Klaus Wowereit, il sindaco socialdemocratico, l’ha definita «povera ma sexy», alludendo da una parte all’indebitamento, dall’altra alla vitalità e alla forza d’attrazione che esercita soprattutto sui giovani. Una metropoli dinamica, in continua evoluzione, proiettata verso il futuro: è questo dunque il frutto della decisione (presa dal Bundestag all’indomani della ritrovata unità nazionale) di ridare a Berlino il suo ruolo di capitale.
Il turista che arriva per la prima volta in questa città ed è già stato a Londra o Parigi, forse resta inizialmente un po’ deluso. Non ci si innamora di Berlino a prima vista; occorre conoscere il suo passato, la sua storia. Senza coordinate storiche, soprattutto relative al XX secolo, non si riesce a capire e amare la città.
Il 9 novembre 1989 è la data spartiacque. La caduta del muro segna l’inizio di una nuova era, di cui la futuristica cancelleria è l’emblema. Prima era il muro, che per 28 anni ha diviso non solo la città, ma la Germania, l’Europa e il mondo intero. Da una parte, gli Stati Uniti e la NATO, dall’altra, l’Unione Sovietica e i Paesi del Patto di Varsavia. Berlino rispecchiava nel piccolo la divisione del mondo; era la città dove si avvertivano prima che altrove le tensioni internazionali. Un microcosmo politico affascinante e allo stesso tempo inquietante.
Il mio primo impatto con la Berlino divisa risale al 1981. Fresco di studi di germanistica, ero approdato presso una società che, pur avendo sede in Italia, aveva due uffici in “Germania”: uno a Berlino Ovest, all’inizio della Ku’damm, e l’altro a Berlino Est, al 14° piano dell’Internationales Handelszentrum, situato nella Friedrichstraße. All’inizio non mi era ben chiaro quale sarebbe stato il mio ruolo di pendolare tra le due parti della città: l’avrei capito solo con l’esperienza sul campo.
La segretaria è una spia. Le pareti sono piene di cimici. Il mio capo mi ripeteva sempre queste frasi ogni volta che ci si recava all’ufficio di Berlino Est.
La società per cui lavoravo svolgeva attività di intermediazione tra l’apparato ministeriale della DDR e aziende occidentali interessate a partecipare a gare di appalto per la costruzione di impianti ad alta tecnologia. Questo era un aspetto dell’attività. Ma ce n’era un altro, più oscuro, non ufficiale. Imparai subito il significato della parola Kompensationsgeschäfte. Ecco di cosa si trattava: ultimata la costruzione dell’impianto, che la DDR pagava in valuta, il contratto prevedeva che almeno una parte dell’importo sborsato rientrasse nelle casse dello Stato tramite l’acquisto di prodotti made in East-Germany. Ecco quindi il mio compito: trovare acquirenti di merce DDR, dai succhi di frutta agli stivali di gomma. L’importante era che la DDR esportasse, incassando così valuta.
Due città in una sola
È stato il pendolarismo tra Berlino Ovest e Berlino Est a farmi capire cosa significasse il “muro” nella vita di tutti i giorni. Pochi chilometri dividevano in linea d’aria i due uffici. Oggi, con la S-Bahn, 15 minuti di comodo viaggio tra Zoologischer Garten e Friedrichstraße; allora, un viaggio la cui durata non era prevedibile: poteva durare mezz’ora o due ore. Tutto dipendeva dai tempi di attesa al checkpoint.
Il viaggio in auto era senz’altro quello più… avventuroso. Sebbene avessi un Dauervisum (visto a lungo termine), il controllo era un rituale che si ripeteva sempre secondo uno schema fisso: ritiro del passaporto, dichiarazione che non si introduceva stampa occidentale, indicazione di quanta valuta si aveva nel portafogli… Nell’attesa, l’auto veniva ispezionata: bisognava scendere, aprire cofano e bagagliaio, ribaltare i sedili posteriori. Un poliziotto controllava con uno specchio il fondo dell’auto, un altro infilava un filo d’acciaio nel serbatoio per verificare che questo non fosse stato manomesso facendo così spazio per un eventuale nascondiglio.
E una volta ripartito, il senso di ansia continuava ad accompagnarmi durante il breve tragitto dal checkpoint Charlie all’Internationales Handelszentrum. Non c’era un motivo particolare. Era semplicemente il trovarsi alla guida di una Mercedes targata Berlino Ovest tra le strade di Berlino Est, affiancato da Trabi scoppiettanti.
«La segretaria è una spia. Le pareti sono piene di cimici». Erano frasi che il mio “capo” mi ripeteva ogni volta che ci si recava all’ufficio di Berlino Est. Nella mia ingenuità pensavo si trattasse di fisime. Si trattava invece di timori fondati e reali come ha poi anche documentato il film Le vite degli altri. E così, quando nel 1991, al termine di una visita guidata in quello che era stato il Ministerium für Staatssicherheit, vidi dei moduli per verificare se il proprio nome comparisse negli archivi della Stasi, ripensando al mio passato di pendolare tra Berlino Ovest e Berlino Est, lo compilai. E scoprii che c’era una cartella a mio nome, con una serie di informazioni su di me e sulla mia attività.
Berlino Ovest era una vera e propria enclave occidentale, un avamposto capitalista all’interno della DDR. Godeva di uno stato giuridico particolare, frutto del Trattato del 1971, per il quale i tre settori occidentali della città non erano territorio della Repubblica Federale. Tuttavia, il governo di Bonn ha di fatto sempre considerato Berlino Ovest come un proprio Land.
Allora, Berlino Ovest non era una città invitante e accogliente: il solo fatto che, per arrivarci, occorresse passare due volte la frontiera, rendeva la vita difficile. Gli anni della divisione hanno così visto una diminuzione demografica: nel 1961, nei tre settori occidentali della città vivevano 2,2 milioni di abitanti; nel 1985 solo 1,8 milioni.
La Repubblica Federale ha abilmente fronteggiato questo fenomeno con misure economiche e facilitazioni atte a indurre la gente a restare o, ancora meglio, a trasferirvisi. Particolarmente allettante per i giovani in età di leva era l’idea che, abitando a Berlino Ovest, si fosse esentati dal servizio militare.
I quartieri di frontiera
Dopo la costruzione del muro, si assistette allo spopolamento degli edifici che si trovavano nelle immediate vicinanze del nuovo confine: chi poteva, si spostava in quartieri più centrali per sottrarsi alla visione della disumana frontiera. Così, i prezzi crollarono e questi edifici vennero abitati da studenti o da coloro che, allora, venivano chiamati Gastarbeiter, lavoratori stranieri, in prevalenza turchi. Si spiega così perché un quartiere come Kreuzberg sia oggi una vera e propria città turca. Molti edifici rimasero vuoti, abbandonati per anni, finché vennero occupati da giovani alternativi alla ricerca di spazi per quelle che allora si chiamavano Kommunen, comunità dove tutto veniva condiviso (sesso e hashish compresi).
I contatti tra i cittadini delle “due città” si fecero col tempo sempre più rari. Le cose migliorarono con la Ost-Politik del cancelliere Willy Brandt: il Trattato Base tra Repubblica Federale e Repubblica Democratica Tedesca (1972), infatti, regolava anche i rapporti personali tra i cittadini dei due Stati. Teoricamente, quelli della Germania Est avrebbero potuto recarsi in visita all’Ovest. In realtà, la prassi per ottenere un permesso durava anni e sottoponeva i cittadini dell’Est a una vera e propria vessazione.
Le cose erano più semplici per i cittadini della Repubblica Federale (e di Berlino Ovest). Finché, verso la metà degli anni Settanta, la DDR decise di introdurre un cambio obbligatorio D-Mark/Ost-Mark per tutti i visitatori: a metà degli anni Ottanta tale somma era di 25 D-Mark a testa e al giorno. Tale azione finì per scoraggiare presto le visite.
I grandi spazi e il fatto che Berlino Ovest non fosse soggetta ad alcun pendolarismo ne avevano fatto una città senza congestionamenti, con un traffico scorrevole, dove la gente aveva l’impressione di vivere in un piccolo-grande villaggio. Tutto cambiò dopo il 9 novembre 1989. L’euforia e la gioia per l’inaspettata caduta del muro lasciarono presto il posto a un senso di straniamento. Improvvisamente Berlino Ovest si era riempita di gente, di berlinesi dell’Est, di cittadini della DDR, ma anche di innumerevoli visitatori, curiosi e giornalisti. La città si era come risvegliata da un sonno profondo…
La nostalgia del passato
e la nuova Nazionale
“Rivoglio il mio muro!”. Frasi simili, anche se pronunciate magari sottovoce, cominciarono a circolare: erano sintomatiche di una divisione che si era creata nella testa dei berlinesi dell’Ovest e che non poteva sparire dall’oggi al domani. Da una parte i Wessis, dall’altra gli Ossis: negli anni Novanta Berlino rimaneva ancora una città divisa, anche se il muro non c’era più. I tedeschi dell’Est si resero conto ben presto che il sistema economico occidentale, quel capitalismo che visto da lontano prometteva un facile benessere, era tutt’altro che umano. Ora erano senza lavoro, in un appartamento non più di proprietà dello Stato, il cui affitto era passato da 50 Ost-Mark a 500 D-Mark, senza sentirsi parte della stessa città, dello stesso Paese.
Fu così che all’Est si sviluppò la cosiddetta Ostalgie, una pericolosa nostalgia che riabilitava un passato fatto sì di libertà mancate e che era alimentata dalla sensazione di essere considerati cittadini di serie B. Una tendenza che si è assopita con il tempo e con l’avanzare di una nuova generazione che, di quel passato, aveva solo sentito parlare o, al massimo, aveva un vago ricordo.
Per 28 anni la Porta di Brandeburgo è stato il simbolo della città divisa. Le immagini festose di tutti i berlinesi abbracciati sul muro la notte del 9 novembre 1989 ne hanno fatto il simbolo della Germania unita. Ora, 25 anni dopo quegli straordinari avvenimenti, un’altra immagine ha acquisito una nuova dimensione storica: quella delle decine di migliaia di berlinesi, senza più distinzione tra Est e Ovest, che affollano la cosiddetta Fanmeile per festeggiare, assieme alla Nazionale di calcio, il titolo mondiale vinto in Brasile.
È l’immagine di un Paese cresciuto, divenuto maggiorenne, che ha finalmente trovato unità e coesione. In questo senso si può forse dire che il 2014 segna la fine del “dopo-muro”, proiettando la Germania verso un futuro che la vedrà sempre più spesso chiamata ad assumere decisioni da vera protagonista della scena politica europea e mondiale.