Era già da un po’ che seguivo la pagina Facebook del Museo Archeologico Nazionale di Venezia, che frequento e di cui conosco alcune delle bellissime opere esposte. Sto pensando, ad esempio, alla Capsella Samagher, lasciata all’Italia in cambio dei reperti archeologici di Nesazio, nell’ambito delle trattative per la restituzione di beni culturali alla Jugoslavia in base al Trattato di Pace del 10 febbraio 1947.
La comunicazione Facebook del museo è al tempo stesso piacevole e competente: poche righe in italiano e in inglese riescono a incuriosirci, darci informazioni sulle opere o sulla storia del museo, proporre iniziative per tutte le età e, a volte, farci decisamente ridere.
Il museo è presente anche su Twitter e Instagram dove, in linea di massima, vengono rilanciati i contenuti postati su Facebook. Nemmeno in questo difficile periodo, accentuato dalla perdita della direttrice Annamaria Larese («Abbiamo perso una bella persona», mi hanno scritto dal museo), la comunicazione, gestita da Ilaria Fidone e Luca Trolese, ha perso la sua leggerezza.
Come ci racconta Trolese, la svolta è avvenuta circa due anni fa, quando è stato deciso di ravvivare la presenza del Museo Archeologico sui social, con la proposta di contenuti a cadenza fissa per far acquistare visibilità al museo. Pur essendo situato in un luogo famosissimo, Piazza San Marco, il museo stentava a essere riconosciuto nel vasto panorama degli istituti della cultura. «Del resto – aggiunge Trolese – chi pensa a Venezia difficilmente la associa all’archeologia, quindi si è cominciato a produrre contenuti con un tono leggero e ironico per costruire la nostra identità e affermare la nostra presenza».
E ci sono sicuramente riusciti. Mi sono accorta del loro particolare modo di comunicare quando ho scoperto la rubrica delle “domande impossibili”, una raccolta delle domande più strane e fantasiose che i visitatori, o le persone che telefonavano, rivolgevano al museo. Le risposte, oltre a divertire, erano un modo per trasmettere informazioni utili.
Quest’anno le rubriche sono cambiate, ma rimangono comunque volte a raccontare il museo sotto vari aspetti: l’archeologia, la storia, gli eventi, la vita quotidiana e il rapporto con i visitatori, attraverso varie rubriche, come “pillole di mitologia”, “fotovintage”, una retrospettiva in immagini del museo, “su Piazza dal 1596”, la storia a puntate del museo.
È ancora Trolese a spiegarci il tipo di scelte fatte:
Abbiamo scelto un approccio ironico e a tratti umoristico (utilizzando meme) per veicolare contenuti che diversamente sarebbero risultati troppo seriosi in un contesto come i social che non ti permette argomentazioni complesse. Abbiamo puntato inoltre sul rapporto diretto con i nostri follower, stimolandoli a interagire con noi. Abbiamo ideato diverse rubriche con un programma di massima e poi abbiamo lasciato che la fantasia e gli eventi facessero il loro corso. L’intenzione è di rinnovarsi e quindi cambiare le rubriche per offrire sempre nuove prospettive sulle nostre opere.
Un aspetto che non cambia è la tendenza a coinvolgere il nostro pubblico, ad esempio attraverso contest e sondaggi come ad esempio ‘the untouchables’ per designare l’opera più significativa e iconica del museo, ‘museumhero’, una sfida tra gli eroi della mitologia, mentre quest’anno ‘minimamirabilia’ ha decretato la gemma più bella e ‘moneta sonante’ è il contest in corso sulle più belle monete della nostra collezione. Il rapporto con il pubblico digitale è inoltre finalizzato a una fidelizzazione reale: noi offriamo visite guidate personalizzate gratuite a chiunque tra i nostri follower ne faccia richiesta.
La cosa interessante è che molti, dopo averci seguito sui social, sono invogliati a venirci a conoscere e a visitare il museo. Questa esperienza poi viene condivisa sui social attraverso la rubrica ‘archeofollowers’.
La chiusura dei musei ha forzatamente interrotto questa relazione diretta. Il 25 e il 27 febbraio il museo ha realizzato due dirette Facebook, oltre a un breve video pubblicato sui social e caricato sul canale Youtube della Direzione Regionale dei Musei del Veneto, ma non ha insistito su questa strada sia perché privo dell’attrezzatura necessaria per produrre video di qualità, sia per differenziare la propria proposta da quella degli altri musei. Alcuni brevi video sono stati invece realizzati per la rubrica “latin lover”, dedicata alle iscrizioni latine, “spiegate” dall’epigrafista tedesco Theodor Mommsen.
Il museo ha inoltre cercato di raccontare la chiusura facendo leva anche sull’ironia, come nella rubrica “cronachedalmuseochiuso”.
Per non lasciare i più giovani privi di attività didattiche sono state lanciate le rubriche “un gioco da ragazzi” e “filastrocca del museo chiuso”, una filastrocca per individuare alcune opere della collezione. In un museo chiuso, come ci hanno raccontato i film, gli oggetti esposti possono prendere vita.
Nasce così la rubrica “senti chi parla”, con dialoghi immaginari fra le opere del museo. In attesa della riapertura al pubblico poteva essere utile qualche buon consiglio su come ci si comporta in un museo, ed ecco la nuova rubrica “non vedo l’ora”.
Luca Trolese ci ha tolto molte curiosità sulla comunicazione del museo, che ha creato dei veri affezionati, in attesa delle rubriche come le puntate di una fiction. Con la rubrica “su Piazza dal 1596” scopriamo la storia del museo e delle sue collezioni, mentre la rubrica “fotovintage” ci racconta il museo e i suoi allestimenti del passato attraverso una bella scelta di immagini.
Ne è un esempio la foto proposta il 16 maggio, testimonianza di quando l’Archeologico era ospitato nelle sale di Palazzo Ducale prima degli anni Venti. Nel corso della Prima guerra mondiale, la sera del 15 maggio 1916, una bomba cadde nelle immediate vicinanze di Palazzo Ducale, frantumando circa 35 vetri del Museo Archeologico. Le sale del palazzo erano state in gran parte sgomberate, i dipinti portati al piano terra e gli oggetti della sezione antica ricoverati sotto le volte della Scala d’oro. Nel 1917, molte opere dell’Archeologico vennero trasferite a Firenze per garantirne una migliore protezione e, dopo la disfatta di Caporetto il 24 ottobre 1917, le opere del museo ancora a Venezia furono inviate a Cremona per poi essere indirizzate a Pisa.
Ma le rubriche non ci parlano solo di storia, perché la comunicazione del museo ha sempre un occhio puntato sull’attualità. Non si è fatta scappare, ad esempio, l’occasione di sfruttare quanto successo al Festival di Sanremo, rivisitando le parole di Morgan per adattarle a un divertente dialogo fra satiro e menade nell’Ara Grimani. Opera che è diventata il simbolo del museo, e che ha spopolato durante la Loveweek del 14 febbraio e nel periodo successivo, quando dovevamo prendere confidenza con mascherine e igiene delle mani.
In questa comunicazione sorridente, non possiamo dimenticare il tormentone del museo: la presenza dei dinosauri. Pare che molti visitatori si aspettino di trovare dinosauri nei musei archeologici, e rimangano delusi quando scoprono che i loro beniamini sono invece nei musei di storia naturale. Ma ora anche il Museo Archeologico di Venezia è stato premiato. Al raggiungimento dei 15.000 followers su Instagram il museo ha vinto uno stegosauro arancione made in Taiwan (38 x 16 cm), dono di Elisa, una loro piccola seguace, e ora può vantarsi di essere l’unico museo archeologico italiano a possederne uno. Non oso pensare cosa si inventerà il museo al raggiungimento dei 25.000 followers.