L’esposizione genovese: cave, ma non solo
Chi volesse sapere qualcosa di più su questo pregiato materiale, dal punto di vista sia petrologico, sia estrattivo, sia artistico e monumentale – il tutto ottimamente contestualizzato anche in prospettiva storica – non può mancare la visita alla splendida mostra La Pietra di Luna. Il marmo di Luni e l’Impero di Roma, ospitata nella prestigiosa sede del teatro del Falcone di Palazzo Reale di Genova dal 18 maggio al 29 settembre 2024, frutto di una collaborazione tra i Musei Nazionali di Genova – Direzione regionale Musei Liguria, il Museo Archeologico Nazionale e il parco archeologico di Luni e il Museo Nazionale Romano di Roma. La curatela è stata affidata a Matteo Cadario (Università degli Studi di Udine), Marcella Mancusi e Antonella Traverso (Direzione regionale Musei Liguria).
Anzitutto possiamo capire che c’è marmo e marmo di Luni, poiché esisteva (ed esiste ancora) una grande varietà di marmi apuani; tra essi primeggiano alcuni bianchi e un marmo di colore grigio-azzurro, noto come bardiglio. La mostra spiega inoltre le modalità di estrazioni in epoca romana, nonché ci dà ragione della “decadenza” delle cave in età tardo-antica, della loro rinnovata fruizione a partire dal medioevo e del loro utilizzo in epoca moderna e contemporanea (anche con l’ausilio di filmati d’epoca).
“Pietra di Luna”, pietra dell’impero
Il vero nucleo concettuale dell’esposizione, però, è spiegare il legame fortissimo che la casa imperiale romana – a principiare da Augusto – ebbe con questo materiale lapideo, in una dimensione che oserei definire triplice.
Anzitutto attraverso il controllo diretto – dal punto di vista economico – delle cave da parte degli imperatori, che ne divennero giuridicamente proprietari.
In secondo luogo perché lo stesso divino Augusto (seguito da Tiberio e Claudio) volle “riqualificare” il centro di Luna, monumentalizzandolo tramite lo sfruttamento della pietra locale: il foro, il teatro, il Campidoglio, il tempio dedicato alla celeste dea eponima Luna (già di epoca repubblicana ma ora ampliato), l’anfiteatro fuori le mura ne facevano – come e più di altre città dell’Italia romana – una sorta di imago Romae dal forte valore propagandistico per il potere centrale. Di alcuni di questi monumenti ci sono in mostra a Genova importanti reperti, così come di alcune statue o iscrizioni conservate nel locale Museo Archeologico Nazionale. Tutto ciò mi ha fatto venire in mente che sono troppi anni che non visito quest’area archeologica e devo proprio programmare un ritorno in tempi brevi (o almeno non troppo lunghi, perché l’elenco delle visite in agenda si allunga di giorno in giorno).
Il terzo – e non certo ultimo – aspetto messo in luce dall’esposizione è che proprio l’Urbe si “abbellì” con il marmo lunense. Non so se la blasonata Settimana Enigmistica abbia ancora la rubrica «Forse non tutti sanno che…» che – da bambino curioso qual ero – mi appassionava, però davvero forse non tutti sanno che anche nella realizzazione di monumenti del calibro dell’Ara Pacis Augustae e della Colonna Traiana vi è stato l’impiego della «Pietra di Luna», come è ben illustrato da alcuni pannelli; lo stesso dicasi del fregio del tempio di Apollo Sosiano, del quale è esposto uno splendido frammento con scena di battaglia. Insomma, quando Svetonio (Vita di Augusto, 28) ricordava come Augusto si vantasse di avere trasformato Roma da città di mattoni a città di marmo è fors’anche a quello delle cave apuane che si riferiva.
Due interessanti iscrizioni latine
Tra statue imperiali e altri oggetti di pregio (come il prezioso “trono degli Alessandri” conservato ai Musei Reali di Torino) il vostro recensore – epigrafista incallito – segnala due interessantissime iscrizioni. Una è relativa al console Marco Claudio Marcello, che nel 155 a.C. sottomise definitivamente le bellicose e fiere popolazioni locali, già oggetto di precedenti guerre e dolorose deportazioni; l’altra è una base dedicata proprio alla dea Luna, della quale si è detto sopra. Ed è come se i due oggetti iscritti fossero legati tra loro da un evidente fil rouge, perché la “romanizzazione” (con le conseguenti forme – più o meno pacifiche – di fusione tra cultura e religiosità locale con i modelli romani) è sempre dalla guerra che ha preso inizio. «È l’imperium, bellezza!», potrebbe dire qualcuno, parafrasando l’esclamazione di un celebre film.
Il trasporto navale dei marmi
Completano la mostra genovese, site al piano superiore, due altre sezioni. Anzitutto un focus dedicato al trasporto dei carichi di marmo lunense attraverso le navi lapidarie, che li distribuivano a Roma e nelle province occidentali (Francia e Spagna); con l’occasione si propone uno spaccato della vita a bordo in epoca romana, mostrando in particolare i resti di un relitto di Albenga, città dove si trova l’interessante Museo Navale Romano (purtroppo chiuso a tempo indeterminato per ristrutturazione). Da ultimo vi è una sorta di “campionario” di marmi colorati usati in epoca antica, curato dal Museo Nazionale Romano, con alcuni pezzi di pregio assoluto come un rilievo con un Dioscuro in pavonazzetto.
Concludo dicendo che – nonostante il tema particolare – questa non è un’esposizione per gli addetti ai lavori, ma davvero fruibile da tutti, anche in considerazione della presenza di pannelli esplicativi e didascalie chiari ed esaurienti; e inoltre (chi come me ha superato i sessanta mi capirà) scritti in caratteri sufficientemente grandi da potere essere letti con facilità. Lo scrivo perché di recente mi sono capitate alcune situazioni opposte, quasi che le “spiegazioni” dovessero essere occultate come vergognoso oltraggio ai capolavori esposti.