Il cinema del primo maggio

Tempo di lettura stimato: 9 minuti
Il 1° maggio si celebra la Festa Internazionale dei Lavoratori. Una data simbolica, che ricorda le dure lotte dei secoli scorsi per migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche. Vi proponiamo una carrellata di film che nel tempo hanno parlato di lavoro e di diritti dei lavoratori.
x
“Tempi moderni” di Charlie Chaplin

Le origini della ricorrenza risalgono alla metà dell’Ottocento. Il 1 maggio del 1866, i sindacati organizzarono a Chicago uno sciopero generale, per chiedere l’applicazione dell’orario di otto ore a tutti i lavoratori degli Stati Uniti. Seguirono drammatiche giornate di violenti scontri tra operai e polizia, che si conclusero con la condanna a morte di alcuni manifestanti, accusati di aver ucciso dei poliziotti con una bomba.
Nel 1889, durante la Seconda Internazionale di Parigi, la data del 1° maggio venne ufficialmente scelta per celebrare la Festa Internazionale dei Lavoratori, proprio in ricordo degli scontri di Chicago.
Il 1° maggio 2020 sarà una giornata particolare, che trascorreremo a casa senza poter partecipare a manifestazioni. Tuttavia è una ricorrenza troppo importante per non essere celebrata, almeno vedendo qualche buon film ispirato al lavoro e alle lotte sindacali.

Il tema del lavoro è così strettamente legato alle nostre esistenze, alla realtà quotidiana, che inevitabilmente è parte della narrazione cinematografica. Tuttavia, esistono momenti storici, correnti cinematografiche e autori che hanno riservato una sensibilità e un interesse particolare al lavoro.
Cercheremo di ripercorrere la storia della settima arte partendo da qualche classico del cinema muto fino ad arrivare ai giorni nostri, segnalando le opere più significative dedicate al mondo del lavoro. Un percorso obbligatoriamente fatto di scelte e di omissioni, operate entrambe in relazione al valore dei film e non solo al tema trattato.

x
“Sciopero” di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn

Cominciamo con un grande classico del cinema sovietico: Sciopero (1925) di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn. Siamo nella Russia del 1912, pochi anni prima della Rivoluzione d’Ottobre. Il film racconta la storia di uno sciopero represso nel sangue dall’intervento della polizia. È l’opera che rivela il talento di Ėjzenštejn, la sua capacità di suscitare emozioni attraverso una costruzione narrativa fondata sulla tecnica del “montaggio delle attrazioni”, che troverà la massima espressione nel suo capolavoro: La corazzata Potëmkin (1925).
Dall’altra parte dell’oceano, Charlie Chaplin affronta il tema dell’alienante lavoro in fabbrica con il film Tempi moderni (1936). Il povero Charlot si scontra con la nuova organizzazione del lavoro, parcellizzata e scandita dai tempi inflessibili della catena di montaggio. È l’inizio di un’odissea personale nel mondo ostile, fatto di frustrazioni e ritmi disumani, della nascente società industriale.

x
“I compagni” di Mario Monicelli

Nell’Italia degli anni Sessanta, nel pieno del boom economico, alcuni autori realizzano film a sfondo sociale, che ben interpretano i mutamenti in corso. Gli anni del dopoguerra hanno profondamente cambiato il Paese, che da agricolo e contadino si sta velocemente incamminando verso una progressiva industrializzazione. La città, il posto di lavoro in fabbrica, il salario fisso si fanno strada nei sogni e nelle aspettative di una nazione, che dopo l’oppressione della dittatura fascista e il dramma della guerra ricomincia a sperare in una vita migliore.
Mario Monicelli, con I compagni (1963), volge lo sguardo a ritroso, in una Torino di fine Ottocento agli albori delle rivendicazioni sindacali. Il film racconta lo sciopero in un’industria tessile per ottenere la riduzione dell’orario di lavoro giornaliero. Dopo una lunga lotta, sarà la Regia Cavalleria a sopprimere nel sangue la rivolta.

x
“Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti

Nel 1960, Luchino Visconti firma uno dei suoi capolavori: Rocco e i suoi fratelli. Il film è un tragico affresco della progressiva disgregazione di una famiglia del Sud emigrata a Milano in cerca di lavoro e fortuna. Il tema dello sradicamento sociale, dell’illusione di una vita migliore, il mito della città e della fabbrica, della vita moderna, irrompono in modo drammatico nel panorama del cinema italiano e deflagrano nell’esistenza di una generazione.

x
“Il posto” di Ermanno Olmi

Negli stessi anni, un altro grande autore del cinema riflette sui profondi cambiamenti della società italiana. Ermanno Olmi realizza il film Il posto (1961), concentrando però la sua attenzione sul destino individuale, su quel “posto fisso” che diventa il nuovo orizzonte di vita, che dovrebbe garantire sicurezza economica, integrazione sociale e una vita tranquilla. Il tanto desiderato posto si rivelerà per il protagonista una sorta di gabbia esistenziale, in cui l’uomo è ridotto ad anonimo ingranaggio di un sistema produttivo, tanto rassicurante, quando spersonalizzante.

x
“Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi

Francesco Rosi, uno dei registi italiani che ha sempre sposato l’idea di un cinema d’impegno civile, nel 1962 firma una delle sue opere più famose: Salvatore Giuliano. Il film è un ritratto del celebre brigante siciliano, protagonista della strage di Portella della Ginestra. Il 1 maggio 1947, alcune migliaia di braccianti siciliani si erano riuniti per festeggiare la Festa dei Lavoratori, a seguito di una serie di manifestazioni contro il latifondismo e per poter occupare e coltivare le terre incolte. Durante il comizio furono sparate raffiche di mitra contro i manifestanti, provocando undici morti e decine di feriti. Dietro le armi di Salvatore Giuliano si celavano gli interessi dei grandi proprietari terrieri, dei conservatori, di oscuri poteri malavitosi e di interessi internazionali, che non vedevano di buon occhio l’ascesa dei partiti di sinistra in Sicilia e la richiesta di braccianti di terra, lavoro e di una maggiore giustizia sociale. Per chi volesse approfondire i retroscena del massacro di Portella della Ginestra, consigliamo anche il film di Paolo Benvenuti: Segreti di Stato (2003).

Sul finire degli anni Sessanta, in Europa e in molti paesi del Mondo, cominciò un periodo di contestazione e rivolta contro la società borghese, l’autoritarismo, il sistema economico e l’ideologia capitalista. Studenti, operai, intellettuali parteciparono a movimenti di massa che chiedevano libertà individuali, partecipazione sociale e una maggiore giustizia sociale. Dalle occupazioni delle università, il movimento di protesta si spostò rapidamente nelle fabbriche. Nel 1968 cominciarono le prime contestazioni, che sfociarono negli scioperi e nelle manifestazioni dell’Autunno Caldo del 1969. Il rinnovo dei contratti collettivi divenne l’occasione per rivendicare aumenti salariali, riduzioni degli orari di lavoro e il miglioramento delle condizioni di vita in fabbrica. Un percorso di lotta, scioperi e duri conflitti sociali, che portarono all’approvazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, meglio conosciuta come “Statuto dei lavoratori”.

x
“La califfa” di Alberto Bevilacqua

Il cinema degli anni Settanta porta sullo schermo le tensioni sociali di un mondo del lavoro conflittuale e in profondo cambiamento. Alberto Bevilacqua ne interpreta la dimensione individuale. Nel suo film La califfa (1970), il conflitto di classe è vissuto attraverso le figure di Irene, operaia e vedova di un lavoratore ucciso durante una manifestazione, e dell’industriale Annibale Doberdò, aperto ad accogliere le nuove istanze sociali. Un film a volte malinconico e crepuscolare, che ben dipinge stati d’animo e sentimenti di una società in divenire.

x
“La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri

Indimenticabile il personaggio di Lulù, interpretato da uno straordinario Gian Maria Volonté, in La classe operaia va in paradiso (1971) di Elio Petri. Lulù è un operaio stakanovista, che lavorando a cottimo riesce a guadagnare molto bene. Odiato dai compagni di reparto e stimato dai padroni, conduce una vita alienata da infernali ritmi di lavoro, fino a quando perde un dito in un incidente in fabbrica. L’infortunio e la convalescenza mettono a nudo la povertà di un’esistenza ridotta a un semplice ingranaggio di un sistema produttivo. Lulù si avvicina così alle ideologie più radicali, ma viene licenziato e poi abbandonato anche da amici e compagni di lavoro. Il ritorno in fabbrica, nel frastuono della catena di montaggio, sembra sancire l’impossibilità di una via di fuga da una realtà sempre più disumana.

x
“Crepa padrone, tutto va bene” di Jean-Luc Godard

Più estremo e teorico il film Crepa padrone, tutto va bene (1972) di Jean-Luc Godard e Jean Pierre Gorin. Il grande maestro della Nouvelle Vague, ormai alla fine dell’esperienza del Gruppo Dziga Vertov, mette in scena un’opera metalinguistica sul cinema, che si svolge all’interno di una fabbrica occupata. Critiche alla società borghese, lotta di classe, messa in discussione del cinema e del ruolo dell’intellettuale nella società moderna, sono alla base di un’opera densa e originale. Indimenticabile la sequenza dell’esproprio proletario in un supermercato.

x
“Silkwood” di Mike Nichols

Verso la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, anche il cinema americano produce qualche film interessante sul tema del lavoro.
Ambientato negli anni Settanta, Norma Rae (1979) di Martin Ritt racconta la vicenda di un’operaia di un’industria tessile, che insieme a un sindacalista lotta per ottenere migliori condizioni di lavoro in fabbrica.
Meryl Streep è la bravissima interprete di Silkwood (1983) di Mike Nichols. Operaia in una fabbrica in cui si producono uranio e plutonio per le centrali nucleari, Karen Silkwood rimane contaminata durante un incidente in fabbrica e comincia a indagare sulla mancanza di protezione e sicurezza per i dipendenti che lavorano con sostanze radioattive.

x
“Paul, Mike e gli altri” di Ken Loach

All’inizio degli Novanta, alcuni autori accendono i riflettori sugli effetti delle politiche neoliberiste, che dagli Stati Uniti di Ronald Reagan e dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher hanno invaso i paesi del vecchio continente. Perdita dei diritti, flessibilità, salari bassi, condizioni di lavoro sempre più precarie, diventano la normalità. Ken Loach è ancora oggi il regista più impegnato a combattere a suon di film le contraddizioni di un sistema capitalistico che negli ultimi decenni ha contribuito ad accrescere le diseguaglianze sociali, permettendo l’accumulo di grandi profitti a danno di lavoratori derubati di diritti, salario e dignità. Nella sua filmografia c’è solo l’imbarazzo della scelta. Tra i molti film segnaliamo: Rif Raff (1991), Piovono pietre (1994), Bread and Roses (2000), Paul, Mike e gli altri (2001), In questo mondo libero (2007), Io, Daniel Blake (2016), Sorry We Missed You (2020). Sulla stessa falsariga un film dal titolo emblematico, Grazie Signora Thatcher (1996) di Mark Herman.

x
“Due giorni, una notte” di Jean-Pierre e Luc Dardenne

Chiudiamo con il bellissimo e struggente film di Jean-Pierre e Luc Dardenne, Due giorni una notte (2014). È il racconto di una spietata lotta tra poveri, messa in atto da un datore di lavoro senza scrupoli. In gioco non c’è solo un posto di lavoro, ma anche la solidarietà, la generosità, la dignità e la sopravvivenza.
Buon Primo Maggio.

Condividi:

Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it