Il rapporto dei bambini con il digitale

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Nella nostra indagine sul digitale abbiamo voluto sentire anche una voce nettamente critica nei confronti dell’uso degli strumenti tecnologici in ambito educativo. Quando pedagogia non fa rima con tecnologia: l’approccio steineriano.

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Quali attese abbiamo nei confronti degli uomini di domani quando ne seguiamo il processo educativo? Certamente che abbiano un buon patrimonio culturale, ma anche attenzione e sensibilità sociali, che sappiano stabilire delle priorità fra l’essenziale e il secondario, che siano in grado di prendere delle decisioni e di assumersi delle responsabilità, che sappiano districarsi con fantasia e creatività in situazioni difficili e impreviste. In sintesi, ci attendiamo che abbiano maturato le necessarie capacità di pensiero, di sentimento e di volontà per affrontare le sfide della vita. Per l’educatore ciò significa aiutare i ragazzi a sviluppare correttamente queste tre qualità.
Rispetto a tale compito, come va valutata la problematica legata al rapporto del bambino con il mondo della tecnica, in particolare quella digitale, sia nell’uso personale sia in quello scolastico? Seguendo gli orientamenti che provengono dalla pedagogia steineriana (cfr. Carlgren e Klingborg 1992), farò alcune riflessioni su questa problematica considerando non i contenuti trasmessi dalla tecnologia, bensì il mezzo tecnico come tale.

L’orientamento educativo steineriano

La pedagogia steineriana, nata in Germania alla fine della prima guerra mondiale con Rudolf Steiner (1861-1925) e oggi ampiamente diffusa in tutto il mondo con un migliaio di scuole, prende le mosse da un’articolata immagine dello sviluppo del bambino, che viene considerato nella sua dimensione biologica (corpo), in quella affettiva ed emotiva (anima) e in quella morale e biografica (spirito). I nessi fra queste tre dimensioni, elaborati da Steiner a partire dal 1917, costituiscono il fondamento delle scelte pedagogiche. Lo sviluppo del bambino procede per tappe successive durante le quali si differenziano i tre momenti della vita animica: dapprima il bambino è un essere in continua attività di movimento e di volontà, poi emerge la vita di sentimento con la conquista di una tipica dimensione ritmica e infine si arriva alla capacità di pensiero e di astrazione. Questi momenti maturano in modo ciclico, dall’arco più piccolo della conquista della posizione eretta e della capacità di camminare, della capacità di articolare il respiro imparando a parlare e della prima coscienza della propria identità, a un arco più grande segnato da due cesure date dalla seconda dentizione e dalla maturazione sessuale.

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Prima della seconda dentizione il bambino manifesta la sua vita volitiva nella capacità di imitazione: dal punto di vista educativo ciò significa che il criterio pedagogico adeguato è l’esempio (devo fare con il bambino, essere attore insieme a lui). Con la seconda dentizione emerge con più forza la capacità rappresentativa: il bambino vive una fase simbolica che per l’educatore significa trasmettergli tutto sotto forma di immagini. Con la pubertà, matura la capacità di astrazione e quindi nasce la possibilità di un confronto a livello di pensiero e di capacità di giudizio. Il bambino, che prima è “attore”, gradualmente diviene “spettatore” e guarda il mondo non più con lo sguardo magico né con quello simbolico dell’artista, bensì con lo sguardo dello scienziato.
Questa sintesi assai schematica dell’orientamento steineriano consente di accostarci alla problematica legata alla tecnica con un occhio attento agli aspetti qualitativi. La forma basilare dello sviluppo tecnologico è data dall’attrezzo semplice, come l’ascia, il martello, la tenaglia, la falce e così via. In questi attrezzi non abbiamo forse una proiezione della struttura e della funzione dei nostri arti? Il loro uso non richiede un’attivazione del nostro sistema di movimento e quindi anche metabolico? Siamo davanti al corrispettivo della prima fase evolutiva del bambino. Educativamente giochi e attività svolti con questi attrezzi semplici corrispondono in modo ottimale alle sue esigenze. In altre parole lo sviluppo storico della tecnica riflette lo sviluppo del bambino.
Con il computer e la tecnica elettronica non abbiamo poi la proiezione sul piano della macchina del funzionamento del nostro cervello? Il computer svolge a enorme velocità operazioni che una volta erano prerogativa dell’attività di pensiero, come calcoli complessi e memorizzazioni gigantesche. La tecnica digitale corrisponde alla terza fase evolutiva del ragazzo: l’età in cui l’uso della tecnica digitale può essere introdotto in termini più ampi. Con l’attrezzo semplice siamo “attori”, con il video diventiamo “spettatori”.

La tecnologia deve essere adeguata all’età

Arriviamo così a constatare come l’osservazione di uno sviluppo del bambino che evidenzi per ogni età delle specificità precise consenta di valutare la relazione fra una certa età e il tipo di tecnologia adeguata per quell’età. Se si pensa alla motocicletta e all’automobile l’osservazione è ovvia, se non superflua: non affidiamo questi veicoli a un bambino di cinque o di dieci anni, pur essendo potenzialmente in grado di guidarli. Per la tecnica digitale sembra invece che la domanda relativa all’età adeguata per il suo uso non venga affatto sollevata, in quanto non si evidenziano dei danni in termini immediati. Manfred Spitzer, uno specialista del settore, in Vorsicht Bildschirm! (2005) scrive: «Le nazioni industriali dell’Occidente hanno da tempo riconosciuto la necessità di statuire e di rispettare delle regole per la protezione dell’ambiente: l’effetto serra e le micropolveri portano a delle conseguenze complesse e a lungo termine, non per questo però da trascurare, sull’ambiente e sulla qualità della nostra vita. Nell’ottica del medico e dello specialista delle scienze neurofisiologiche, le ricadute degli schermi dei mezzi di comunicazione non sono meno drammatiche. I numeri parlano una loro lingua […]. Perché dunque un libro sullo schermo, scritto da un medico e neurofisiologo? Gli schermi sono fonte di malattia, hanno effetti sfavorevoli sul rendimento scolastico e inducono a una maggior disposizione alla violenza. Le conseguenze ricadono su tutti noi ed è giunto il momento di agire. Non dobbiamo più stare a guardare!».
Se poi si considera lo sviluppo delle qualità dell’anima si può constatare che quando siamo davanti al monitor la nostra vita di movimento, e quindi anche di volontà, non ha modo di estrinsecarsi: infatti non abbiamo davanti a noi un mondo reale che stimola e attiva la nostra vita percettiva, bensì un mondo virtuale, evanescente, preconfezionato. Si potrebbe obiettare che l’occhio è in continua attività, le dita si muovono sui tasti e così via. È vero, ma sono attività unilaterali: per l’occhio manca ad esempio la terza dimensione, la profondità, mentre le dita sono vincolate ai tasti.

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Chi si diventa davanti al video

Perciò, in sintesi, si può dire che il video paralizza la volontà: davanti al video non siamo “attori”, se non nella capacità combinatoria intellettuale, quanto piuttosto “spettatori” di un mondo predeterminato dai programmatori. Se vogliamo includere nel processo educativo, oltre alla sfera cognitiva, anche quella affettiva e volitiva, cioè la maturazione sociale e l’assunzione di responsabilità, le elementari riflessioni fatte sino a qui aprono vaste problematiche nelle scelte degli strumenti tecnologici a livello educativo. Va poi ricordato un secondo aspetto fondamentale: più il bambino è piccolo più ha bisogno nella sua formazione della presenza umana intorno a sé. Nella prima età, proprio perché è un essere che imita, se non c’è la presenza di uomini da poter imitare non arriva a conquistarsi le facoltà che qualificano l’uomo, la posizione eretta, la parola e il pensiero.
Si pensi ad esempio ai bambini-lupo. In modo paradigmatico si può dire che tutto il tempo che il bambino passa davanti al video, di qualsiasi natura esso sia, è sottratto alla sua formazione di uomo. Dalla macchina non può imparare le specificità che fanno dell’uomo un uomo né raccogliere reali esperienze sensoriali. Questa riflessione che vale primariamente per il bambino piccolo, in quale misura è valida anche in età scolare nel rapporto fra insegnante e allievo? Chi è attivo nell’insegnamento ha delle risposte molto chiare al riguardo se non subisce interferenze estranee al processo educativo, quali le pressioni sociali ed economiche. Il contatto diretto fra bambino e adulto resta un fattore educativo di primaria importanza.
Rispetto alle fasi di sviluppo qui ripercorse possiamo ricordare le due soglie che articolano in tre momenti la vita fino alla maggiore età. La prima soglia è data dall’acquisizione da parte dei bambini della capacità di vivere in immagini le proprie esperienze, capacità che fino ai sei-sette anni non ha ancora raggiunto una piena maturità. Queste immagini nascono nell’interiorità dell’anima grazie alle forze evocative della fantasia e dell’immaginazione, ovvero le capacità con la quale lavora ogni artista.
Se il bambino sta davanti allo schermo, le immagini gli si presentano davanti agli occhi da fuori, fatte e finite, “preconfezionate”, paralizzando la fantasia e l’immaginazione. Il video è stato definito un “ladro di attenzione”. La vera fantasia non va confusa con la capacità combinatoria: la prima ha in sé germi di vita creativa, si sviluppa come una pianta vivente dal seme, la seconda lavora con le immagini come un caleidoscopio che riflette e combina, ma non ha nulla di creativo. Se quindi vogliamo educare degli uomini capaci di affrontare con fantasia le situazioni imprevedibili e con capacità creative le sfide della vita, l’uso dello schermo va dosato oculatamente.

Combattere la videodipendenza

Una seconda soglia si ha con la conquista della capacità di astrazione, con la quale si passa da un mondo popolato di immagini e di rappresentazioni a un mondo di idee e di concetti. Solo con la pubertà questa capacità raggiunge una certa maturità. Di essa si ha bisogno per arrivare a comprendere i principi sui quali si fonda l’informatica, per esempio il sistema binario. Se manca questa comprensione il video resta una realtà “magica”, per cui schiacciando un tasto sul video appaiono le immagini più disparate, sorte “per incanto”, come dal nulla. Il video ha una forza suggestiva tale da indurre anche dipendenza. Per un uso consapevole e quindi responsabile delle tecnica digitale è indispensabile conoscere almeno le leggi generali su cui questa tecnica si è sviluppata.
Possiamo riassumere così le riflessioni fatte sinora: l’uso della tecnica digitale nella prima infanzia paralizza la volontà ed è del tutto fuori luogo, ma le conseguenze negative emergono spesso solo in anni successivi. Nell’età scolare, all’incirca fino alla pubertà, il video sottrae ai ragazzi la fantasia e la creatività, causando un impoverimento non privo di conseguenze poco positive. Nell’età successiva il rapporto con la tecnica digitale è al giusto posto, ma solo una reale comprensione dei suoi principi di funzionamento ne consente un uso responsabile che metta al riparo da fenomeni di dipendenza.
Queste riflessioni generali consentono anche di far emergere alcuni spunti educativi per bilanciare gli effetti problematici di un uso dello strumento tecnico poco conforme all’età. Nell’età scolare ogni attività artistica (pittura, musica, teatro) che stimoli la fantasia e l’immaginazione rappresenta un’importante fonte di riequilibrio. Per i ragazzi più grandi uno studio del funzionamento del computer e delle ricadute sul piano individuale e sociale del suo utilizzo può fare da contrappeso al fascino di questo strumento che spesso conduce a una sorta di dipendenza.
Se dunque vogliamo educare degli uomini capaci di gestire al meglio non solo la sfera cognitiva, ma anche la sfera emotiva e sociale della loro vita, andrà posta grande attenzione nella scelta che porta a voler usare nell’ambito educativo lo strumento digitale.

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Stefano Pederiva

Laureato in Farmacia. Ha insegnato nella scuola Waldorf di Milano ed è stato attivo nel movimento pedagogico steineriano promuovendo convegni e collane pedagogiche. Insegna nei seminari di formazione in pedagogia steineriana. Per molti anni è stato responsabile della distribuzione dei farmaci antroposofici in Italia.

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