Anzitutto perché si ha la possibilità di vedere quadri celeberrimi di grande qualità e suggestione, che difficilmente lasciano il Regno Unito: tra questi, oltre a numerose opere di Dante Gabriel Rossetti, ci sono addirittura l’Ofelia di John Everett Millais (1851-52), l’Amore d’aprile (1855-56) di Arthur Huges e la Dama di Shalott (1888) di John William Waterhouse. Ma anche perché l’esposizione – ottimamente curata e allestita (con 80 opere di 18 artisti diversi), nonché dotata di un pregevole catalogo (a cura di C. Jacobi e M.T. Benedetti, 24Ore Cultura Edizioni) – ci consente di capire un po’ meglio un movimento artistico che forse troppo spesso consideriamo semplicemente come “estetizzante”, influenzati dalla grande ammirazione che l’esteta Gabriele D’Annunzio (di cui parleremo dopo) ebbe per le raffinate figure femminili che i Preraffaelliti dipinsero.
Una Confraternita di artisti non convenzionali
- Arthur Hughes, “Amore d’aprile”, 1855-56, olio su tela, ©Tate, London 2019
- John Everett Millais, “Ofelia”, 1851-52, olio su tela, ©Tate, London 2019
- John William Waterhouse, “La Dama di Shalott”, 1888, olio su tela, ©Tate, London 2019
Certamente non possiamo negare l’impegno estetico e il grande amore per l’arte (non solo pittorica) che questi ebbero; non dobbiamo però dimenticare che quando nel 1848 alcuni giovani artisti fondarono la “Confraternita preraffaellita” (i loro leader erano Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holman Hunt), lo fecero non solo come ribellione all’accademismo della cultura ufficiale (cui contestavano il disinteresse per la verità e per la natura), ma nondimeno in opposizione al convenzionalismo della società vittoriana e alle degenerazioni della società industriale. Anche loro, insomma, sognavano di combinare “un Quarantotto”, anche se certo meno rumoroso di quello che i moti insurrezionali provocavano in mezza Europa.
Tra Medioevo e suggestioni letterarie
La Confraternita teorizzava il ritorno a un’arte pre-rinascimentale, che recuperasse la purezza della pittura medievale, da loro percepita come avanguardistica, tanto che la critica – e in mostra se ne parla – ha coniato ad hoc la formula ossimorica di “Medioevo moderno”; e che si ispirasse alla letteratura di quel tempo lontano, in primis a quella di Dante, degli Stilnovisti e di Chaucer, ma anche alle opere di letterati di epoche successive, come Shakespeare, Keats, Shelley, Browning o Tennyson. D’altronde, con una commistione che è tipica di alcuni movimenti eclettici (penso alla nostrana Scapigliatura), non mancarono casi, in primis quello di Dante Gabriel Rossetti, di “pittori-poeti”, espressione che dà il titolo proprio una delle sezioni della mostra di Palazzo Reale.
La pittura preraffaellita, in cui la cura per il dettaglio era sovente teso verso un minuto realismo, propose soggetti di diversa natura (letterari, naturalistici, sentimentali, religiosi: la mostra li documenta tutti), che variarono ancor più dopo che nel 1853 la Confraternita si sciolse, non impedendo però ai suoi esponenti – soprattutto a Dante Gabriele Rossetti – di superare la iniziale diffidenza della critica, di affermarsi (occhieggiando anche a Leonardo e Tiziano e andando così oltre il Medioevo) e di influenzare quindi le correnti artistiche di tardo Ottocento, dall’Art Nouveau al Simbolismo.
Capolavori in mostra
- Ford Madox Brown, “Gesù lava i piedi di Pietro”, 1852-56, olio su tela, ©Tate, London 2019
- John Brett, “Veduta di Firenze da Bellosguardo”, 1863, olio su tela, ©Tate, London 2019
- William Holman Hunt, “Claudio e Isabella”, 1850, olio su tavola, ©Tate, London 2019
- Dante Gabriel Rossetti, “Roman de la Rose”, 1864, acquerello su carta, ©Tate, London 2019
Come sempre cerco di fare, faccio ora parlare i dipinti.
Certamente i tre che già ho menzionato all’inizio dell’articolo sono bellissimi, e rappresentano pienamente il connubio tra letteratura e poesia che tanto i Preraffaelliti amavano.
Così è per la povera Ofelia di Millais (dall’Amleto di Shakespeare) fluttuante nell’acqua dopo l’annegamento, in un contesto naturalistico fatto di fiori di varie specie e diversi colori: non smetteresti mai di osservarla, per poter cogliere particolari in precedenza sfuggiti.
E così è anche per la Dama di Shallott, eroina di un poema di Tennyson, che Waterhouse ritrae sopra una barca con pennellate drammatiche, quasi impressioniste.
Sempre Tennyson, inoltre, ispirò Huges per il suo bellissimo Amore d’aprile, nel quale spicca il vestito “blu elettrico” della fanciulla ritratta.
Segnalo anche, pur nella diversità dei soggetti, altri dipinti di grande interesse, come Gesù lava i piedi di Pietro (1852-56)e Cattivo soggetto (1863) di Ford Madox Brown, Claudio e Isabella (1850) di William Holman Hunt, e soprattutto una splendida Veduta di Firenze da Bellosguardo (1863) di John Brett.
Dante Gabriel Rossetti e lo Stilnovo
- Dante Gabriel Rossetti, “Il sogno di Dante alla morte di Beatrice”, 1856, acquerello su carta, ©Tate, London 2019
- Dante Gabriel Rossetti, “Beata Beatrix”, ca. 1864-70, olio su tela, ©Tate, London 2019
- Dante Gabriel Rossetti, “Monna Vanna”, 1866, olio su tela, ©Tate, London 2019
- Dante Gabriel Rossetti, “Lucrezia Borgia”, 1860-61, grafite e acquerello su carta, ©Tate, London 2019
- Dante Gabriel Rossetti, “Aurelia. L’amante di Fazio”, 1863-73, olio su tavola di mogano, ©Tate, London 2019
- Dante Gabriel Rossetti, “Monna Pomona”, 1864, acquerello e gomma arabica su carta©Tate, London 2019
A proposito di Firenze, Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) ebbe un amore quasi maniacale per la poesia stilnovista e più in generale per l’opera di Dante Alighieri. Anche se in Italia (e dunque a Firenze) non ci andò mai, immaginò la cultura del nostro Medioevo come un mondo ideale, dal quale trarre suggestioni da mescolare e confondere con la realtà del suo tempo: e in questo ebbe sicuramente importanza il fatto di essere di origini italiane, in quanto figlio di un patriota abruzzese esule a Londra.
In mostra ammiriamo così opere rossettiane ispirate al Medioevo letterario, come Roman de la Rose(1864); alla Vita Novadi Dante, come Il sogno di Dante alla morte di Beatrice (1856) o Beata Beatrix, (ca. 1864-70), rappresentazione in chiave moderna della donna angelicata, che riproduce le fattezze della moglie-musa Elizabeth Siddal, morta nel 1862; nonché alle Rime dantesche, se è vero che uno dei quadri più belli esposti a Milano è Monna Vanna (1866) che allude a una delle figure femminili citate nel celebre sonetto Guido i’ vorrei: certamente il vestito fiorato, i gioielli e l’acconciatura della modella Alexa Wildingdi medievale non hanno più nulla! A proposito di modelle: Ada Vernon è resa in Monna Pomona (1864) come una bellezza rinascimentale, mentre riprodotta in Aurelia, l’amante di Fazio (1863-73) – che si ispira ai versi di Fazio degli Uberti, (poeta pisano emulo di Dante (e di chi se no?) – è la sensuale Fanny Conforth, che del pittore fu anche amante, e che compare anche nel piccolo capolavoro Lucrezia Borgia del 1861.
Insomma: donne bellissime, spesso dai lunghi capelli rossi, talora evocative di una profonda spiritualità, più spesso decisamente proposte come esempi di sensualità. Esse sono protagoniste di un’arte sospesa tra l’aspirazione a un passato idealizzato e le inquietudini del presente, tra la ricerca di un impossibile nitore formale e l’indulgenza a certe opulenze dell’età vittoriana. Un’arte particolare ed emozionante, come spesso capita quando ci trova al di fuori di schemi del tutto precostituiti e si propongono soluzioni originali.
D’Annuzio e i Preraffaelliti
Un’ultimissima nota. Il giovane Gabriele D’Annunzio, cronista della «Tribuna» (cui collaborò dal 1884) citava spesso nei suoi articoli i quadri dei Preraffaelliti (oltre che quelle di Lawrence Alma Tadema), e in particolare le opere di Dante Gabriel Rossetti, con il quale il pescarese sentiva un’affinità particolare per le sue origini abruzzesi.
Le descrizioni dei dipinti non ci mostrano un D’Annunzio troppo attento ai particolari tecnici dell’arte preraffaellita (d’altronde non era un critico d’arte e non vide mai la maggior parte dei quadri se non attraverso riproduzioni), ma uno scrittore ammirato dalla ricercata bellezza delle donne rappresentate in quelle opere.
Tanto ammirato da far ritenere alla critica contemporanea che queste “donne dipinte” abbiano contribuito alla creazione delle figure femminili del primo D’Annunzio, e in particolare della conturbante Elena Muti del Piacere. Ciò è del tutto verosimile, e ci pone davanti a un fenomeno inverso – ma per certi versi speculare – a quello descritto in precedenza: se i Preraffaelliti infatti si ispiravano alla letteratura per i loro quadri, D’Annunzio si ispirava ai quadri di costoro per le sue opere letterarie. Questo e altro capita quando – come l’Andrea Sperelli dannunziano – si vuole mescolare l’arte con la vita, e anzi fare della propria vita come si fa un’opera d’arte.
Ed è per questo che invito calorosamente, alla riapertura settembrina delle scuole, i colleghi docenti a portare i loro studenti a visitare questa mostra milanese; e mi rivolgo non solo ai professori di Storia dell’Arte, ma anche a quelli di Lettere, alla luce dei motivi che ho appena esposto.
Dunque, cari colleghi, ripeto quanto ho già detto all’inizio, e cioè che perdere questa opportunità sarebbe un vero peccato: quando ci ricapiterà, infatti, di rivedere la Beata Beatrix all’ombra (si fa per dire, visto il caldo di questi giorni…) della Madonnina?