Il Museo dell’Ermitage: una corsa nella storia

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Un bambino corre nelle sale di uno dei più prestigiosi musei del mondo. Si muove disinvolto fra opere e arredi, come se fosse a casa sua. Ed effettivamente un po’ lo è, visto che quel bambino rappresenta Mikhail Borisovich Piotrovski, direttore dell’Hermitage di San Pietroburgo, cresciuto in quelle sale accanto al padre, l’archeologo Boris Borisovich Piotrovski, a sua volta direttore del museo dal 1964 al 1990. Una bella finzione per un bellissimo documentario realizzato da Nexo Digital.

Per la serie La Grande Arte al cinema, il 14 ottobre è stato trasmesso il film di Margy Kinmonth, Hermitage 250° Anniversario. Un viaggio attraverso i secoli e le collezioni conservate nel palazzo degli zar, testimone di storia, rivoluzioni e guerre.
Lo straordinario orologio del pavone che ci introduce al film ci fa capire che stiamo varcando la soglia di una delle collezioni più ricche del mondo. Si tratta dell’automa realizzato nel XVIII secolo da James Cox, una delle attrazioni più famose del museo.
Ci vorrebbero giornate intere (ma alcune statistiche suggeriscono che per vedere bene tutti gli oggetti esposti sarebbero necessari 11 anni) per visitare le innumerevoli sale del museo, attraversando le varie collezioni. La scelta è stata quindi quella di proporre una visita principalmente cronologica, che presenta l’avventurosa storia del museo attraverso le sue opere e le vicende del palazzo che lo ospita.

Specchio della storia e dell’orgoglio russo, strettamente legato alla vita della città, l’Ermitage ha sede nella reggia dei Romanov. Fu Caterina II a dare avvio a un’intensa politica di acquisizione di collezioni d’arte per creare un museo che potesse rivaleggiare con quelli europei. Il film ci presenta l’imperatrice attraverso i suoi ritratti e i suoi abiti, ben conservati e curati all’interno dell’edificio. Fu Caterina II a dare avvio a un’intensa politica di acquisizione di collezioni d’arte per creare un museo che potesse rivaleggiare con quelli europei.
Nel 1764, 250 anni fa, Caterina II acquistò la collezione di antichi maestri che il mercante berlinese Johann Gotzkowski aveva raccolto per Federico II di Prussia, costretto a rinunciare a causa delle gravi perdite subite durante la Guerra dei sette anni. A questo primo nucleo di opere in meno di dieci anni si aggiunsero quelle della collezione del conte Heinrich von Bruhl e del barone Pierre Crozat, con cui fecero il loro ingresso al museo, oltre alla Giuditta di Giorgione, dipinti di Rembrandt, Rubens, Raffaello, Poussin, Tiziano, Veronese. Particolarmente importante fu l’acquisizione della collezione di Robert Walpole, primo ministro inglese durante i regni di Giorgio I e Giorgio II. Nel corso del tempo, allo storico Palazzo d’Inverno si affiancarono il Piccolo, il Grande e il Nuovo Ermitage, aperto al pubblico come museo il 5 febbraio del 1852, mentre la collezione si arricchiva, fra l’altro, della Madonna Litta e della Madonna Benoit di Leonardo, della Madonna Conestabile di Raffaello e delle sculture di Canova.
Accompagnati dai curatori delle varie sezioni o dallo stesso direttore del museo, il documentario ci conduce nelle sale della statuaria classica, nel ricco arsenale, nella sezione delle porcellane, ma anche nei laboratori di sartoria e negli ambienti non aperti al pubblico in cui vengono conservati in appositi stipetti, come un tempo, i preziosi cammei di Caterina II.

  • Canova, Amore e Psiche, 1800-1803Canova, Amore e Psiche, 1800-1803
  • "Tiziano Tiziano Vecellio, Danae, 1543-1544
  • Giorgione, Giuditta, 1504 Giorgione, Giuditta, 1504
  • Matisse, Danza II, 1931 Matisse, Danza II, 1931
  • I corridoi dell’Ermitage durante la prima guerra mondiale I corridoi dell’Ermitage durante la prima guerra mondiale
  • Orologio del pavone (XVIII secolo) di James Cox Orologio del pavone (XVIII secolo) di James Cox

Durante la Prima guerra mondiale, alcune sale del Palazzo d’Inverno furono trasformate in ospedale, mentre gli oggetti più preziosi delle collezioni venivano inviati a Mosca. Intervallando alle riprese contemporanee alcuni brani cinematografici di Ėjzenštejn, il documentario ci conduce attraverso i tumultuosi giorni della Rivoluzione di Ottobre del 1917, l’avvento di Lenin e quello di Stalin. Gli anni Trenta segnarono uno dei momenti più drammatici per la storia del museo, con i doni o le vendite a prezzi di favore agli “amici dell’Unione Sovietica” da parte del Commissariato per il commercio estero, e con la vendita all’estero di quasi tremila importanti opere imposta dal Governo sovietico, nonostante i disperati tentativi del personale del museo di evitare la dispersione della collezione. Approfittò dell’occasione anche Andrew Mellon, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti dal 1921 al 1932, nell’era della Grande Depressione, che acquistò una ventina di preziosi dipinti che sarebbero andati a formare il primo nucleo di opere della National Gallery di Washington. Interessante notare che il sito ufficiale dell’Ermitage sottolinea che Mellon fu costretto a cedere i dipinti alla National Gallery a causa di difficoltà finanziare, notizia di cui non c’è traccia nel sito ufficiale del museo americano. Il film si sofferma inoltre sulla tragica sorte di molti funzionari del museo, sospettati e deportati, vicenda a cui, al contrario, il sito ufficiale dell’Ermitage non dedica spazio. Durante la Prima guerra mondiale, alcune sale del Palazzo d’Inverno furono trasformate in ospedale, mentre gli oggetti più preziosi delle collezioni venivano inviati a Mosca. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, le opere del museo vennero nuovamente imballate e spedite in rifugi più sicuri, sugli Urali. Ricordi e interviste ci riportano all’assedio di Leningrado (il nome assunto da San Pietroburgo nel 1924) e alla drammatica mancanza di cibo e provviste.
Nel dopoguerra il museo riaprì le porte e riprese la sua straordinaria attività di acquisizione di opere. Il film accenna anche all’esposizione dei dipinti requisiti in Germania a titolo di risarcimento per i danni subiti durante la Seconda guerra mondiale. In questo caso la narrazione è decisamente diplomatica e non mette in luce le vivaci polemiche sollevate intorno al problema a seguito della caduta del muro di Berlino, la riunificazione delle Germanie e il crollo del regime sovietico.
Alla fine della guerra, infatti, nella Germania sconfitta i vari depositi di opere d’arte (provenienti da musei tedeschi o trafugate da altri paesi) erano dislocati nelle diverse aree di occupazione. Dalla zona di occupazione sovietica nessun’opera fu restituita ai proprietari originari. Esperti sovietici avevano redatto liste di beni culturali da requisire in Germania, ma anche in Austria, Ungheria, Romania e Italia, volti alla creazione di un grande museo di arte internazionale a Mosca, come riparazione per le perdite subite. Una volta giunte in Germania, le Brigate del Trofeo – unità specializzata dell’Armata Rossa – si concentrarono nella scelta dei trofei culturali da spedire in Unione Sovietica. Le spedizioni di oggetti dalla Germania verso l’Unione Sovietica erano iniziate prima della fine della guerra. Fra marzo 1945 e agosto 1946, 11 treni militari formati da 30-40 vagoni e due aerei trasportarono preziosi oggetti nei musei di Mosca e di Leningrado (compreso l’Ermitage). I viaggi durarono fino al 1948. All’epoca vennero creati depositi il cui contenuto non è stato ancora totalmente rivelato.

Alla fine degli anni Cinquanta, in occasione delle restituzioni alla Repubblica Democratica Tedesca, una parte degli oggetti requisiti uscì allo scoperto. Ma fu soprattutto agli inizi degli anni Novanta che alcuni giovani e coraggiosi storici dell’arte russi misero il mondo al corrente dell’esistenza di depositi di opere confiscate. Nonostante i trattati di cooperazione fra Germania e Unione Sovietica (prima) e Germania e Russia (dopo), secondo una Commissione bilaterale di esperti la Russia disporrebbe ancora di migliaia di preziosi oggetti provenienti da varie collezioni, oltre a libri, manoscritti e chilometri di materiale d’archivio. Alla fine degli anni Novanta, una legge della Duma (il Parlamento russo) dichiarava la nazionalizzazione di tutte le opere portate in Unione Sovietica dall’Armata Rossa. Il bottino di guerra diventava così, ufficialmente, “proprietà russa”. Secondo una Commissione bilaterale di esperti la Russia disporrebbe ancora di migliaia di preziosi oggetti provenienti da varie collezioni, oltre a libri e manoscritti, requisiti durante la Seconda guerra mondiale. Il problema è ancora fortemente sentito. Nel 2013, in occasione della mostra all’Ermitage delle opere sequestrate alla Germania nella Seconda guerra mondiale, Angela Merkel chiese inutilmente a Vladimir Putin la restituzione degli oggetti sottratti dall’Armata Rossa.

Il film è comunque molto bello. Mi guardo intorno nella sala del cinema, allo spettacolo pomeridiano: circa 10 posti occupati su 150. Immagino e spero che la proiezione serale vada meglio e che questa bella occasione non sia stata persa. Com’è sfuggita – con gravi perdite economiche – l’occasione offerta dalla costituzione, nel 2007, di Hermitage Italia a Ferrara, esperienza conclusa nel 2013, ma che può offrire ancora delle possibilità. Il 15 ottobre, giorno successivo alla presentazione del film, il direttore Mikhail Piotrovski ha presentato in conferenza stampa a Milano i progetti e le iniziative del Comitato Ermitage Italia, nella nuova sede di Venezia.
Prossimo appuntamento con La Grande Arte al cinema di Nexo Digital il 4 novembre con I Musei Vaticani 3D e con il loro direttore, già soprintendente e ministro dei Beni culturali, Antonio Paolucci.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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