Il futuro non è più quello di una volta. Lo ricordano Soresi e Nota1, evidenziando come la globalizzazione dei mercati, le politiche economiche neoliberiste, spesso fuori controllo, e il crescente impatto dell’automazione sui sistemi produttivi abbiano favorito fenomeni di concentrazione della ricchezza, un aumento delle disuguaglianze, incertezza e nuove dinamiche nel mercato del lavoro.
Lo sguardo al futuro
Fenomeni quali il mismatch, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, conoscono oggi nuove dimensioni che vanno ben oltre la richiesta di nuove competenze professionali e che investono dimensioni esistenziali, di senso e prospettiva nella vita delle persone. Oppure quello della great resignation, dimissioni volontarie da posizioni di lavoro a tempo indeterminato, che da alcuni anni riguardano in forma rilevante anche il nostro Paese, ponendo nuovi interrogativi sul modo in cui le persone pensano al lavoro nella loro vita. Secondo l’AIDP, l’Associazione italiana per la direzione del personale, le dimissioni volontarie interessano il 60% delle aziende, riguardano decine di migliaia di posizioni e coinvolgono principalmente le aree dell’informatica e del digitale, del marketing e delle vendite. Decidono di lasciare il lavoro soprattutto giovani fra i 26 e i 35 anni (il 70% del campione analizzato) e perlopiù impiegati in aziende del Nord Italia. Ad alimentare la great resignation concorrono in modo particolare la ricerca di condizioni economiche più soddisfacenti e la speranza di trovare un migliore equilibrio fra vita privata e lavoro. E ancora, il quiet quitting, un “abbandono silenzioso” che si traduce nello svolgere il proprio lavoro facendo il minimo indispensabile, senza entusiasmo, spirito d’iniziativa e disponibilità alla collaborazione.
Altra preoccupante anomalia è quella dei NEET, acronimo di Not in Education, Employment or Training, giovani che non sono in formazione, non lavorano e non cercano lavoro. In Italia si stima interessi quasi tre milioni di persone, con un valore percentuale molto superiore rispetto a tutti gli altri Paesi europei. Fenomeno che non può essere ridotto al semplice disallineamento tra competenze possedute e quelle richieste dal mercato del lavoro. Anche in questo caso è necessario interrogarsi più a fondo sulle ragioni che possono essere alla base di una tale anomalia.
In generale, si dovrebbe riflettere a fondo su tutte le altre forme di disorientamento che portano i giovani a sviluppare convinzioni e comportamenti disfunzionali che interferiscono negativamente sulla possibilità di rappresentarsi e costruire il proprio futuro, quando non finiscono per manifestarsi come vere e proprie forme di devianza.
Restano poi i problemi ben noti della dispersione scolastica, dei bassi livelli d’istruzione della popolazione, con valori percentuali di laureati che nel nostro paese sono tra i più bassi in Europa, nonché gli esiti di apprendimento che, come conferma l’ultima indagine Ocse-Pisa del 2022, continuano a presentare un segno negativo rispetto al passato pre-pandemia; con circa il 30% di studenti che non raggiunge il livello corrispondente alle competenze di base, e solo sette su 100 raggiungono i livelli più alti a fronte di una media OCSE di nove. Esiti che registrano anche forti differenze territoriali, con evidente svantaggio del Sud e delle isole.
Il rilievo strategico dell’orientamento
Si comprendono quindi le ragioni del rilievo strategico attribuito all’orientamento nelle politiche scolastiche: per contrastare ritardi e abbandoni, promuovere il successo formativo e sostenere le politiche attive del lavoro. All’interno di tale quadro possono essere lette importanti raccomandazioni del Consiglio europeo, decreti, direttive e linee guida del Ministero dell’Istruzione, rapporti, studi e ricerche di organismi nazionali e internazionali. Lo stesso PNRR all’interno della Missione 4, relativa a Istruzione e Ricerca, delinea una Riforma del sistema di orientamento.
Pur all’interno di un dibattito scientifico molto articolato, da una decina di anni è stata condivisa una definizione di orientamento, formalmente concordata tra Governo, Regioni ed Enti locali2, che recita: «l’orientamento è un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale e culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi ed interagire in tali realtà al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire e ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare e rielaborare un progetto di vita e sostenere le relative scelte». È una concezione dell’orientamento come processo che mette al centro la persona; le azioni di chi sostiene questo processo, sia che si tratti di docenti all’interno del sistema formativo sia di altre figure professionali dedicate, sono finalizzate a sviluppare una crescente consapevolezza del sé, nel senso più ampio, alla conoscenza ed esplorazione della realtà ambientale, e non solo in senso professionale, alle dinamiche di scelta in una prospettiva che interessa l’intero arco della vita. Quindi il problema non è solo quello di scegliere un percorso formativo o un lavoro, ma imparare a leggere sé stessi e la realtà interpretando sempre a pieno i propri ruoli esistenziali.
In questa direzione, contributi più recenti hanno ulteriormente sottolineato il ruolo dell’orientamento come «dispositivo a favore della dignità umana, della giustizia sociale e dello sviluppo sostenibile per tutti»3 mettendo in evidenza come alcune dinamiche del mercato del lavoro, caratterizzate da estrema fluidità, incertezza, precarizzazione dei ruoli professionali, si presentino come “minacce” per la progettazione di un futuro di qualità per tutti, anche in relazione alla predominanza di visioni neoliberiste che tendono a trascurare il benessere delle persone e il loro diritto all’autodeterminazione.
La valenza formativa dell’orientamento
L’approdo arriva al termine di una ben più lunga navigazione, che ha visto convergere gli esiti di ricerche provenienti da ambiti disciplinari diversi – psicologico, sociologico, pedagogico, economico – verso modelli che pongono al centro l’empowerment della persona in una prospettiva life long learning, con l’obiettivo di creare e potenziare strutture e azioni di supporto alla capacità di orientarsi delle persone rispondendo ai diversi bisogni personali, esistenziali e professionali.
E forse vale la pena ricordare che nel 1954 Pietro Braido4, nell’editoriale del primo numero della rivista «Orientamenti pedagogici», dal titolo Educare è orientare, scriveva queste parole:
Educarsi, crescere, maturare è agire. Ma non c’è agire senza una direzione.
Educarsi è agire di un essere razionale. Ma non c’è agire proprio di un essere razionale senza una direzione conosciuta razionalmente e razionalmente voluta e perseguita.
Educarsi significa precisamente questo: scoprire la giusta direzione, lo scopo, l’orientamento della propria vita e rendersi capaci di tendervi volitivamente, attivisticamente. Maturità, carattere, personalità sono i termini che esprimono la consapevolezza di tale orientamento e la capacità di raggiungerlo effettivamente.
In quegli anni la ricerca e le pratiche di orientamento erano ancora fortemente legate ad approcci psico-attitudinali, alla ricerca del matching tra tratti personali e profili professionali. Attitudine, inclinazioni, tratti della personalità e test psicometrici per misurarne il livello erano ancora al centro della ricerca e delle pratiche di orientamento.
Eppure Pietro Braido sottolineava già con forza come educare ed educarsi implichino una direzione, uno scopo per la propria vita e la capacità di agire e tendervi volitivamente.
È intorno agli anni Settanta del secolo scorso che abbiamo una svolta netta. Con il congresso UNESCO di Bratislava l’orientamento è definito «un processo che consente all’individuo di prendere coscienza di sé, di progredire con i suoi studi e la professione, in relazione alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona umana».
La definizione costituisce ancora oggi un punto di riferimento autorevole, che ha contribuito a diffondere la consapevolezza dell’importanza dell’orientamento come strumento di crescita personale e sociale, sottolineando in particolare la sua funzione nel promuovere l’autoconsapevolezza dell’individuo e il suo diritto all’autodeterminazione.
L’orientamento, dunque, si concretizza in un insieme di azioni volte a sostenere ciascuno nel pieno sviluppo di sé in relazione ai propri bisogni, ai propri interessi e alle proprie aspettative, e a promuovere l’autodeterminazione del soggetto per la piena inclusione sociale e professionale, educandolo a monitorare il proprio percorso e compiere scelte adeguate.
Nella scuola italiana specifiche indicazioni normative per l’orientamento si sono succedute negli anni. Tappe fondamentali possono essere considerate la Direttiva Ministeriale n. 487 del 1997 e quindi una serie di circolari, direttive e Linee guida. Nel dicembre 2013, la Conferenza unificata Stato e Regioni emana le Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente, con funzione d’indirizzo, cui seguiranno a breve distanza di tempo linee guida del MIUR, che ne contestualizzano le azioni all’interno del sistema scolastico e universitario. Infine, nel dicembre 2022, le ultime Linee guida per l’orientamento, che ne ribadiscono il rilievo strategico per contrastare ritardi e abbandoni, promuovere il successo formativo, migliorare il raccordo con il mondo del lavoro. Caratterizzate da uno spirito di concretezza e operatività, ai fini dell’attuazione della riforma dell’orientamento, presentano alcuni aspetti che possono apparire contraddittori se letti alla luce della più recente riflessione teorica sull’orientamento. Si tratta di capire se queste Linee guida si collocano realmente nel solco della concezione formativa dell’orientamento che ispirava le precedenti, che pure vengono richiamate nel testo.
Le parole e i modelli dell’orientamento
Una questione che merita un approfondimento è il modello o i modelli di orientamento ai quali queste linee guida si riferiscono. Sono in continuità con le precedenti linee guida del 2014, esito di un lungo processo che ha impegnato anche la comunità scientifica? Se sì, qual è il senso di far partire gli interventi di orientamento, come sistema strutturato e coordinato «dal riconoscimento dei talenti, delle attitudini, delle inclinazioni e del merito degli studenti»?
Sembrerebbe di poco conto approfondire le ragioni di un richiamo a termini, in particolare «attitudini e inclinazioni», che nel corso degli anni hanno perso quella centralità che gli era invece riservata negli approcci psico-attitudinali.
In realtà, abbiamo imparato da Carroll e sperimentalmente dal mastery learning5 che le attitudini e più in generale le caratteristiche individuali non necessariamente costituiscono un limite alla propria progettualità e al conseguimento del risultato: resta quindi il sospetto che vi sia sottesa un’idea di orientamento finalizzata al miglior matching tra tratti personali e scelte formative e professionali, privilegiando un’ottica funzionalista di indirizzo produttivo, piuttosto che centrata sulla ricerca e sulla maturazione di una propria identità che richiama dimensioni esistenziali, interessi e valori.
Antonia Cunti6, a tale riguardo, ha opportunamente sottolineato che la questione «è se effettivamente talenti, attitudini, inclinazioni e merito possano essere considerati un prima e, di conseguenza, l’insegnamento come un’operazione di accompagnamento ad una sorta di disvelamento. Se si assume che l’insegnamento dovrebbe contribuire al definirsi degli studenti come soggetti, si può ipotizzare che tutto quanto viene indicato come una premessa potrebbe invece costituire un esito».
Se al principio del valore predittivo delle attitudini e delle inclinazioni si aggiunge una certa enfasi, che troviamo nelle linee guida, sulla personalizzazione dei piani di studio, e un richiamo alla certificazione delle competenze quale strumento di riorientamento per favorire i passaggi fra i percorsi di studio del sistema nazionale d’istruzione e i percorsi dell’istruzione e formazione professionale regionali o l’apprendistato formativo, si avvalora il rischio che talenti, attitudini, inclinazioni e merito possano tradursi, in particolare per i soggetti più deboli, in strumenti di discriminazione, sia pure all’interno di una convinzione di aderenza a un principio di realtà, piuttosto che in funzione di promozione e valorizzazione.
Come è noto, nel nostro sistema scolastico l’istruzione tecnica e professionale, salvo significative eccezioni, ha perso sempre più la funzione di raccordo con il mondo del lavoro, ed è spesso percepita come percorso scolastico che richiede minore impegno rispetto ai percorsi liceali, connotandosi di fatto come percorso di grado inferiore. Anche i dati delle ultime rilevazioni OCSE-PISA (2022) ribadiscono il dato di forti differenze in tutti gli ambiti tra risultati conseguiti da studenti che frequentano i licei rispetto a quanti frequentano gli istituti tecnici e professionali. Ciò determina di fatto che istituti tecnici e professionali, alle analisi statistiche, risultino frequentati da studenti con carriere scolastiche “problematiche”, provenienti da famiglie con status socio-economico più basso. Al tempo stesso, quella che sembrerebbe una scelta ispirata da un principio di realtà, ossia un percorso formativo che può essere più agevolmente concluso, sempre alle analisi statistiche, si dimostra palesemente falsa, giacché risulta più elevata la percentuale di abbandoni e ritardi proprio negli istituti tecnici e professionali. Nei licei il tasso di dispersione scolastica è all’1,6%, negli istituti tecnici al 3,8% mentre nei professionali al 7,6% e al 7,9 nella formazione professionale regionale.
Non dovrebbe meravigliare quindi se da alcuni anni la preferenza delle iscrizioni è per il sistema liceale. Certamente il dato conferma, anche dal punto di vista delle famiglie e degli adolescenti, la percezione di una debolezza dell’istruzione tecnica e professionale in Italia, che come opportunamente si vuole fare va rafforzata anche con una significativa estensione al livello terziario. Ma se l’orientamento viene visto come strumento utile a indirizzare verso queste scelte, magari passando per la valorizzazione di talenti, attitudini e inclinazioni, siamo ancora una volta davanti a un paradosso. Il potenziamento dell’istruzione tecnica e professionale, questione emergente del nostro sistema scolastico, non ha nulla a che vedere con l’orientamento. L’orientamento si occupa di aiutare le persone a migliorare la propria vita e non di distribuirle nelle caselle che di volta in volta possono risultare funzionali e produttive.
La didattica orientativa
Una questione di fondo è quella della collocazione delle attività di orientamento all’interno del curricolo. Se nelle precedenti indicazioni risultava ben chiaro, con la formula della mastery learning, che le azioni di orientamento nella scuola si connotano come processo che investe trasversalmente, sia pure con diversi gradi di specificità, l’azione educativa, e che riguarda tutti i docenti e la comunità educante nel suo complesso, nelle ultime linee guida non si percepisce allo stesso modo tale evidenza. Il riferimento all’orientamento come processo che parte sin dalla scuola dell’infanzia è appena accennato, peraltro con un richiamo al riconoscimento dei talenti e delle attitudini di cui abbiamo già evidenziato gli aspetti di criticità. Vale la pena ricordare la fecondità di molte ricerche che hanno esplorato lo sviluppo e il potenziamento delle funzioni esecutive, sin dai primissimi anni, in relazione all’orientamento7.
Le linee guida sembrano invece prioritariamente rivolte a fornire indicazioni per la scuola secondaria. E tra queste indicazioni spicca in particolare quella che impone nelle secondarie di primo e secondo grado la realizzazione di moduli curriculari di orientamento di 30 ore, che peraltro, nella secondaria di primo grado e nelle prime due classi del secondo grado, possono essere anche extra curricolari. È vero che poche righe sotto si richiama all’esigenza di non intendere i moduli come «contenitore di una nuova disciplina», evidentemente avvertendo la contraddizione di distinguere di fatto le attività di orientamento, proposte attraverso specifici moduli, dal curricolo scolastico.
Ed è quello che sta accadendo in molte scuole, una sovrabbondanza di proposte di moduli e attività di orientamento (Università, PCTO ecc.) che difficilmente trovano una efficace collocazione integrata al curricolo scolastico. E ci si domanda anche: cosa resterà di tutto questo quando verranno meno i fondi del PNRR?
E-portfolio e diritto all’oblio
In quanto all’e-portfolio, strumento di straordinaria valenza orientativa, si tratterà di vedere se nella interpretazione di queste linee guida da parte dei docenti, degli studenti e delle famiglie prevarrà quella di uno strumento finalizzato a raccogliere informazioni sul percorso scolastico, sia pure con una valutazione critica delle stesse, oppure come strumento utile a valorizzare attraverso un processo narrativo la costruzione e ricostruzione della propria identità personale e sociale. Processo che implica un impegno riflessivo in prospettiva temporale non solo sul piano cognitivo, ma anche affettivo-motivazionale.
Anche dalle più recenti disposizioni (DL 2-4-24 n. 19) sembrerebbe invece prevalere una logica che tende alla valorizzazione della “documentazione oggettiva” con l’inserimento nel curriculum dello studente dei «livelli di apprendimento conseguiti nelle prove scritte a carattere nazionale di cui all’articolo 19, distintamente per ciascuna delle discipline oggetto di rilevazione e la certificazione sulle abilità di comprensione e uso della lingua inglese» così come quello di adottare un «modello nazionale di consiglio di orientamento, da integrare nell’e-portfolio» al fine di «valorizzare il consiglio di orientamento rilasciato dalle istituzioni scolastiche agli alunni della classe terza della scuola secondaria di primo grado a supporto della scelta del percorso di istruzione e formazione al termine del primo ciclo di istruzione». La logica ispiratrice sembra chiara, mettere in atto un sistema finalizzato a “orientare” studenti e famiglie verso percorsi “preferenziali” in coerenza con gli esiti scolastici precedentemente ottenuti. Ma la funzione orientatrice del portfolio è diversa, si basa sulla possibilità di ricostruire, attraverso il dispositivo narrativo, il proprio vissuto reinterpretandolo continuamente al fine di “orientarsi”, dare senso e prospettiva alle azioni del presente e autodeterminare il proprio futuro. È il potere del pensiero narrativo, che concede anche il diritto all’oblio.
La formazione dei docenti e il docente tutor
Un ruolo di primo piano anche nel supporto alla costruzione dell’e-portfolio è attribuita al “docente tutor”. Si tratta di una novità di grande rilievo non tanto l’aver previsto figure di coordinamento e supporto, docente tutor e docente alle attività di orientamento (anche le linee guida del 2014 prevedevano l’impegno di figure di sistema), ma l’averne definito meglio ruolo e funzioni, una procedura di selezione, un percorso formativo e un incentivo di carattere retributivo. Naturalmente anche in questo caso si tratterà di vedere come questa figura svolgerà il proprio ruolo, se sarà in grado di coordinare le attività incentivando e valorizzando le funzioni orientative di tutti i docenti oppure accentrerà a sé lo svolgimento di quelle azioni delineate nelle linee guida, dal supporto alla realizzazione dell’e-portfolio, alla consulenza alla scelta. Spesso nelle dinamiche scolastiche si assiste a un comportamento di delega alle figure dedicate, comportamento che contraddirebbe il senso autentico della didattica orientativa.
Il fatto di aver previsto una formazione specifica per queste figure e l’aver espressamente sottolineato che «l’orientamento diviene priorità strategica della formazione, nell’anno di prova e in servizio, dei docenti di tutti i gradi di scuola» manifesta un impegno a promuovere una specifica cultura dell’orientamento nella formazione dei docenti. Tuttavia nei criteri di selezione dei docenti tutor (MIM, circolare n. 958 del 5 aprile 2023) non vi è alcun richiamo al riconoscimento di una formazione specifica, seppure diverse università abbiano attivato specifici corsi di aggiornamento, perfezionamento e master che vedono la partecipazione di molti docenti.
L’e-portfolio è anche richiamato quale «innovazione tecnica e metodologica per rafforzare, in chiave orientativa, il consiglio di orientamento, per la scuola secondaria di primo grado, e il curriculum dello studente, per la scuola secondaria di secondo grado».
Quanto al consiglio di orientamento per il primo grado, le linee guida rimandano alla normativa che lo prevede sin dall’istituzione della scuola media unica nel 1962. Sino a oggi la letteratura sul consiglio di orientamento nella scuola media ha sottolineato in larga misura i sottesi rischi di discriminazione piuttosto che la sua valenza orientativa8. In particolare Checchi9 ha evidenziato come gli insegnanti tendano a formulare il consiglio di orientamento tenendo conto sia dei giudizi scolastici sia del possesso delle competenze, ma nel formulare i propri giudizi orientativi sembrano condizionati dall’ambiente socio-culturale di provenienza degli alunni, misurato dall’istruzione dei genitori come anche dal background culturale a livello di scuola.
Altro elemento di novità introdotto dalle linee guida è la realizzazione di una “Piattaforma digitale unica per l’orientamento”. Si tratterà prevalentemente di uno strumento informativo di supporto alle scelte. Un docente, che dovrà essere individuato dalla scuola nel proprio quadro organizzativo e finanziario, avrà il compito di svolgere una funzione di mediazione e integrazione dei dati per agevolarne l’uso da parte delle famiglie. Anche su questo punto, che riguarda esplicitamente la dimensione informativa dell’orientamento, sarà molto importante svolgere un’azione di sensibilizzazione. Troppo spesso il supporto informativo all’orientamento, quando non si collochi all’interno di un processo formativo che favorisca l’esplicitazione di una domanda d’informazione, risulta del tutto inefficace10. Mettere a disposizione l’informazione, anche se di qualità, non produce sul destinatario alcun effetto se questi non è adeguatamente attrezzato per riceverla e comprenderla ma ancor più importante se non ha maturato una piena consapevolezza rispetto all’esigenza dell’informazione che gli viene offerta.
Infine, come in più punti sottolineato nelle linee guida, un aspetto fondamentale rimanda alla formazione iniziale e in servizio dei docenti. Il decreto che detta disposizioni per la realizzazione dei percorsi abilitanti da 60 CFU per l’insegnamento nella scuola secondaria nel definire il profilo del docente abilitato richiama esplicitamente tra le competenze professionali quelle «specifiche nella didattica orientativa volta a sviluppare le risorse in possesso di tutti e di ciascuno, e ad incoraggiare la costruzione di una positiva immagine di sé e del progetto di vita». Si tratta di un obiettivo formativo di notevole complessità e c’è da augurarsi che nell’ambito degli esigui crediti di area psico-pedagogica sia possibile assicurare uno spazio adeguato a una formazione specifica.
NOTE
1. S. Soresi, L. Nota, L’orientamento e la progettazione professionale, il Mulino, Bologna 2020.
2. Conferenza unificata Governo, Regioni, Enti locali. Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente, 5 dicembre 2013.
3. Soresi, Nota, L’orientamento e la progettazione professionale, cit., p.9.
4. P. Braido, Educare è orientare, in «Orientamenti Pedagogici», n. 1, 1954, pp. 3-9.
5. H. J. Bloch, L.W. Anderson, Mastery learning in classe, Lœscher, Torino 1975.
6. A. Cunti, L’orientamento come costruzione di attitudini. Sul ruolo della scuola (a ridosso delle “Linee guida per l’orientamento”), in «Nuova Secondaria» n. 8, 2023, pp. 211-217.
7. R. Branstetter, Impara a organizzarti, Erickson, Trento 2016.
8. M. Romito, L’orientamento scolastico nella tela delle disuguaglianze? Una ricerca sulla formulazione dei consigli orientativi al termine delle scuole medie, in «Scuola democratica», n. 2, 2014, pp. 441-460.
9. D. Checchi, Orientamento verso la scuola superiore: cosa conta davvero?, in «RicercAzione», n. 2, 2010, pp. 215-35.
10. M. Margottini, Informazione e afferenza alle fonti informative, Monolite, Roma 2002.