Un «poema sacro», «al quale ha posto mano e cielo e terra». Così, ricorrendo a un termine che non ha mai usato prima e che assume quindi uno speciale valore, Dante definisce la propria opera verso la fine del Paradiso, nel canto XXV, esprimendo la speranza di raggiungere la gloria letteraria e di essere incoronato «poeta» (il che di fatto non avverrà mai). Si tratta – dichiara con fierezza e limpida consapevolezza l’autore – di un’opera mai tentata, per il suo progetto altissimo, sovrumano.
Non solo il «poema» è stato concepito per rappresentare tutta la realtà visibile e invisibile, la Terra e il Cielo, l’intero universo: ben più miracolosamente, esso è stato scritto proprio dall’universo. In questo modo, attraverso una possente allegoria della scrittura, in diversi luoghi della Commedia Dante si presenta come un «copista» che «scrive» le parole «dettate» nella sua mente dall’«Amor che move il sole e l’altre stelle» (così suona l’ultimo verso della Commedia): «I’ mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando» (Purgatorio, XXIV, 51-54). Per questo motivo, e per l’altezza d’ingegno che il poema dimostra, nella generazione successiva alla morte dell’autore, il primo grande studioso di Dante, Giovanni Boccaccio, definirà «divina» la Commedia.
Dante realizza la sua complessa, geniale visione del mondo narrando un viaggio attraverso i tre “luoghi” della vita ultraterrena: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Impresa mai tentata prima, l’opera si presenta come una coltissima, appassionata, visionaria navigazione in territori inesplorati e inaccessibili. In particolare, come hanno dimostrato gli storici del Medioevo, all’epoca di Dante la categoria di “Purgatorio” è entrata da poco nella visione del mondo cristiana e nelle pratiche sociali e penitenziali, portando con sé l’idea di una possibile continuità fra la vita terrestre e quella dell’aldilà.
Rappresentando sé stesso come un Ulisse cristiano, guidato, a differenza di quello antico, dalla Grazia divina, Dante dichiara nel canto I del Paradiso: «L’acqua ch’io prendo già mai non si corse» (v. 7). In questo modo egli esalta l’assoluta originalità del progetto e della realizzazione del poema, con la fiera e limpida consapevolezza di chi sente di aver ormai superato ogni livello retorico-stilistico imposto all’opera d’arte fin dall’antichità (a partire dalla Poetica e dalla Retorica di Aristotele, da oratori come Cicerone, dall’Ars poetica di Orazio, da Quintiliano). L’avventura intellettuale, spirituale, poetica in cui Dante invita il lettore a seguirlo costituisce una novità assoluta, la più impensata e sconvolgente, rispetto alla tradizione letteraria di ogni tempo: viene superato e sublimato su un piano diverso anche il modello del viaggio agli Inferi di Enea, nell’Eneide di Virgilio, fonte di ispirazione dichiarata della Commedia.
Dante non è più solo un artista: si dichiara un poeta ispirato dall’universo. Lo dimostra la “forma” del suo poema, l’ordine perfetto che lo schema in cui i versi si calano dà alle sue idee e alla sua mirabile scrittura, rispecchiando anche una complessa visione spirituale e religiosa: la metrica, basata su tre versi incatenati in un fluire narrativo di straordinaria potenza emozionale (la «terzina», che Dante inventa proprio su un fondamento filosofico-teologico); la struttura articolata in tre cantiche divise in trentatré canti ciascuna. Tutto converge nella perfetta fusione di forma e contenuto, in un ordinamento corrispondente a quello del cosmo.
Tale corrispondenza fra l’ordine del libro e l’ordine dell’universo è il fondamento della rivoluzionaria visione del mondo che la Commedia trasmette. Lo spiega Dante stesso aprendo il Paradiso, mentre incomincia a cantare una materia divina, che mai un poeta aveva prima di lui immaginato di poter penetrare ed esprimere, tanto meno in lingua volgare: «La gloria di Colui che tutto move / per l’universo penetra e risplende / in una parte più e meno altrove» (vv. 1-3); «Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante» (vv. 103-105).
La teologia dell’ordine che Dante esalta è perfettamente solidale con la visione del mondo espressa dal pensiero su cui si è formato e con cui dialoga, specie quello di due grandi teologi, il francescano Bonaventura da Bagnoregio e il domenicano Tommaso d’Aquino. Ma Dante va ben oltre la filosofia e la teologia: da poeta coglie e dà forma di parola a una realtà che supera l’umano, riconosce i rapporti fra le parti, le radici comuni a tutti gli esseri e salde fondamenta universali. Il suo poema travalica i limiti del tempo e dello spazio perché riesce a recuperare, fra male e bene, fra dolore e letizia, un’armonia delle diversità, l’unità che collega realtà fisiche, naturali, politiche, sociali molto differenti.
La visione del mondo espressa dalla Commedia è politica perché recupera il valore universale dell’umano guardando al divino, riconoscendo l’essenza comune di tutti gli uomini, al di là delle contrapposizioni ideologiche, dei particolarismi, degli interessi, dei desideri. L’ordine è per lui consonanza: musica e ritmo del mondo.
La Commedia è una vera e propria opera-mondo: la sua narrazione accompagna il lettore a conoscere intimamente la struttura del cosmo, quale Dante e la cultura medievale la concepivano, e allo stesso tempo illustra la varietà di modi in cui l’essere umano può manifestarsi e vivere, la molteplicità di destini che può realizzare. Essa intende dunque offrire una rappresentazione complessiva non solo dell’universo nella sua dimensione esteriore e materiale, ma anche, e forse soprattutto, dell’umanità nelle sue varie forme, raffigurata attraverso le voci e le vicende dei personaggi via via incontrati.
Il poema riassume e supera le altre opere di Dante: la Vita nova, che trova qui il suo compimento nel nuovo incontro con Beatrice; il De vulgari eloquentia, in cui si celebrano le potenzialità e la nobiltà della lingua volgare; la Monarchia, le cui idee morali e politiche sono articolate nella modalità dinamica della narrazione. Del resto, la Commedia contiene gran parte del patrimonio della cultura classica e cristiana come si era stratificato fino al Trecento e lo offre in una nuova veste ai secoli successivi. Anche per questo, il capolavoro dantesco influenzerà la lingua, la struttura, la poetica di innumerevoli autori e opere, fino alle manifestazioni più alte della letteratura novecentesca e contemporanea, e non solo italiana.