Il coraggio di leggere Leopardi

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È frutto del lavoro di Franco Bulega, collega che insegna da anni al Liceo “Bartolomeo Zucchi” di Monza, un’interessante novità editoriale su Leopardi: si tratta del volume “Leopardi a scuola, Leopardi nella scuola”, Aracne, Roma 2021.

 

Contro le mistificazioni leopardiane

In realtà, forse, non è del tutto esatto parlare di “novità”, perché lo scopo di Bulega è proprio quello di riportare l’opera di Leopardi (e la sua lettura nelle scuole) alla sua sostanza originaria, sottraendola alle mistificazioni prodotte da una serie di recenti interpretazioni un po’ forzate (diciamo così, eufemisticamente…). E l’autore non teme di fare nomi e cognomi di coloro che ritiene responsabili di queste forzature.
Si tratta del regista Mario Martone, che col suo Il giovane favoloso (2014) ci propone un Leopardi morbosamente prigioniero della sua corporeità malata, ma anche degli autori di due libri di un certo successo, e cioè Alessandro D’Avenia, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita, Mondadori, Milano 2016, e Davide Rondoni, E come il vento. Lo strano bacio del poeta al mondo, Fazi, Roma 2019; entrambi sarebbero, secondo Bulega, troppo protesi (tra l’altro) alla ricerca di una spiritualità, una religiosità, poco consona a un pensatore dichiaratamente ateo – figlio della cultura illuministico-materialista – come il poeta di Recanati.
A tutti e tre, comunque, si obietta di ricercare una facile presa sul pubblico, e si ricorda polemicamente – con le parole di un’Epistola dello stesso Leopardi del 1826 – che «andando dietro ai versi e alle frivolezze […] noi facciamo espresso servizio ai nostri tiranni, perché riduciamo a un giuoco e a un passatempo la letteratura dalla quale sola potrebbe avere sodo principio la rigenerazion della nostra patria».

Ritratto di Giacomo Leopardi (A. Ferrazzi), Recanati, Casa Leopardi

Tra nulla e male

Il recente volume, invece, prova a ripercorrere il pensiero e la produzione del Nostro seguendo come filo conduttore quattro “parole chiave”, e cioè «nulla, male, innocenza, coraggio». È probabilmente lecito – e ci mancherebbe altro! – che chi legge possa non condividere tutte le affermazioni contenute nel libro; certamente, però, è assai rigoroso (e a mio avviso convincente) il metodo che l’autore usa per sostenere le sue ragioni.
La riflessione si avvale infatti di numerose citazioni leopardiane (soprattutto del Leopardi prosatore, preferito al poeta idillico di crociana memoria), ma anche del supporto della più solida critica letteraria (da Timpanaro a Binni, da Tellini a Prete, tanto per fare solo qualche nome) ed è proposta con tono appassionato, talora in forma di apostrofe: sia nei confronti dei suoi stessi bersagli polemici, sia – in altri frangenti – nei confronti degli studenti che a scuola Leopardi devono studiare.
Sì, perché Bulega crede profondamente nel ruolo etico-politico (e pertanto didattico) che può avere questa lettura, questo approccio a un pensatore che ha il coraggio di affrontare la vita a testa alta, nonostante la sua speculazione lo porti a dire, nello Zibaldone, che «non v’è altro bene che il non essere», mentre in un suo Inno abbozzato nel 1835 arriva addirittura a ipotizzare che dietro l’infelicità cosmica si possa nascondere una divinità maligna, forse proprio quell’Arimane che la religione zoroastriana aveva proposto come principio negativo opposto alla solarità di Ahura Mazda.
Segnalo dunque, in particolare, i capitoli 5 (dedicato al «nulla», soprattutto attraverso l’analisi dell’operetta morale Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco. Della fine del mondo, del 1827) e 6 (dedicato al «male» attraverso l’esegesi dell’Inno ad Arimane), che, a mio parere, costituiscono il nerbo argomentativo della monografia.

Un’edizione della “Crestomazia” di Leopardi

Leopardi a scuola

Vorrei però tornare al ruolo di Leopardi nella scuola, che dà il titolo dal volume. Bulega vi dedica il capitolo 2, nel quale, muovendo dalla Crestomazia del 1827, propone una suggestiva immagine di Leopardi professore, o addirittura potenziale Ministro dell’Istruzione (lo fu realmente suo cugino, cioè il Terenzio Mamiani delle «magnifiche sorti e progressive» della Ginestra); ma soprattutto il 9, costruito come un invito ai propri studenti a trarre – come si diceva – coraggio dalla lettura di Leopardi, proponendoci ampie citazioni dal Canto Notturno, dalla Ginestra e dal Dialogo della Natura e di un Islandese e da molti altri testi.
Qui il tono diventa davvero didattico, e il linguaggio dotto si concede la licenza di assumere le movenze di una spiegazione fatta in classe, che deve raggiungere anche il ragazzo apparentemente più distratto o svogliato.
E, con felice scelta comunicativa, l’autore immagina che sia lo stesso Leopardi a parlare di sé – come un professore (in verità non troppo paludato…) potrebbe parlare di lui – con le seguenti parole, con le quali mi piace concludere questa breve, piccola, recensione, di un libro che invece piccolo non è:

«A me la vita è male»; e non perché sono pessimista, perché sono un po’ sfigato, perché non riesco a credere, perché Fanny non c’è stata; ma perché l’immagine riflessa del mio essere, quella che la ragione proietta sulla coscienza e che io ho il coraggio di osservare «nulla al ver detraendo» è questa. E non voglio con gesto vile chiudere gli occhi negandomi a uno sguardo di cui il coraggio che ho ma fa capace: non voglio un’altra verità, non c’è, non voglio una consolazione, non voglio una frivola speranza […] che proietti in un altrove e in un futuro il risarcimento di tutto questo: io sono nato a una vita che è dolore (p. 230).

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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