Il caso Spotlight

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Il caso Spotlight è stato presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, raccogliendo molti consensi, ma ha ricevuto la definitiva consacrazione ai recenti Academy Awards, conquistando due Oscar: miglior film e migliore sceneggiatura originale. Non è il primo film di questa stagione cinematografica che affronta il tema della pedofilia all’interno della Chiesa.

Qualche mese fa c’eravamo occupati di un’altra pellicola sullo stesso argomento: Il Club, del regista cileno Pablo Larrain. Non sorprende che nelle sale abbia prevalso il film americano, e non solo per il cast e la diversa visibilità commerciale: Il Club era certo più scomodo e disturbante per lo spettatore e per le istituzioni. Dentro un microcosmo psicologicamente claustrofobico, scavava a fondo nei labirinti più orrendi e tenebrosi dell’animo umano. Metteva in luce l’ambigua ipocrisia del potere della Chiesa. Non lasciava speranze o vie d’uscita, soffocando gli orrori nel “sacro oblio” del silenzio.

Tutt’altra storia Il caso Spotlight. Costruito secondo i migliori stilemi del thriller, utilizza la classica e collaudata struttura del film d’inchiesta giornalistica. Siamo dalle parti di Tutti gli uomini del Presidente, di Alan J. Pakula, il famoso film interpretato da Robert Redford e Dustin Hoffman sul “caso Watergate”, che non a caso si era aggiudicato ben 4 premi Oscar nel 1977. E sì, niente ambiguità e confini sfumati o inesistenti tra bene e male, nessun pozzo profondo dove tutto si inabissa senza speranza. Gli Oscar amano la chiarezza: spotlight, appunto, con precisi confini tra bene e male, buoni e cattivi. È sempre stato così negli USA, non solo nel cinema, dai tempi di John Wayne agli stati canaglia di Bush. Unica eccezione, qualche scorribanda nell’oscurità del cinema noir, che ontologicamente non può fare a meno di mischiare le carte.

Ma torniamo a Il caso Spotlight. Certamente è un buon film, più per la storia e per il valore sociale di denuncia che per un reale valore artistico. La struttura narrativa e la regia sono quanto di più scontato e lineare ci si possa attendere. Consequenziale, rassicurante, semplice, sempre un passo indietro rispetto alla storia. Poco interessante da un punto di vista formale e visivo. In questa prospettiva, rappresenta un Oscar alla tradizione e alla classicità del cinema.

La vicenda narrata è comunque appassionante: fa letteralmente luce sui crimini di sacerdoti pedofili, e soprattutto sulla complicità perbenista dei vertici del clero, che al posto di affrontare il problema e punire i colpevoli, si limita a semplici insabbiamenti e trasferimenti. Occultare, negare tutto e sempre. Altro che “Io sono la via, la verità e la vita”. Eppure così è scritto nelle sacre scritture.
Il nuovo direttore del giornale «Boston Globe» vuole rilanciare la testata, e punta tutto sulla redazione “Spotlight”, specializzata in indagini scottanti. Così nasce l’inchiesta su un sacerdote che nel corso degli anni aveva più volte abusato di minori senza che il cardinale di Boston, al corrente di tutto, fosse mai intervenuto in modo risolutivo. Il caso si rivela essere solo la punta di un iceberg, di una condotta diffusa nel clero più di quando si potesse sospettare. L’indagine va avanti, i casi si moltiplicano, e si scopre che tutto sarebbe potuto emergere prima, se un giornalista del team non avesse accantonato una vecchia segnalazione.
Da quell’inchiesta è scoppiato il grande scandalo che ha travolto la diocesi di Boston nei primi anni duemila.

La speranza è che un cinema di denuncia, così come un giornalismo etico, possano davvero contribuire a rafforzare l’intransigenza nei confronti dei reati sessuali commessi dalla Chiesa.

Il caso Spotlight
Regia: Thomas McCarthy
Con: Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber, John Slattery. Brian d’Arcy James, Stanley Tucci
Durata: 128 min
Produzione: USA, 2015

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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