Chi scrive a Milano ci è nato, agli inizi degli anni Sessanta, e per noi milanesi – almeno fino a qualche anno fa – l’espressione “città d’arte” evocava Roma, Firenze e Venezia e non certo la nostra città, alla quale nel tempo erano stati affibbiati appellativi di ben altro tenore. Tra questi “capitale morale”, “capitale economica”, come pure l’ambigua formula “Milano da bere”, che evocava quel mix di leggerezza, divertimento e corruzione che porterà nei primi anni Novanta alla tempesta di Tangentopoli.
Tra passato e presente
Le domeniche mattina, in piazza Duomo, si trovava pochissima gente, e il centro cittadino si popolava solo nel primo pomeriggio quando venivano presi d’assalto i numerosi cinema. Difficile che qualcuno mi dicesse che era venuto a Milano – da località più o meno vicine – per visitare Brera, l’Ambrosiana o il Poldi Pezzoli; al massimo faceva un salto in Duomo o al Castello Sforzesco, e i più interessati frequentavano le mostre di Palazzo Reale, che però mai mostravano “code” come quelle attuali. Sembrava che i veri “poli culturali” della città fossero solo i teatri: la Scala, con le sue contestate ma notissime “prime”, e il “Piccolo”, animato da quel geniaccio che fu Giorgio Strehler.
Oggi Milano è – a tutti gli effetti – percepita come una “città d’arte”, o comunque come una meta dove milioni di turisti sono attratti da un peculiare mix di cultura, shopping e gastronomia; e se molti cinema del centro sono tristemente chiusi, la domenica mattina (e non solo) la città pullula di singoli e gruppi di italiani e stranieri, molti dei quali – grazie al cielo – affollano musei, mostre e visitano numerosi monumenti e non solo La Rinascente.
Un’interessante esposizione milanese
La rivendicazione del fatto che questa robusta identità culturale milanese non sia un fenomeno contemporaneo, ma venga invece da lontano, è il fil rouge di una mostra aperta fino al 16 marzo 2025 alle Gallerie d’Italia di Milano, dal titolo Il genio di Milano. Crocevia delle arti dalla Fabbrica del Duomo al Novecento a cura di Marco Carminati, Fernando Mazzocca, Alessandro Morandotti e Paola Zatti, che racconta come – attraverso 140 opere tra dipinti, marmi, manoscritti, disegni, sculture di diversa provenienza – il capoluogo lombardo sia stato da sempre luogo di innovazione anche in campo storico-artistico.
Dal Medioevo al Seicento
Si comincia con un’indagine sulla “Fabbrica del Duomo”, illustrata attraverso calchi, vetrate, modelli, per poi passare a definire il ruolo di uno dei maggiori “ospiti” della città, cioè Leonardo da Vinci, chiamato nel 1482 alla corte di Ludovico il Moro.
Sono esposte numerose preziosissime “carte” conservate di solito alla Pinacoteca della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, nonché opere di autori cosiddetti “leonardeschi” (come l’ottimo Marco d’Oggiono, del quale si ammira una bellissima tavola che raffigura Maria, con il bambino, San Giovanni e l’Angelo, dei primi del Cinquecento.
La menzione dell’Ambrosiana ci porta alla sezione interamente dedicata al suo fondatore, quel Federigo Borromeo che fu più di un arcivescovo-mecenate; se non temessi di mancare di rispetto a un cardinale, per di più cugino di un santo, parlerei di lui come di un influencer del Seicento, il quale – in una città aperta ai commerci e agli scambi internazionali – promosse la passione per la pittura fiamminga e i nuovi generi del paesaggio e della natura morta.
Neoclassicismo e Romanticismo
Ma è inutile che ci giri intorno: la Milano che più amo è quella tra la seconda metà del Settecento e la prima dell’Ottocento, contesa tra Napoleone e gli Asburgo, prima sicuro punto di riferimento della cultura illuminista e del movimento Neoclassico – con l’architetto Giuseppe Piermarini e il pittore Andrea Appiani, su tutti – poi di quello romantico che in parte ruotò intorno alla figura del letterato Alessandro Manzoni, e si incarnò nell’arte di Pelagio Palagi, Francesco Hayez, Massimo d’Azeglio, Giuseppe Molteni, Giovanni Migliara e Angelo Inganni.
Volete sapere un quadro esposto da non perdere di questo lungo periodo? A mio modestissimo avviso il leggiadro dipinto di Andrea Appiani, Joséphine Bonaparte de Beauharnais incorona il mirto sacro a Venere, una vera delizia per gli occhi.
Verso la contemporaneità
La Milano post-unitaria, votata alla modernità e all’industrializzazione, vide sorgere alcuni movimenti sperimentali e/o avanguardistici, come il Divisionismo (con Giovanni Segantini – del quale spicca il grandioso Le due madri – Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo) e il Futurismo (il passaggio tra le due esperienze è impersonato dalla figura di Umberto Boccioni, del quale ammiriamo Meriggio. Officine a Porta Romana); ne seguì poi il “ritorno all’ordine” promosso da Margherita Sarfatti e dal movimento “Novecento” (i cui pezzi da novanta furono Mario Sironi e Achille Funi).
Non mancano, da ultimo, testimonianze dell’eclettica arte di Adolfo Wildt, Lucio Fontana e Fausto Melotti. E non manca certo, nel milanese che scrive, l’orgogliosa consapevolezza che la sua città sia stata considerata – dal punto di vista artistico – per troppo tempo una sorta di “brutto anatroccolo” e che sia invece uno splendido “cigno”, proprio come quello che amoreggia con Leda in un’imponente scultura di Arturo Martini che in questi giorni è visibile alle Gallerie d’Italia.
ADDENDUM
Mi pare corretto trascrivere quanto indicato nel comunicato stampa:
L’esposizione, dal forte carattere identitario per la città di Milano, è realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e in partnership con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, e vede la collaborazione delle più importanti istituzioni culturali milanesi, come la Veneranda Fabbrica del Duomo, il Museo Diocesano, la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco, il Museo Poldi Pezzoli, la Biblioteca Nazionale Braidense, la GAM, il Museo del Novecento, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, molte delle quali organizzeranno nei prossimi mesi iniziative in dialogo con le Gallerie d’Italia.
In mostra 140 opere tra dipinti, marmi, manoscritti, disegni, sculture, provenienti dalle raccolte e dai depositi dei musei milanesi e da musei nazionali e internazionali come il Mart di Rovereto, Gallerie dell’Accademia di Venezia, Galleria Borghese di Roma, Kunsthistorisches Museum di Vienna, oltre che da Fondazioni, collezioni private e dalla collezione Intesa Sanpaolo.