Il Grand Tour al femminile

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Comincio questo articolo in modo certamente inconsueto, cioè con un arido elenco di personaggi, corredato da una breve premessa. Devo infatti confessare ai lettori che, prima della lettura del volume che mi appresto a recensire, se alcuni di questi nomi mi erano ben noti, altri invece li avevo visti citare soltanto nelle note di qualche articolo specialistico, e altri ancora mi erano del tutto sconosciuti.

Ma ecco il preannunciato “catalogo”:
Anne-Marie La Page du Boccage (1710-1802), Anna Riggs Miller (1741-1781), Hester Lynch Piozzi (1741-1821), Elisabeth Vigée Le Brun (1755-1842), Elizabeth Vassal Webster, poi Lady Holland (1771-1840), Elisa von der Recke (1756-1833), Anne Louise Germaine Necker de Staël (1766-1817), Mariana Starke (1762-1838), Catherine Wilmot (1773-1824), Sydney Owenson Morgan (1783-1859), Anna Jameson (1794-1860), Marguerite Gardiner, Countess of Blessington (1789-1849), Mary Shelley (1797-1851), Jessie E. Westropp (?).

Anche a una lettura veloce, si comprenderà che si tratta di personaggi femminili vissuti tra Settecento e Ottocento, per lo più di origine inglese, francese o tedesca. Ciò che accomuna queste “signore” è però il fatto di essere state donne emancipate, colte, in alcuni casi anche ricche; ma il vero denominatore comune è stato soprattutto l’amore per i viaggi, in particolare se avevano come meta l’Italia. Infatti per tutte loro «il nome dell’Italia contiene una magia in ogni sillaba, ogni luogo nominato soddisfa e risveglia cari ricordi» (Mary Shelley).

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Un nuovo libro sulle donne viaggiatrici

Di queste donne viaggiatrici ci parla Attilio Brilli (con Simonetta Negri), nel libro Le viaggiatrici del Grand Tour. Storie, amori, avventure, il Mulino, Bologna 2020. E lo fa con un libro che si propone come un dottissimo saggio che però, a tratti, ci avvince come un racconto; e che è scritto con una prosa elegante e raffinata (un po’ “d’altri tempi”, e lo dico a mo’ di complimento…) perfettamente consona con i temi e gli ambienti che descrive.
Insomma, dopo questo lavoro dovrà cadere lo stereotipo del Grand Tour come attività tipica di milord inglesi alla ricerca di emozioni paesaggistiche e di costosi souvenir archeologici (quelli che fecero la fortuna del cavalier Piranesi, tanto per intenderci…). Non furono infatti così poche le donne che concepirono questo stesso viaggio come una sfida, come una fuga verso la libertà (politica, in qualche caso, ma anche dal loro ruolo di madri e mogli), e/o magari come la realizzazione di un sogno: vedere cioè le opere d’arte o i siti archeologici descritti nei libri dei quali si erano nutrite in gioventù.
Molte di queste, tra l’altro, lasciarono documentazione scritta del loro girovagare; dai loro diari e manuali emerge così una «originalità di visione, di analisi, di interpretazione, di giudizio» ben superiore a certi resoconti maschili «grettamente pratici» (p.12). Questo si dica, ovviamente, con le ben note eccezioni, costituite in primis dal Viaggio in Italia di Goethe.

Vorrei, con i miei lettori, soffermarmi solo su tre di queste viaggiatrici, e cioè la pittrice Elisabeth Vigée Le Brun (pp. 91-104), la baronessa universalmente nota come “Madame de Staël” (pp. 135-144) e la scrittrice Mary Shelley (pp. 207-222). Ciò non solo per la celebrità delle loro figure, ma anche per le diverse modalità e finalità dei loro viaggi in Italia.

  • xE. Vigée Le Brun, Autoritratto, San Pietroburgo, Ermitage
  • xE. Vigée Le Brun, Lady Hamilton come baccante, Port Sunlight, UK, Lady Lever Art Gallery
  • xE. Vigée Le Brun, IsabellaTeotochi Albrizzi, Toledo Museum of Art

Elisabeth Vigée Le Brun, pittrice in fuga

Elisabeth Vigée Le Brun, come tutti sanno, fu la ritrattista per eccellenza di Maria Antonietta e della corte francese. Non stupisce allora che nel 1789 abbia dovuto frettolosamente lasciare Parigi per l’Italia, dove restò fino al 1792: da quel momento il Grand Tour italiano diverrà per lei un Tour europeo, poiché la sua fama la portò presso alcune importanti corti straniere, come Vienna e San Pietroburgo. Nel nostro Paese la troviamo – tra l’altro – a Torino, Firenze, Roma, Napoli, Venezia, Milano, tutte città dove abitò, visitò musei e collezioni (ad esempio i Musei Vaticani o il Cenacolo leonardesco, come apprendiamo dai suoi Souvenirs, editi nel 1835), frequentò salotti, e lavorò come ricercatissima ritrattista. Già ho scritto di lei su queste colonne recensendo una mostra parigina, denunciando una particolare emozione provata davanti ai ritratti napoletani della futura Lady Hamilton – donna dalla bellezza provocante e dai costumi decisamente liberi – che è ritratta sia come ebbra baccante, sia come Maddalena penitente, sia come Sibilla Cumana (sulla scia del Domenichino). Né minore è la suggestione che proviamo davanti a quello di Isabella Teotochi Albrizzi, donna poliedrica e lei stessa viaggiatrice, amante di Foscolo e amica di Byron… e hai detto niente!

Insomma, giunta in Italia da fuggiasca, con la figlia e la governante, Elisabeth non abbandonò mai il malinconico pensiero per quell’Ancien Régime che ormai tutti identificavano nella “sua” Maria Antonietta, che nel 1793 sarà ghigliottinata. Eppure la permanenza nel nostro Paese le consentì una maturazione artistica e umana che difficilmente avrebbe avuto restando intrappolata tra la cipria e la bambagia di Versailles; e diede alla sua pittura una dignità “professionale” enorme, se è vero che questa era diventata vera fonte di sostentamento, sua e del marito rimasto in Francia.

  • xFrançois Gérard, Ritratto di Madame de Staël, Castello di Coppet, CH
  • xCorinne ou l’Italie, frontespizio
  • xE. Vigée Le Brun, M.me de Staël come Corinna, Ginevra, CH, Museo d’Arte e Storia

Madame de Staël e il suo alter ego Corinne

Anne Louise Germaine Necker de Staël è donna troppo famosa perché ne debba o possa parlare in questa sede. I più la conoscono per il suo intervento Sulla maniera e sull’utilità delle Traduzione che, edito sulla «Biblioteca Italiana» del 1816 (tradotto da Pietro Giordani), diede inizio alla cosiddetta “Polemica classico-romantica”. Madame de Staël viaggiò in Italia (e non solo) e fu conosciuta e rispettata ovunque; ammirò le bellezze artistiche italiane, ma stigmatizzò l’arretratezza e la divisione politica del Paese, il che la portò anche a formulare giudizi non troppo lusinghieri; giudizi che il prudente amico Vincenzo Monti la invitò a esprimere «ai dirupi della Svizzera e alle nevi del Monte Bianco», e non sul territorio della Penisola.

Il suo romanzo Corinne ou l’Italie (1807) è la manifestazione concreta di questo atteggiamento ambivalente; d’altronde Corinne è l’alter ego della sua autrice, tanto che la stessa Vigée Le Brun la dipinse con le fattezze del suo personaggio. Nel libro Corinne (italo-inglese) e Oswald (scozzese) si innamorano durante un viaggio che ha come tappe Roma, Napoli, Venezia, Firenze. Sembra un amore travolgente, eppure Oswald tornerà alla fine in Scozia, richiamato dal padre, che vuole per lui una moglie diversa. Quell’Italia che pareva la terra della felicità, diventa allora – per la protagonista, abbandonata a Firenze – «luogo di dolore, della solitudine, dell’inerte girovagare della morte» (p. 142).
In realtà in tutto il romanzo si mettono in luce anche i “lati oscuri”, quasi misteriosi, della città italiane, al di fuori degli stereotipi del goethiano «paese dove fioriscono i limoni» allora in voga; e ciò, invece che inquietare i possibili turisti stranieri e tenerli lontani, suscitò verso di loro un forte magnetismo: a rendere difficili i viaggi, però, ci pensavano in quegli anni le guerre napoleoniche.

  • xRichard Rothwell. Mary Shelley, Londra, Royal Academy of Arts
  • xA. Curran, Percy Bysshe Shelley, Londra, Nationa Portrait Gallery

Mary Shelley, tra lutti e amore incondizionato

Può sembrare impossibile, quasi ingiustificabile, l’amore viscerale di Mary Shelley per l’Italia. Infatti, durante un lungo soggiorno durato dal 1818 al 1823, che la vide girovagare un po’ ovunque, dalla Toscana a Roma, da Napoli a Venezia, fino al Levante ligure, la scrittrice perse due figli, di malattia, e poi il marito Percy Bysshe Shelley, naufragato nel 1822 al largo di Livorno.
Eppure l’Italia appare spesso (direi sempre…) nei suoi diari, nelle sue opere letterarie, e anche nel resto della sua vita. Sia perché l’autrice di Frankenstein ci tornò, con il figlio Percy Florence, sia perché si innamorò nel 1843 di un «facinoroso bellimbusto» italiano, tal Ferdinando Gatteschi, esule a Parigi in quanto affiliato alla Giovine Italia. Gatteschi amava vivere “a sbafo”, facendosi mantenere da ricche amanti; e anche Mary dovette pagare pegno, perché gli donò i proventi del suo libro Rambles in Germany and Italy in 1840, 1842 and 1843, nel quale descrive proprio il viaggio fatto insieme con l’unico figlio rimasto.
La sua storia d’amore finì malissimo, tra minacce e ricatti. Ma il suo libro ci resta come documento della sua idea di Italia, un luogo meraviglioso dove si può godere di bellezze senza pari e dove si può affermare che «soffrire è diverso sotto questo cielo». E di sofferenza dovette patirne anche in quel viaggio “alla ricerca del tempo perduto”, ad esempio nell’affannosa ricerca a Roma delle tombe del figlio e del marito; o nello scrutare il mare in tempesta a Sorrento, che trovava tanto simile a quello che aveva fatto naufragare il suo Percy vent’anni prima.

  • xGiovanni Battista Piranesi. Le rovine del Colosseo (1756)
  • xIncisione settecentesca, La cascata della Marmore
  • xIncisione settecentesca, Il teatro alla Scala di Milano

Una fuga per ragioni politiche (Vigée Le Brun), un viaggio tra il reale e il letterario (de Staël), un itinerario di amore e di dolore (Shelley), dunque. Avrei potuto citare anche altre donne viaggiatrici, ma mi fermo qui, perché già ho scritto troppo.
Inoltre, in questi giorni di forzata “clausura”, parlare di viaggi è un po’ doloroso, tanto più se si debbono descrivere le bellezze del nostro Paese, così vicine ma ora così inaccessibili. Non so se davvero «soffrire è diverso sotto questo cielo», ma certamente sarà bellissimo e «diverso» potere tornare al più presto a visitare, ad esempio, gli scavi di Pompei e Ercolano che emozionarono Mary Berry e Sydney Owenson Morgan, o il Colosseo in rovina che inquietò Elisa von der Recke, o la Cascata delle Marmore, che piacque un po’ a tutte. Per non parlare della visione e dell’ascolto dell’opera alla Scala di Milano, di cui ci parla Hester Piozzi, stupita dalla perfetta acustica.
Per ora, però, stiamocene a casa, tutti; e viaggiamo chiusi nella valigia delle nostre dame settecentesche, con l’unica avvertenza di fare attenzione al costante sobbalzo delle loro carrozze.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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