È uscito qualche mese fa un poderoso volume, di oltre 2000 pagine, a a cura di Margherita Marvulli: L’antichità classica e il Corriere della Sera, tra i documenti più interessanti che mi siano capitati sottomano negli ultimi tempi.
Il «Corriere della Sera», fondato nel 1876, è uno dei più antichi giornali italiani e del nostro Paese – nel bene e nel male – è stato (ed è ancora? forse sì, forse no…) un suo specchio fedele, anche sul versante culturale. Lo dimostra il poderoso volume di oltre 2000 pagine edito qualche mese fa a cura di Margherita Marvulli, e cioè “L’antichità classica e il Corriere della Sera”, Fondazione Corriere della Sera, Milano 2017, che è tra i documenti più interessanti che mi siano capitati sottomano negli ultimi tempi: contiene infatti larga parte degli articoli di argomento antichistico comparsi sul quotidiano dal 1876 al 1945.Firme prestigiose
E chi se la sente di recensire davvero un libro così? Incutono timore reverenziale non solo i nomi degli autori (bastano Guido Calza, Emilio Cecchi, Luigi Castiglioni, Amedeo Maiuri, Ugo Ojetti, Roberto Paribeni, Giorgio Pasquali, Ettore Pais, Ettore Romagnoli?) ma anche l’eterogeneità dei temi trattati, ben visibile dalle numerose sezioni in cui il volume è diviso. Dunque solo alcune considerazioni, tra le tante che è possibile fare per chi – come il sottoscritto – ne abbia letto finora solo una (pur considerevole) parte.
Saggi, più che articoli
Prima considerazione. Non stupirò nessuno se dirò che alcuni pezzi di argomento archeologico, storico o filologico, come pure alcune acutissime recensioni di libri, destinati alla “terza pagina” non avrebbero stonato in riviste specialistiche: nessun quotidiano oggi potrebbe permettersi articoli (veri e propri saggi) densi e lunghi come Armi e religione in Roma antica (A. De Marchi, 3.03.1915), L’epica vita di Ventidio Basso (U. Silvagni, 14.05. 1934) o Il tribunato della plebe (E. Pais, 9.03. 1934). Roba da addetti ai lavori, insomma.
Il fascino patriottico della Romanità
Seconda considerazione. Già le date degli articoli appena citati sono in qualche modo “parlanti”… Infatti, come ricorda anche Luciano Canfora nella sua Introduzione, lo slancio patriottico legato alla Grande guerra prima, e la retorica imperiale del Fascismo poi, hanno contribuito a stimolare un forte interesse per la storia, la civiltà, l’archeologia, la letteratura di quella Roma antica, che la fa un po’ da padrona sulle colonne del «Corriere». Lo dimostrano anche – tra gli altri – due articoli relativi al bimillenario virgiliano del 1930 (G. Lipperini, 12.11.1930) e ai progetti per quello augusteo del 1937 (L. Bottazzi, 18.04.1933), eventi che il Regime seppe sfruttare abilmente in chiave propagandistica: sul «Corriere» di quegli anni, infatti (e non solo su quello!), non mancavano le lodi del Duce e dell’ideologia dominante.
Mondo classico e sistema scolastico
- La copertina del volume
- Primo numero del Corriere
- Giorgio Pasquali
- Francobollo celebrativo del bimillenario augusteo (1937)
- Ruggiero Bonghi, “Storia di Roma”
- Ugo Ojetti ritratto da Oscar Ghiglia (1908)
- Theodor Mommsen
Terza considerazione. Superano la trentina gli interventi relativi al sistema scolastico e universitario italiani, a dimostrare come la cultura classica (e con essa il Latino e il Greco) sia da sempre stata vista come cifra distintiva della nostra Scuola. Impressiona come alcuni temi siano degli evergreen, come una riflessione sullo Studio del Latino (O. Brentari, 5-6.02.1894) nella quale si evidenzia lo scollamento tra le circolari ministeriali e la prassi didattica, lamentela che risuona ancor oggi nei corridoi di quasi tutte le scuole italiane. E proprio il dilemma “Latino sì o no?” attraversa i numerosi pezzi relativi al passaggio alla “scuola unica”, che vanno da fine Ottocento all’epoca fascista. Che dire poi della ripetuta attenzione al concetto di “scuola di massa”, col vaglio dei suoi pro e dei suoi contro? Se ne parla a principiare da Troppi ginnasii, troppi licei (M. Torraca 29-30.11.1896) fino alle riflessioni fatte nientemeno che da Giovanni Gentile nel 1939 (La carta della scuola, 22.03.1939).
La stroncatura di un manuale scolastico
Quarta considerazione. Da vecchio autore di libri di testo quale sono mi ha impressionato – per restare in ambito scolastico – la recensione (9-10.11.1884) di un nuovo manuale di Storia Romana per le Scuole Superiori, edito a Napoli e scritto da Ruggiero Bonghi, erudito e poi uomo politico di un certo spessore. L’anonimo articolista dice ogni male del volume, soprattutto per “come” è scritto, cioè in modo sciatto e frettoloso, ma aggiunge anche «fin dalla prima pagina abbiamo avuto la riprova che fare un libro per le scuola è cosa difficilissima, e anche gli ingegni più alti ci fanno fiasco». Insomma, avendo da poco licenziato anch’io un manuale di storia per il biennio dei licei, mi sono prima inquietato (avrò fatto fiasco anch’io, insieme con i miei colleghi co-autori?) e poi tranquillizzato, ritenendo improbabile che quel recensore sia ancora in servizio! Comunque Bonghi (che scopro essere stato anche Ministro dell’Istruzione!) ha tutta la mia solidarietà postuma.
Theodor Mommsen e Gabriele D’Annunzio
Ultima considerazione. Ugo Ojetti sarà stato anche tra gli intellettuali più sfacciatamente schierati col fascismo, ideologia che non tradì mai, aderendo pure alla Repubblica Sociale. Eppure quando ne leggiamo gli articoli (al netto del disgusto per la parola “razza” usata come una clava…) dobbiamo riconoscergli una penna straordinaria e un acume fuori dal comune.
Chi scrive, da buon epigrafista, non poteva lasciarsi sfuggire un paio di articoli di Ojetti su Theodor Mommsen: il suo necrologio (2.11.1903) e soprattutto un godibilissimo pezzo (Theodor Mommsen, 25.01.1925) nel quale rievoca un’intervista che egli, da giovane, aveva fatto al grande storico che alloggiava all’Istituto archeologico prussiano sul Campidoglio.
Tutto è ricostruito con cura, dalla descrizione fisica del nostro («capelli lunghi e bianchi alla Listz … naso aguzzo, bocca senza labbra, rughe profonde»), a quella della sua modesta stanza, della pantofole e della redingote indossate, fino al contenuto della conversazione, che spazia da temi culturali ad altri politici, nella quale il vecchio Mommsen mantiene – a costo di apparire non troppo simpatico – il rigore che gli riconosciamo.
Ma è quando si parla di poesia che l’articolo diventa gustosissimo. Mommsen conosce e apprezza – pur con qualche riserva – Giosue Carducci, tanto da avere cenato con lui la sera prima. Tra gli altri poeti italiani, egli dimostra poi di amare Ada Negri «per il sentimento del dovere e il rispetto del lavoro che comunica coi suoi versi». Ojetti però lo incalza chiedendogli: «E D’Annunzio?», domanda la cui risposta mommseniana è tutto un programma «Chi?… Non conosco, è poco tempo che scrive?».
Non so se l’austero Mommsen non lo conoscesse davvero (il futuro Vate era già molto noto negli anni Novanta) o facesse lo gnorri. Certo è che ho pensato al vanitosissimo Gabriele D’Annunzio che nel 1925, dal dorato esilio del Vittoriale, era costretto a leggere sul «Corriere della Sera» che l’illustre Mommsen lo aveva posposto ad Ada Negri! E sì che Ojetti era un amico…
Credo possa bastare qui, per adesso. Ma non escludo di tornare su questo libro, che è davvero una miniera inesauribile di spunti: è per questo che lo consiglio vivamente sia ai colleghi docenti, sia ai semplici appassionati.