Dallo scorso agosto sono state lanciate molte campagne umanitarie in favore della popolazione dell’Afghanistan, il cui territorio è tornato rapidamente sotto il controllo dei talebani durante il ritiro delle forze della Nato.
Gli appelli in favore della popolazione, e in particolare delle donne dell’Afghanistan, non sono però gli unici ad essere stati lanciati in questi mesi. Infatti, a seguito della crisi politica e umanitaria del paese, sono partite varie campagne per la salvaguardia del suo ricco e diversificato patrimonio culturale materiale e immateriale, siti archeologici, monumenti e musei, musica, artigianato tradizionale.
Il 19 agosto l’Unesco, ricordando la deliberata distruzione dei Buddha di Bamiyan nel marzo 2001, ha lanciato un appello per la salvaguardia del patrimonio culturale afghano dai rischi di distruzione e saccheggio e per la sicurezza degli artisti e dei professionisti dei beni culturali. Molti artisti, musicisti e registi afghani sono stati costretti ad abbandonare il paese, non prima di aver nascosto o distrutto le proprie opere.
I talebani, da parte loro, avevano precedentemente rilasciato una dichiarazione con la quale si impegnavano a contrastare il traffico illecito di beni culturali e a proteggere, monitorare e salvaguardare il ricco patrimonio culturale dell’Afghanistan. In particolare, si impegnavano a impedire gli scavi clandestini, la vendita e l’esportazione dei beni, e a proteggere siti e monumenti storici dal danneggiamento, dalla distruzione e dal degrado: dichiarazioni di cui la comunità internazionale si augura il rispetto.
Il patrimonio culturale ha un ruolo fondamentale nella coesione sociale e nella garanzia di una pace duratura. Proprio a causa del crescente numero di atti consapevolmente compiuti contro i beni culturali, l’Unesco il 17 ottobre 2003 ha adottato la Dichiarazione riguardante la distruzione intenzionale del patrimonio culturale, che fa esplicito riferimento ai Buddha di Bamiyan e sottolinea l’importanza di trasmettere il patrimonio culturale alle generazioni future.
La Dichiarazione invita gli Stati a dotarsi di appropriate misure legislative, amministrative, educative e tecniche per proteggere il patrimonio culturale in tempo di pace e in tempo di guerra e sottolinea che gli Stati sono ritenuti responsabili sia nel caso di distruzione intenzionale del patrimonio culturale sia nel caso non abbiano provveduto a garantire al patrimonio la necessaria protezione da ogni distruzione intenzionale. L’art. IX, inoltre, ricorda che la distruzione intenzionale del patrimonio culturale è connessa alle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale.
La distruzione dei beni culturali ha un forte impatto sull’identità di gruppo: scompaiono i riferimenti familiari, le tracce del proprio passato, delle proprie tradizioni e delle proprie abitudini. L’identificazione con un luogo risponde a un innato bisogno umano di sicurezza e in una comunità la perdita dei luoghi noti causa un profondo senso di spaesamento.
Il patrimonio culturale, inoltre, si rivela fondamentale, dopo un conflitto, per la ricostruzione del senso di appartenenza di una comunità, riuscendo ad amalgamare realtà sociali non sempre omogenee dal punto di vista etnico, religioso o politico, a riallacciare il dialogo e a ridefinire un’identità comune. Il patrimonio culturale è inoltre di primaria importanza per risollevare l’autostima di un paese.
La crisi dell’Afghanistan, crocevia di culture diverse, ha fatto tornare bruscamente alla ribalta il problema del patrimonio culturale in guerra. Il 21 settembre Icom e Wikimedia CH hanno lanciato un appello alla comunità di internet per difendere il patrimonio culturale afghano dal rischio di saccheggio e traffico illecito. L’idea alla base dell’iniziativa è che tutti possano contribuire a salvare il patrimonio del paese anche a casa dal proprio computer, scrivendo articoli, traducendone di esistenti e inserendo immagini, links e fonti su Wikidata. Fondamentalmente si chiede di dare la massima visibilità ai beni culturali afghani per evitarne il traffico illecito, che oggi, in buona parte, passa attraverso internet, i social o le piattaforme di e-commerce.
Uno degli strumenti per contrastare il traffico illecito di beni culturali sono le Icom Red Lists, e l’appello di Icom e Wikimedia CH invita proprio a diffondere la lista dedicata all’Afghanistan.
Non si tratta di una banca dati di beni culturali rubati, ma di categorie di oggetti a rischio, che potrebbero essere trafugati, venduti o esportati illecitamente. Le Red List, presentate in varie lingue, costituiscono un valido aiuto per le forze dell’ordine, le polizie di frontiera, le case d’asta, i musei e gli operatori del mercato dell’arte, e hanno permesso l’identificazione, il recupero e la restituzione di beni culturali provenienti da Iraq, Afghanistan (circa 1.500 oggetti del Museo nazionale dell’Afghanistan di Kabul) e Mali.
Per avere invece un’idea dei beni effettivamente trafugati dall’Afghanistan possiamo affidarci all’app Id-art di Interpol, lanciata in maggio allo scopo di identificare i beni culturali rubati, ridurne il traffico illecito e facilitarne il recupero. Scaricabile gratuitamente, consente la consultazione della banca dati dei beni culturali rubati di Interpol, sia attraverso la ricerca per parola sia attraverso la ricerca visiva effettuata scattando o caricando un’immagine. La ricerca manuale prevede anche quella per paese di origine del bene: nel caso dell’Afghanistan il risultato presenta attualmente 684 beni culturali (che rappresentano esclusivamente gli oggetti rubati regolarmente denunciati), fra cui si notano molti busti e teste di sculture.
Un altro strumento utile per proteggere il patrimonio culturale è Protecting cultural heritage. An imperative for humanity, pubblicazione uscita nel 2016 e nata dalla collaborazione fra Italia, Giordania, Interpol, Unesco e Unodc (United Nations Office on Drugs and Crime), che introduce al tema del finanziamento al terrorismo tramite il traffico illecito di beni culturali. Per combattere il fenomeno si rivela fondamentale la cooperazione internazionale e un’interessante sezione del testo, Suggested Key Actions, propone una serie di suggerimenti da attuare a livello nazionale e internazionale per contrastare il traffico illecito di beni culturali. Fra questi, sottolineiamo l’invito a coinvolgere le comunità locali nella protezione del proprio patrimonio e a incoraggiare l’educazione per promuovere il rispetto del patrimonio culturale anche attraverso la scuola.
Come ci ricorda Paolo Matthiae nel suo Distruzioni, saccheggi e rinascite (Milano, Mondadori Electa, 2015), Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco dal 2009 al 2017, parlando della Siria aveva dichiarato che il patrimonio culturale non è solo una questione di vecchie pietre, ma dei valori che quelle pietre rappresentano: «valori che parlano di tolleranza, di dialogo, di convivenza e mutuo rispetto. […] All’inizio del conflitto […] le preoccupazioni verso il patrimonio culturale non erano al centro delle agende. Si pensava a come salvare le persone. Naturalmente questo resta fondamentale, ma ora si è capito che non si tratta di scegliere tra persone e pietre. Si tratta di un’unica battaglia».