Online, 2015, http://www.themalaymailonline.com/malaysia/article/in-race-to-hone-talent-penang-tocopy-german-vocational-schools.
D. Harhoff, T. J. Kane, Is the Germany apprenticeship system a panacea for the U.S. labor market?, «Journal of Population Economics», 10 2, 1997, pp. 171-196.
N. Lazarya, U. Neelakantan, D. A. Price, The prevalence of apprenticeships in Germany and the United States (Economic brief EB14-08), Federal Reserve Bank of Richmond, 2014.
R. I. Lerman, Proposal 7: Expanding apprenticeship opportunities in the United States. Washington, DC: Brookings, 2014.
B. Olinsky, S. Ayres, Training for success: A policy to expand apprenticeships in the United States, Washington, DC: Center for American Progress, 2013.
J. Manyika, J. Bughin, S. Lund Nottebohm, Global flows in a digital age: How trade, finance, people, and data connect the world economy, McKinsey Global Institute, 2014.
N. D. Schwartz, Where factory apprenticeship is latest model from Germany, «New York Times», 2013.
S. Wilborg, Why is there no comprehensive education in Germany? A historical explanation, «History of Education», 39 4, 2010, pp. 539-556.